Gino Canepa: la memoria e la scrittura
I registri del cottimo
Tra le carte di Gino si conservano due registri su cui Gino è andato annotando nel corso degli anni gran parte delle lavorazioni che gli erano affidate e i relativi guadagni.
Il primo registro, compilato tra il febbraio 1955 e il dicembre 1963, contiene circa novecento annotazioni, separate l’una dall’altra da una riga. Di tratto in tratto un segno più marcato di separazione divide un mese e dall'altro, in corrispondenza, almeno parziale, con la distinta cottimi compilata, con cadenza mensile, dall'azienda. Le annotazioni sono scritte per lo più a matita e riportano, con i dati principali della bolla di cottimo (numero della bolla, oggetto della lavorazione, tempi assegnati), i tempi effettivamente impiegati nell'esecuzione del lavoro e l'utile realizzato. Nelle prime pagine l’organizzazione dei dati non ha ancora assunto la forma definitiva che invece risulta chiaramente nelle successive.
Il registro consiste in 82 carte di cm 20 x 30, di cui le prime settanta, numerate da me a matita da 1 a 70, sono scritte sul recto e sul verso, mentre le successive dieci sono bianche e le ultime due contengono varie annotazioni. Sul verso della penultima c'è un breve appunto: 1963 / settembre 88.000 mentre sul recto e sul verso dell’ultima carta ci sono alcuni calcoli (moltiplicazioni e divisioni), del tutto simili a quelli che si trovano all'interno della copertina. La copertina, di cartone scuro all’esterno e chiaro all’interno, è logora e manca di diversi frammenti, tra cui l’angolo superiore e l’intero margine inferiore del fronte e gli angoli inferiore e superiore del retro. L’etichetta sul fronte si confonde col resto della copertina di cui ha assunto il colore e l'aspetto consunto, il che rende difficile stabilire se vi sia mai stato scritto qualcosa. La seconda pagina di copertina presenta, come si è accennato, alcuni calcoli e la terza ancora calcoli e - in alto a destra - un appunto con una piccola lacuna in corrispondenza dell’angolo mancante: minimo B 15… / minimo A 173,25 / a premio 238. Sempre sulla terza di copertina, in basso a destra, si legge: Bollo Tot 9548.
Gino ha riutilizzato un registro già in uso in qualche ufficio Ansaldo come risulta dalle pagine 5 recto, 19 recto e 33 recto divise in colonne dove sono registrati i numeri delle commesse, il tipo di macchine a cui era destinato il pezzo, i pezzi da lavorare (carcasse, scudi, flangie e altro in genere pertinente la trazione ferroviaria) con le relative quantità, il codice identificativo dei disegni con le date di consegna degli stessi. Qua e là vi sono tracce di pagine strappate o tagliate, forse in origine occupate anch'esse da annotazioni di ufficio.
Inseriti tra le pagine del registro ci sono diversi documenti: una quarantina di fogli paga, una cinquantina di bolle di cottimo e una ventina di distinte di cottimo. Le bolle di cottimo, contraddistinte da un numero generale, recano la descrizione del lavoro richiesto, l’indicazione del disegno relativo, la specifica dei tempi (espressi in ore e centesimi di ora) previsti dall’azienda per la preparazione della macchina e per la realizzazione del lavoro, la qualifica del lavoratore. Le distinte di cottimo erano redatte mensilmente e consegnate dall’azienda all’operaio: vi sono indicati i numeri delle bolle consegnate e “chiuse”, le ore lavorate (a economia, a cottimo e a concottimo) e la paga corrispondente. Alla fine del registro un foglio volante, ma proveniente dallo stesso registro, riporta anno per anno le paghe mensili percepite tra il 1958 e il 1965: lo riproduco di seguito assegnadogli il numero 70.
Tra le carte inserite nel registro ci sono alcuni volantini: uno del Partito comunista del 1960, uno della Fiom del 1961, uno della Cisl del 1962. Sul verso dei volantini compaiono (come nelle ultime due pagine del registro e sull'interno della copertina) conti e qualche breve annotazione come quella che si legge sul volantino FIOM del 1961: i miti della giovinezza avuta e troppo presto [?] inspiegabilmente perduta. È possibile che qui Gino, che nel 1961 compiva quarant'anni, pensasse con qualche rammarico a sé stesso e al tempo passato. Completano le carte inserite nel registro una cartolina postale di Piccone [?] Gino, spedita, parrebbe, dalla scuola di partito delle Frattocchie, e alcune tessere del PCI (una intestata ad Agostino Niccoli), della CGIL, dell’ANPI. Tra le pagine bianche a fine registro, dentro una busta paga, c’è una lettera di diffida inviata a Gino il 15 febbraio 1958 dalla direzione dell’Ansaldo-San Giorgio. Pubblico anche questa (assegnandole il numero 71) come eloquente testimonianza del clima esistente in fabbrica negli anni Cinquanta. Sulla base delle sanzioni disciplinari che la Società aveva già adottato nei suoi confronti, si contestava a Gino di non tenere «un comportamento conforme alle norme che regolano il vigente rapporto di lavoro». Si tratta di 18 sanzioni di cui 15 risalenti a quasi vent’anni prima, dal 31 gennaio 1939 (quando Gino non aveva ancora 18 anni) e il 30 dicembre 1941 (nel gennaio del 1942 Gino, sarebbe stato chiamato in guerra, in marina). I tre richiami successivi sono degli anni 1953, 1954 e 1955 e hanno tutti come causale la partecipazione a "scioperi non sindacali". In fondo alla lettera due annotazioni a matita di Gino: Mondo Libero e, più in basso, sottolineato, Ergastolo.
Il secondo registro è analogo al precedente, ma si riferisce a lavorazioni del tutto diverse, ossia alla manipolazione di vernici e resine a cui Gino era stato addetto dopo esser stato privato del suo vecchio lavoro al tornio. Iniziate nell’aprile del 1973, le registrazioni terminano nel giugno 1976 quando Gino andò in pensione. Il registro è un normale quaderno di scuola a quadretti di cm 14,9 x 20,4. Le annotazioni compaiono quasi sempre solo sul recto dei fogli, mentre il verso è spesso occupato da conti, che si trovano frequentemente anche sul verso delle bolle di lavorazione conservate tra le pagine del quaderno. Le lavorazioni impegnavano più giorni, a volte settimane, e le annotazioni di Gino risultano organizzate in conformità, ossia divise in quattro colonne dedicate rispettivamente al giorno del mese, alle ore lavorate in quel giorno, alla somma progressiva delle ore impiegate per ciascuna bolla in giorni successivi e agli estremi della bolla stessa: numero, descrizione sommaria della lavorazione, numero dei pezzi, ore di lavoro “emesse” e ore effettivamente impiegate. Il quaderno consta di 57 carte, che ho numerato a matita da 1 a 56, più la carta 33bis numerata in un secondo tempo. La carta 33 presenta una lacerazione che interessa praticamente tutto il quarto inferiore esterno. L'ultima bolla registrata si trova a p. 49r dove Gino ha messo - con qualche sollievo, è da credere - la parola FINE alle sue annotazioni. Le carte 7, 50-54 sono completamente bianche, mentre alla carta 55, sul verso e poi, a seguire, sul recto, sono segnate le ore di "scuola", ossia le ore usate da Gino, dal marzo 1974 al maggio 1975, per seguire - con una partecipazione sempre molto attiva - un corso delle 150 ore. Appunti di qualche interesse si trovano in seconda e in terza di copertina, che riproduco assieme alle pagine del quaderno. Tra le pagine del quaderno si conservano, come ho accennato, centocinquanta bolle di lavorazione circa, per lo più collocate in corrispondenza delle registrazioni relative.
L’esame del materiale a disposizione permette alcune osservazioni. La retribuzione del lavoro a cottimo – Lire/ora 228 per uno specializzato come Gino – era superiore (a pari categoria) di circa il 20% rispetto a quello del lavoratore a economia. Lavorare a cottimo e realizzare il tempo previsto dalla bolla assicurava pertanto un discreto vantaggio rispetto a lavorazioni non a cottimo (quelle ad esempio dei tracciatori). Ciononostante era uso comune definire “bolle in rimessa” quelle dove “non si guadagnava” o “non si realizzava”; in altre parole quelle per la cui esecuzione non si riusciva a ridurre il tempo rispetto a quello indicato sulla bolla. Si diceva invece che "si guadagnava” quando si riusciva a ridurre il tempo impiegato di circa il 20%, valore di riferimento che si stabiliva moltiplicando il tempo previsto dalla bolla per 0,75. Un calcolo semplice che richiedeva però una elaborazione quotidiana riferendosi a lavorazioni lunghe distribuite su più giorni, a volte su settimane. Poteva accadere che la bolla andasse – come si diceva – “a bagno”, quando cioè i tempi assegnati risultavano difficili o addirittura impossibili da realizzare. In questo caso era decisivo accorgersene subito, non oltre le prime ore di lavoro, così da poter aprire una trattativa col capo officina. Altrimenti era necessario aprire un confronto con la sezione che aveva emesso la bolla, chiedere l’intervento del cronometrista: un percorso in salita perché difficilmente si riusciva a ottenere una modifica della bolla. Stavano meglio quelli che lavoravano alle macchine grosse dove le previsioni risultavano più difficili e per questo gli aggiustamenti del cottimo erano più frequenti. Al contrario i lavoratori addetti alle macchine medie e piccole erano più tartassati.
Perché Gino ha sentito la necessità di mettere per scritto – cosa che, tra l’altro, gli costava una certa fatica – informazioni che per la maggior parte si potevano leggere sulle ricevute delle bolle che, a lavoro concluso, restavano a sue mani? Altri operai si limitavano ad annotare sul retro della ricevuta il tempo impiegato nell’esecuzione del lavoro e l’utile realizzato. «Io – testimonia ad esempio Carlo Meirana, tornitore e cottimista come Gino – le tenevo nel cassetto di lavoro e magari quelle più vecchie nello stipetto, legate insieme a blocchetti, in ordine di data. Lo scopo era che quando ti davano una bolla per un lavoro che avevi già eseguito andavi a controllare che tempo avevi impiegato, se ci avevi guadagnato o se avevi fatto fatica nel qual caso ti conveniva contestarla subito perché dopo quando era in esecuzione era più difficile». A parte la necessità di esercitare un qualche controllo sul foglio paga (testimoniato dai segni di spunta e, talvolta, dai punti interrogativi che accompagnano le singole annotazioni), il registro aveva probabilmente lo scopo di conservare memoria dei tempi impiegati e dei ricavi ottenuti nelle diverse lavorazioni per meglio contrattare con la direzione e per evitare nell’erogazione di lavoro quelle oscillazioni di produttività che avrebbero potuto indurre la controparte a nuovi tagli dei tempi.
Il registro di Gino potrebbe dunque essere considerato una forma evoluta di quell’archiviazione di dati di cui parla Carlo Meirana. Ma ciò contrasta col fatto che, grazie alle distinte cottimi conservate, è possibile accertare che solo una parte delle bolle ricevute da Gino hanno lasciato traccia sul registro. Sulla base di quali criteri Gino registrava alcune lavorazioni ed altre no? Non pare che fosse l’importanza della bolla in termini di ore, perché sulle distinte cottimi compaiono bolle con un consistente numero di ore di cui il registro non serba traccia. Anche l’importanza della bolla in termini di guadagni o di perdite non sembra un criterio costante e determinante. Resta la possibilità che Gino conservasse memoria scritta di lavorazioni significative per la sua personale attività di tornitore messa in discussione dai cambiamenti intervenuti all’ASGEN nell’organizzazione del cottimo nel corso degli anni Cinquanta. Nel 1949 l’Elettrotecnico di Campi, il “Vittoria”, usciva dal gruppo Ansaldo e insieme ai due stabilimenti San Giorgio (Ge-Sestri e Ge-Rivarolo) dava vita all’ASGEN (Ansaldo San Giorgio Generale Elettricità) dipendente da Finmeccanica. In seguito alla fusione delle due società venne realizzato un nuovo sistema di contabilità industriale che naturalmente interessò l’organizzazione del lavoro e il sistema di retribuzione. Sono gli effetti di queste trasformazioni che indussero Gino alla compilazione del registro?
Tre anni dopo l’ultima annotazione contenuta sul registro a Gino – che aveva 45 anni e da 25 faceva il tornitore – veniva tolta la qualifica di tornitore e attribuita la mansione di addetto alle vernici. Un evento penoso di cui Gino scriveva sul suo diario il 23 febbraio 1966. Usciva dalla torneria per andare a lavorare in «un bugigattolo, un repartino, dentro il reparto dell'avvolgimento delle bobine, dove c'ero solo io con un ragazzo per aiutante», alla mescola delle resine epossidiche. «Mescolavamo le resine poi le mettevamo nei bulacchi per usarle come isolante sulle condutture di corrente dei rotori. Era roba velenosissima che ti faceva bruciare gli occhi e il naso e se te ne cadeva una goccia addosso non te la toglievi più. Roba pericolosa che in seguito ne è venuto fuori uno scandalo». Era il “declassamento”. La ragione addotta ufficialmente dall’azienda era che le lavorazioni al tornio delle quali sino ad allora Gino era stato incaricato potevano ormai essere eseguite automaticamente a macchina. In realtà si trattava di una punizione. Gino non era un “collaborativo”, non amava lo straordinario e i comandi, era comunista e non lo nascondeva. Per quegli anni – anche se il '68 era alle porte – si trattava di intollerabili eccessi di autonomia. Non c’è molto da aggiungere, salvo che Gino è morto a settant’anni di tumore.
Prima di andare in pensione Gino aveva avuto un ultimo e forse determinante scontro con l’azienda. Il 5 giugno 1975 la direzione gli aveva contestato, in relazione ad una bolla di 66,30 ore, uno sforamento di 26,45 ore e una corrispondente caduta di rendimento. Gino aveva risposto chiedendo una verifica del tempo di emissione della bolla. In data 4 luglio la direzione aveva risposto di ritenere validi i tempi originariamente assegnati, stabiliti durante una rilevazione del febbraio e confermati da una successiva verifica avvenuta in giugno proprio a seguito delle proteste di Gino. Nei confronti di Gino veniva dunque adottato il provvedimento disciplinare del rimprovero scritto minacciando “più gravi provvedimenti” nell’eventualità di futuri eventuali sforamenti. Insieme alle lettere della direzione Gino ha conservato il promemoria con cui aveva affrontato la discussione con i rappresentanti aziendali. Pubblico di seguito le une e l'altro come appendice al quaderno.
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