Un atto di Resistenza
Fascisti! ancora 300 km di vita!





Del club dei compagni del Museo, Ugo, Paolo e Ezio sono stati attivi nella Resistenza. Paolo come giovane staffetta, Ugo, disertore dalla marina e membro di una squadra SAP (Squadre di Azione Patriottica) in città, e Ezio che prima di salire in montagna coi partigiani ha partecipato attivamente alla cospirazione. Ventenne militare in Francia, imprigionato dai tedeschi dopo l'8 settembre, in attesa di essere trasferito in Germania, Ezio era riuscito a fuggire e a rientrare in Italia, a casa, nascosto.
«Il nostro, il mio concetto di patria», dice, «veniva da quel giorno lì. Era qualcosa da demolire dalle fondamenta. Non sapevamo cosa avremmo fatto dopo ma sul cancellare tutto, azzerare quello che c'era stato prima, dal re al fascismo, a quelli che ci avevano costretto a fare le cose che avevamo fatto ma che non avremmo mai voluto fare, eravamo tutti d'accordo».
Così Ezio era rimasto nascosto fino all'inizio della primavera, quando il fratello maggiore gli aveva proposto di entrare in cospirazione dove lui già operava dall'autunno del '43. Una proposta cauta che lasciava a Ezio la possibilità di una ritirata dignitosa, ma lui aveva accettato.
«Propaganda: un lavoro di manovalanza, non entusiasmante: i cliché sempre pieni di inchiostro, sempre casini. Loro scrivevano e io battevo a macchina. Loro erano il Fronte della Gioventù e il giornalino che facevamo si chiamava appunto "Fronte della Gioventù". Ma non ero il tipo di militante permeato di politica al punto da trarre soddisfazione da quel genere di compiti».
Così per alcuni mesi fino a quando c'era stato l'incontro col livello più alto, con il capo. Calmo, convincente gli aveva detto che dietro al Fronte, le SAP, i partigiani in montagna, le taglie, il Soccorso Rosso, c'erano sempre loro, i comunisti. Che lo apprezzavano e proponevano un salto di qualità dei suoi compiti cospirativi; in altre parole un aumento dei rischi. Così dalla tipografia era passato alla raccolta delle taglie, al sabotaggio, alle scritte stradali. Fascisti ancora 300 km di vita era stato il suo capolavoro. Tracciata sulla casa del fascio di Bolzaneto la scritta, prima di essere faticosamente cancellata, era stata vista da tutti.
«Era la fine novembre del '44, pochi giorni dopo il proclama di Alexander; voleva dire ai fascisti che con o senza l'avanzata alleata, ne avrebbero comunque avuto ancora per poco. La casa del fascio aveva alla base una decorazione di lastre di travertino, sarà stata 12 m, e l'idea di scriverci era eccitante. La loro casa: una sfida. Sapevo fare in modo rapidissimo lo schizzo essenziale della faccia di Garibaldi con relativa stella. La frase l'aveva pensata mio fratello; ironica e non truculenta come al solito. A scrivere sono andato io, di notte, col coprifuoco. Avevo un buon occhio e, dopo esserci passato davanti diverse volte, mentalmente avevo preso le misure, fatto i miei calcoli. Ad agire con me Cicillo, il calzolaio. Io col pennello e lui col secchio dove avevamo mescolato tinta e bitume. Un risultato sensazionale; una emozione quasi come per il primo maggio '44 quando sulla ciminiera della Bruzzo alta 30 metri era comparsa la bandiera rossa. Eppure di quel gesto così sfrontato e pericoloso - abbiamo agito in due senza nessuna copertura e tutta la delegazione ne aveva parlato - non ha lasciato traccia. E non solo quello, penso anche ad altri gesti - non molti - che ebbero allora un'eco enorme ma che in seguito furono dimenticati. Come se non potessero far parte dell'epica resistenziale. O perché non ne avevano le parole giuste - e questo potrebbe essere il caso della nostra scritta peraltro approvata dal partito - o perché erano azioni arrischiate o finite male per insipienza nostra o perché si trattava di azioni a perdere, messe in opera solo per far vedere che l'antifascismo, il partito c'era. Non lo dico perché penso che siano gesti che debbano trovare un posto nella storia, no: solo che m'è venuto il dubbio che la loro dimenticanza - o la censura - non siano casuali». (Sabato 14 marzo 2004)


Manlio Calegari

Il Museo degli Operai


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