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Gli anni Cinquanta all'Ansaldo Cantieri
Lattone e cartellino: portuali ed operai


«Oggi è stato necessario arrivare al caffé prima che qualcuno si decidesse a tirare fuori il rospo del museo. Da certe parole lasciate cadere prima di metterci a tavola ho capito che qualche pensiero ce l'avevano dedicato ma nessuno voleva darlo a vedere o fare la prima mossa. A sorpresa Ugo, seduto di fronte a me, ha messo la mano in tasca e ha tirato fuori uno scatolino di ottone. - Ecco, ha detto appoggiandolo sul tavolo, una cosa così è giusta per il tuo museo? - Ha detto "tuo" con una intenzione benevola ma che lascia intendere come consideri il progetto un omaggio personale a me. Ho incassato. Ugo non ha portato il promesso elenco di oggetti ma proprio un oggetto, la scatolina, che subito comincia a passare di mano in mano. Solo 4 o 5 sanno di cosa si tratta...».



«- Ma l'è u lattun" - dice uno di loro. E, sempre in dialetto, ha aggiunto - però questa è roba da portuali non da operai -. E' seguita una discussione in cui quasi tutti han messo bocca. La scatolina, il "lattone" (9 per 6 cm, altezza 3 mm) - ho chiesto a Ezio di disegnarla - apparteneva al padre di Ugo, Andrea detto Dria, portuale del ramo carboni, morto in un incidente sul lavoro nel 1953, a 59 anni, mentre lavorava in una stiva. All'interno, applicata in modo sommario, c'è una sorta di carta di identità: dati anagrafici, foto, compagnia portuale di appartenenza. Il lattone era il punto di arrivo della carriera del portuale: gli veniva consegnato quando, dopo mesi di avventiziato, a volte anni, entrava a far parte di una compagnia. Dria lo aveva ottenuto dopo una lunga frequentazione delle calate. Il lattone non era solo la carta di ingresso ai varchi del porto e la prova dell'appartenenza stabile ad una compagnia: voleva dire avere lavoro anche quando in porto ce n'era poco e, a volte, la possibilità di scegliere un turno o la nave da scaricare. Solo col lattone in tasca Dria si era deciso per il matrimonio da dove era nato Ugo. - Il lattone era il punto di partenza ma anche di arrivo; tutto. Per mio padre ce ne cresceva. Nessuno allora pensava di fare carriera. E quale poi? Magari quelli più vecchi riuscivano a farsi dare i lavori più leggeri ma lui non ha fatto a tempo -. Finita la curiosità per lo scatolino la convinzione generale è che il lattone col nostro museo non c'entri proprio...»



«D'accordo: anche in fabbrica c'era qualcosa del genere del lattone - prima la medaglia e poi il cartellino - ma l'analogia finiva lì. La medaglia (stava in portineria e tra i commensali solo un paio hanno fatto in tempo a vederla) aveva la forma tonda di un medaglione con sopra in rilievo la matricola dell'operaio e, in alto, un buco per poterla infilare su una punta apposita. Come in seguito si è fatto col cartellino che, dopo averlo timbrato, era trasferito da un quadro all'altro, così si faceva con la medaglia. Che passava al quadro dei presenti senza, ovviamente, il particolare della timbratura... Mentre se ne parla riesco finalmente a capire il significato di un documento della Questura relativo alle proteste operaie avvenute, a Genova, tra la fine del 1943 e l'inizio del 1944, in piena occupazione tedesca. Cose che studiavo anni fa. Gli operai scelti dai compagni per portare di fronte alle direzioni le richieste salariali, parlavano "in ordine di medaglia". Intendevano così evitare ritorsioni e far intendere che a parlare non erano i capi della rivolta ma chi, casualmente, in quella delegazione aveva volta a volta il numero più basso o più alto».

(Sabato 14 marzo 2004)


Manlio Calegari

Il Museo degli Operai


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