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Gli anni Cinquanta all'Ansaldo
Cantieri a suttumisciun: guardiani e ladri
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«Parole: medaglia, cartellino, orologio per timbrare, portineria, guardiani, controllo, perquisizione e "l'imparziale". Se l'imparziale - un meccanismo il cui il nome voleva sottolineare la neutralità - suonava al passaggio di un operaio, seguiva la perquisizione. I guardiani avevano il potere di controllo su tutta l'area interna alla fabbrica che percorrevano in bicicletta. Per gli operai scoperti fuori del loro reparto senza autorizzazione c'era il rapporto. Così fino al 1970 quando era entrato in vigore lo Statuto dei lavoratori».
«Con guardiani e controllo entra nella conversazione anche la parola furto e, con alcune altre precisazioni, la parola spia. Le osservazioni e i ricordi personali tratteggiano la fabbrica come un territorio, chiuso da ogni parte, presidiato ai varchi da uomini che anche all'apparenza risultavano sgradevoli. Tra le parole usate per definirli: "ceffi" e "marmaglia". [...] Il furto riguardava in genere i materiali più pregiati, rame, stagno, ma anche materiali di scarso valore. Tutti concordano che i sentimenti principali alla base del furto siano due: una sorta di risarcimento per la miseria con cui si viene retribuiti e l'impressione di abbondanza e specialmente di spreco che colpisce chi lavora in un qualsiasi reparto. Fatti di fronte ai quali qualsiasi prelievo appare irrilevante e quindi giustificabile. Infine - e non priva di peso - c'è la gara di abilità: farcela a portar fuori roba a dispetto della vigilanza. Una sorta di confronto sportivo con cui l'operaio afferma la sua superiorità sull'organizzazione di controllo».
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| «Un confronto pericoloso perché almeno fino alla fine degli anni Sessanta per quelli sorpresi a rubare c'era il licenziamento in tronco e la perdita della liquidazione - Anche se lavoravi lì da 20 0 30 anni; e ti dicevano che erano buoni perché non ti denunciavano.- [...] A volte quello che era stato sorpreso si piegava a fare la spia. La perquisizione avveniva in un locale appartato e nessuno sapeva chi era stato pizzicato. Che nessuno venisse a saperlo era un vantaggio sia per l'interessato sia per l'azienda. - Poteva succedere che chi entrava sporco uscisse pulito; solo che per farti perdonare dovevi patteggiare-. Ma se c'era anche solo il sospetto, ha aggiunto Ezio, - li tenevamo d'occhio-. |
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«C'entrano tutte 'ste storie di furti, spie e guardiani con il nostro museo? La domanda, al solito, l'ha fatta Lino. Nel silenzio generale che ne è seguito, Ugo, efficacemente, ha preso la mia parte, in dialetto.
- Lo vedi lo stabilimento, ha detto a Lino, il cancello e quelli lì che giravano con la bicicletta, che ogni volta che mettevi il naso fuori del reparto ce li avevi alla schiena? E lo vedi, nel reparto, quello che diceva al capo a che ora quella mattina avevi cominciato a far andare la macchina? E, all'uscita, quell'affare che suonava quando passavi e che pensavamo che fossero loro a farlo squillare? Ben, se il museo parla di noi allora questa è tutta roba che ci va. A suttumisciun; che nu ti puevi tià in sciou che ti l'aveivi addossu (la sottomissione, il non poter tirare un respiro senza averli addosso). Diversamente cosa servirebbe farlo?-»
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Manlio Calegari
Il Museo degli Operai
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Indice
Venerdì 23 gennaio 2004
Sabato 14 marzo 2004
Sabato 17 aprile 2004
Venerdì 14 maggio 2004
Venerdì 11 giugno 2004
Sabato 10 luglio 2004
Giovedì 26 agosto 2004
Sabato 9 ottobre 2004
Sabato 13 novembre 2004
Sabato 4 dicembre 2004
Sabato 18 dicembre 2004
Postfazione 2007
Frammenti di un museo virtuale
L'album di Ezio Bartoli
Il taccuino di Pippo Bertino
La memoria di Gino Canepa
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