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Linda Risso
Introduzione
Gli storici hanno dedicato scarsa
attenzione alla breve esperienza di Unità Popolare e quando se ne sono
occupati, si sono limitati a richiamare il ruolo svolto dal gruppo nella
sconfitta della “legge truffa” in occasione delle elezioni del 7 giugno 1953,
ignorando i successivi quattro anni di vita del movimento.[1] La
pubblicazione degli indici di “Nuova Repubblica”, foglio ufficiale del
movimento, vuole colmare almeno in parte questo vuoto e sollecitare nuove e più
approfondite ricerche.
Oltre ad essere la fonte
principale per ricostruire l’esperienza di Unità Popolare, “Nuova Repubblica”
offre agli storici uno dei più interessanti osservatori sulla politica italiana
degli anni Cinquanta. Rifiutando la prospettiva di trasformarsi in ‘partito’ e
ponendosi piuttosto come centro propulsore di un generale rinnovamento della
sinistra, il movimento di Unità Popolare aveva individuato nella libera
discussione tra militanti – anche di formazioni diverse, come il
movimento di Cucchi e Magnani, per esempio, o quello di Comunità, e, nei limiti
della scarsa libertà di espressione concessa ai rispettivi iscritti, PSI e PCI
– il terreno forse più importante della propria azione.
Il parallelo con “Il Mondo”
di Pannunzio, con il quale “Nuova Repubblica” condivideva non solo una larga
fetta di lettori, ma anche molti collaboratori (Dino Boschi, tra i tanti,
vignettista de “Il Mondo”), è inevitabile. Pur nella diversità dei progetti
politici, il retroterra culturale dei due gruppi era praticamente lo stesso, e
molto simili risultavano gusti e interessi, come si vede già nell’impostazione
grafica di “Nuova Repubblica” (pur così povera rispetto a quella del “Mondo”) e
nel tono pacato e non di rado ironico dei titoli, in contrasto con la piattezza
seriosa o la rozzezza aggressiva (talvolta decisamente volgare: si pensi
all’“Uomo qualunque”) di altri giornali, di destra e di sinistra, tenuti a
riprodurre all’infinito le elementari formule di propaganda dei rispettivi
blocchi di riferimento.
Più che nelle pagine
politiche le affinità di “Nuova Repubblica” con “il Mondo” appaiono evidenti
nelle rubriche culturali e di costume (curate per le arti da Enrico Crispolti
e, eccezionalmente, Maurizio Calvesi, per lo spettacolo da Vito Pandolfi,
Fernaldo Di Giammatteo, Claudio Zanchi, Ludovico Zorzi, per la letteratura da
Lanfranco Caretti, Pier Francesco Listri, Armanda Guiducci, Dino Menichini,
Gianni Scalia). Anche l’attenzione per quanto accadeva fuori d’Italia
apparteneva alla lezione del “Mondo”: mi riferisco soprattutto alle
corrispondenze dall’estero, come quelle di Giuseppe Andrich da Parigi, di
Massimo Salvadori e Mino Vianello da New York, di Carlo Gonzalez Rivera e di
Victor Alba da e sull’America Latina, di Enzo Collotti (Martin Fischer) da Bonn e sul mondo di lingua tedesca,
di Carlo Doglio da Londra, di Ramon Alvarez Mesa sulla Spagna, di François
Fejto sui paesi del blocco socialista. La rubrica “Libri e problemi”, poi
ribattezzata “Biblioteca”, proponeva spesso libri pubblicati all’estero e non ancora
tradotti in Italia.
Per la storia collaboravano a
“Nuova Repubblica”, tra gli altri, Carlo Francovich, Giorgio Spini, Claudio
Cesa, Leo Valiani (lector),
Enzo Collotti; per l’economia Piero Barucci e, soprattutto, Gino Luzzatto,
titolare della rubrica “Taccuino dell’economista” che apparve quasi
regolarmente nei primi 21 numeri del giornale; per le relazioni internazionali,
tra gli altri, Franco Ravà. Nelle “Pagine di cultura contemporanea” venivano
ospitati, talvolta in più puntate, lunghi saggi di autori italiani, come Luigi
Repossi (Il movimento sindacale in Italia), Giuseppe Gesualdo (La riforma fondiaria in Sicilia, poi ripubblicato in fascicolo a parte),
Gino Luzzatto (Pianificazione economica in regime democratico), e stranieri, specialmente inglesi e
quasi tutti di area laburista: D.H.S. Crossman (Verso una filosofia del Socialismo), John Strachey (Riesame
del marxismo), G.D.H.
Cole (Rilancio del socialismo mondiale), Harold Wilson (La guerra contro la miseria).
I principali
esponenti di Unità Popolare erano, ovviamente, tra i più assidui collaboratori
di “Nuova Repubblica” a cominciare da Tristano Codignola e Paolo Vittorelli,
entrambi membri del Comitato Direttivo. Meno frequenti di quelli di Codignola e
Vittorelli, ma politicamente non meno importanti, erano gli interventi di
Ferruccio Parri, che era il leader più prestigioso del movimento e che
dall’ottobre del 1955 entrò a far parte del Comitato Direttivo del giornale.
Tra i notisti politici ricorrevano i nomi di Piero Caleffi, Aldo Garosci (titolare
della rubrica “Italia oggi”, comparsa con regolarità tra il gennaio e il maggio
del 1953), Claudio Cesa, Giulio Chiarugi, Paolo Pavolini, Umberto Olobardi (cui
era affidata, con lo pseudonimo Ognuno, la rubrica “Plausi e botte”), Giuseppe Favati, Franco
Ravà, Franco Morganti. Non manca il nome di uno dei padri spirituali del
movimento: Gaetano Salvemini, inizialmente assai critico verso Unità Popolare,
per i danni che la sua nascita non poteva non arrecare ai partiti della
sinistra democratica, PRI e PSDI, ma progressivamente sempre più vicino alle
sue posizioni.
Dei problemi
del Mezzogiorno si occupavano Beniamino e Nello Finocchiaro, Domenico Novacco e
il gruppo di Danilo Dolci, personalmente molto vicino al movimento di Unità
Popolare e al cui caso “Nuova Repubblica” dedicò diversi articoli e uno dei
suoi otto supplementi monografici.[2] Di politica
estera, a cui era specificamente dedicata la rubrica
“15 giorni nel mondo” affidata a Paolo Vittorelli, scrivevano Guido
Fubini e Ferdinando Vegas. I temi della società, del costume, delle donne,
della vita nei paesi di provincia trovavano spazio, ancora una volta sul
modello del “Mondo” nelle “lettere provinciali” di Andrea Rapisarda (apparse
però solo nei primi tre numeri del giornale), negli articoli di Anna Garofalo e
di Marcella Olschki, nelle “Pagine di diario” di Giacomo Noventa, comparse
saltuariamente a partire dal n. 57 dell’8 maggio 1955, nelle “Nore romane” di
Mario Melloni, nella rubrica “Plausi e botte”.
Il sindacato era uno dei
grandi temi al centro dell’attenzione di “Nuova Repubblica”. Proprio nelle
“Pagine di cultura contemporanea”, per esempio, ben undici puntate erano state
dedicate a Il movimento sindacale in Italia di Luigi Repossi, mentre i saggi di
Harold Wilson La guerra contro la miseria e di Aneurin Bevan, La riforma sanitaria in Inghilterra, riproponevano un tema per molti aspetti
complementare a quello sindacale: lo stato assistenziale, una delle bandiere di
Unità Popolare e una delle glorie del laburismo britannico. “Nuova Repubblica”
si sforzò di rispecchiare i fermenti che anche in relazione all’inerzia
burocratica della CGIL e soprattutto all’impossibilità oggettiva in cui il
sindacato di sinistra si trovava di operare liberamente in fabbrica, agitavano
negli anni Cinquanta il mondo del lavoro. Oltre a numerosi articoli (tra cui
quelli di Piero Bianconi, impegnato nella lotta per una maggiore democrazia
all’interno della CGIL), due rubriche fisse erano specificamente dedicate al
sindacato: “Lavoro e sindacati” a cura di Franco Verra, e “Vita di Fabbrica” a
cura di “c.s.t.”, vale a dire Antonio Carbonaro, Antonio Scalombri e Pino
Tagliazucchi.
Nata come quindicinale, col
numero 56 “Nuova Repubblica” si trasformò in settimanale. La cosa rappresentò
per la redazione e per tutto il movimento un grande sforzo organizzativo ed
economico. I mezzi a disposizione del giornale erano sempre stati assai scarsi.
Le risorse finanziarie provenivano quasi esclusivamente dagli abbonamenti e da
contributi volontari e solo in piccola parte dalle inserzioni pubblicitarie,
per altro assicurate da un piccolo numero di aziende e di imprenditori vicini
al movimento: Einaudi, Olivetti, Pellizzari e, naturalmente, La Nuova Italia di
Tristano Codignola. Anche la diffusione del giornale era in buona parte
affidata ai militanti, che si facevano carico, tra l’altro, del controllo delle
edicole e delle vendite.
In mancanza di un apparato
organizzativo stabile “Nuova Repubblica” era il principale strumento di
collegamento tra la direzione di Unità popolare e i gruppi locali e questa era
stata una delle ragioni che avevano giustificato il cambio di periodicità. A
queste funzioni organizzative furono destinate specifiche rubriche, come
“Gruppi al lavoro” e, indirettamente, “Plausi e botte”. La prima forniva un sommario
delle attività dei gruppi locali; la seconda era una rassegna di situazioni ed
episodi della provincia italiana che meritavano, appunto, “botte” o “plauso”. A
partire dal settembre del 1955 iniziò le pubblicazioni un “Bollettino interno
di informazione”, interamente dedicato alle iniziative e ai problemi delle
organizzazioni periferiche.
Dal 20 febbraio 1954 e sino
al 26 marzo 1955, a “Nuova Repubblica” si era affiancata per iniziativa dei
gruppi parriani di Roma, la “Lettera agli amici di Unità Popolare” di cui
uscirono in totale 44 numeri. Il Comitato promotore era formato da Enrico
Bonomi, Vindice Cavallera, Ferruccio Parri, Leopoldo Piccardi, Nunzio
Sabbatucci, Pier Luigi Sagona, Oliviero Zuccarini. Anche la “Lettera” aveva una
periodicità settimanale e naturalmente molti dei suoi collaboratori scrivevano
anche su “Nuova Repubblica”.
Con la progressiva presa di
distanza del Partito Socialista dai comunisti, concretizzatasi tra l’altro
nella decisione di presentare liste indipendenti alle elezioni amministrative
siciliane, la funzione di Unità Popolare parve a molti suoi militanti esaurita.
Il 1957 fu in buona parte occupato dalle trattative per l’ingresso di Unità
Popolare nel partito di Nenni. Tale confluenza comportò l’immediata chiusura di
“Nuova Repubblica” voluta dalla dirigenza dal PSI, che temeva un’eccessiva
caratterizzazione delle correnti interne. L’ultimo numero di “Nuova Repubblica”
uscì il 27 ottobre 1957. In un lungo articolo di congedo, la redazione
esprimeva apertamente il proprio rammarico per la chiusura del giornale e non
esitava ad ammettere che “non sarà facile dire o scrivere certe cose che
liberamente sono state dette e scritte qui”. Sullo stesso numero
veniva annunciata la nascita di una nuova rivista, l’“Astrolabio”, che, sotto
la direzione di Ferruccio Parri (il quale, senza opporsi alla confluenza di
Unità Popolare nel PSI, aveva preferito restarne fuori), aspirava
evidentemente a riempire, almeno in parte, il vuoto lasciato da “Nuova
Repubblica”.
Con Unità Popolare e con il suo giornale scompariva l’ultimo esile
rivolo della tradizione azionista.
[1] C’è però qualche
eccezione: L. Mercuri, Il Movimento di Unità Popolare, Roma, Carecas, 1978. Più di recente: Movimento di Unità popolare e crisi del centrismo. Atti della giornata di studi organizzata dalla fondazione Bianciardi. Grosseto 12 marzo 1994, Firenze, Giunti, 1995. Per maggiori indicazioni rinvio a L. Risso, Una piccola casa libera. Gli azionisti di Unità Popolare, in "Quaderno di Storia Contemporanea, XXVI, 35, 2004.
[2] Piero Calamandrei, In
difesa di Danilo Dolci. Gli altri sette sono: Antonio Ramirez, Otto anni di
autonomia siciliana;
Giuseppe Gesualdo, La riforma fondiaria in Sicilia; Per il Congresso
Nazionale della CGIL.
Orientamenti sindacali; Le elezioni amministrative del 1956. Una sola politica; Ferruccio Parri, Inventario
e invito per la battaglia di domani; Dal riparto fiscale della zona franca. Documenti di vita
valdostana;
E. Kardeli, Le ragioni della crisi ungherese.
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