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Marco Corradini Il teatro comico di Anton Giulio Brignole Sale Pà che sei steta a Ziena à imparà re paròle à senso Nel variato insieme degli scritti di Anton Giulio Brignole Sale la produzione drammatica non è fra le parti che hanno goduto di maggiore fortuna. Se risaliamo allo studio di inizio secolo di Michele De Marinis, troviamo un giudizio decisamente negativo, che però, prima ancora di essere una valutazione di gusto, rappresenta una severa censura morale dello « spirito volgare e lascivo che informa [...] tutte queste commedie »; ma soprattutto lo spazio accordato al teatro del Brignole non supera le quattro pagine in una monografia, interamente a lui dedicata, che ne conta più di trecentocinquanta, tanto da lasciare l’impressione di una lettura superficiale o antologica da parte del De Marinis. [1] Per incontrare un piccolo saggio che si occupi dei drammi brignoliani dobbiamo poi discendere fino al 1977, anno della comparsa su “Resine” di un articolo di Angela Irma Ricci;[2] tre anni più tardi si assiste ad un evento di maggiore importanza, ossia l’unica edizione moderna di una commedia del Brignole, I due anelli simili, curata da Romola Gallo Tomasinelli, la quale pubblica non il testo della stampa seicentesca, ma quello di un manoscritto della Biblioteca Universitaria di Genova, che testimonia una redazione più antica e non poco differente. [3] Completa questa rassegna peraltro piuttosto breve, dopo i cenni contenuti nel profilo complessivo dell’autore che dà Quinto Marini nei volumi della Letteratura ligure, un significativo intervento dovuto a Franco Vazzoler.[4]
Il primo problema che si presenta a chi intenda studiare il teatro di Anton Giulio Brignole Sale riguarda una materia ancora molto esterna, vale a dire la definizione del corpus drammatico dello scrittore. Esiste infatti una tradizione consolidata che attribuisce al Brignole un numero di opere teatrali più cospicuo rispetto a quelle che si conoscono attualmente: la notizia proviene da alcuni repertori del Seicento (Le glorie degli Incogniti, la Drammaturgia dell’Allacci, il Soprani, il Giustiniani) [5], transita con qualche variante nelle compilazioni erudite settecentesche (Quadrio, Mazzuchelli) [6] e giunge fino ai nostri anni, dal momento che alcuni contributi, come quelli della Malgarotto e della Ricci,[7] mostrano di dare credito all’informazione. In qualche caso non è difficile accertare che si tratta di errori di attribuzione, tutt’altro che rari nel caso di commedie che vengono stampate a molta distanza dalla data e dal luogo di composizione e che quindi hanno avuto una certa circolazione manoscritta. Così avviene per Il fazzoletto, che due edizioni (Venezia, s. t., 1675 e Bologna, Longhi, 1683) dichiarano essere opera del Brignole, ma che è invece di Francesco Maria Marini, come dimostra il manoscritto della Biblioteca Berio:[8] la confusione è nata verosimilmente, oltre che dalla maggiore notorietà del Brignole Sale, dall’essere egli autore dell’intermezzo di questa commedia, incentrato sul tema mitologico di Orfeo e Euridice.[9] Situazione analoga è quella del dramma per musica intitolato Il ratto di Elena, assegnato al Brignole da Michele Giustiniani, che si deve in realtà a Bernardo Morando. Gli stessi Due anelli d’altronde, la cui paternità è sicuramente brignoliana, nella stampa di Venezia, Zatta, 1670 vanno sotto il nome famosissimo di Giacinto Andrea Cicognini. Molto meno agevole delucidare la questione relativa ad altre sei presunte opere del Brignole, che risultano oggi assolutamente sconosciute ed introvabili: due melodrammi, Il figlio prodigo e l’Enone abbandonata, due tragicommedie in prosa, La madre nemica e La finta pazza savia, una commedia, La suocera, e degli Intermedii eroici in prosa e in versi; alcuni indizi a favore della loro effettiva esistenza potrebbero essere la scarsa sollecitudine dimostrata in generale dal marchese per la pubblicazione dei suoi testi comici, e soprattutto il fatto che tre di questi lavori vengano citati come non ancora stampati nel volume di elogi degli Accademici Incogniti di Venezia, edito nel 1647, cioè quando Anton Giulio non soltanto era vivo, ma non aveva ancora dato l’addio alla gloria letteraria con la scelta dell’ordinazione sacerdotale. L’estensore delle Glorie degli Incogniti, Giovan Francesco Loredan, nelle pagine immediatamente precedenti si dimostra abbastanza ben informato sulle vicende biografiche del Brignole; esistono inoltre – ciò che più importa – testimonianze di uno scambio di opere a stampa e manoscritti che intercorre tra l’accademico incognito genovese ed i colleghi veneziani, in particolare proprio tra il Brignole ed il Loredan.[10] Tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze sarà più prudente considerare, fino a prova contraria, Anton Giulio Brignole Sale come autore di tre opere comiche, I due anelli, Comici schiavi e Il geloso non geloso, e di due intermezzi in versi: quello di Orfeo sopra menzionato e quello dei Comici schiavi, che si articola in atti e scene inframezzati alla commedia ed è costruito sull’episodio omerico della maga Circe filtrato attraverso evidenti suggestioni tassiane. Tanto deve il re soggiaccere alle leggi quanto le leggi soggiacciono al suo gusto. Ho io ad esser alle vite altrui sol come giudice ordinario, non come re potente? Andiamo![42] È una riflessione antiassolutistica che riecheggia diverse pagine cebaiane; non bisogna però sopravvalutarne la portata, sia perché essa rimane assolutamente accessoria nei Due anelli, sia soprattutto perché sono altri gli argomenti politici che interessano da vicino Brignole Sale e che percorrono la sua produzione letteraria. Lo sviluppo tragico del dramma resta comunque soltanto allo stato potenziale, dal momento che le agnizioni finali conducono ad una conclusione lieta. A fianco della vicenda amorosa vissuta dai personaggi di condizione regale il Brignole pone la commedia delle maschere, le quali agiscono in un intreccio parallelo; a differenza di quanto avviene abitualmente sia nella commedia classica che nella commedia dell’arte, nel teatro del Brignole il mondo dei padroni e quello, in senso lato, dei servi rimangono in sostanza divisi e non comunicanti: ai primi, che si esprimono nella lingua letteraria, sono riservate le passioni ‘serie’, agli altri i linguaggi dialettali ed i lazzi bassamente comici. La commistione tra spunti tragici e comici rilevata a livello di trama si realizza anche nelle singole scene. Si veda ad esempio l’ottava scena del primo atto: si è appena concluso un patetico monologo nel quale Isabella ha espresso il contrasto interiore fra l’amore che prova per Alessandro e le « dure leggi » che le impongono, in quanto principessa, di non rivolgere il proprio sentimento ad un uomo di condizione inferiore, nemico e prigioniero. Nella scena in questione il conflitto tragico che porta Isabella a volere e disvolere nel medesimo tempo ha come contrappunto comico il disorientamento del carceriere che deve eseguire l’ordine, il bergamasco Mezettino: Mez.: [...] Voliv ch’al te ‘l faga venir chi lo denanz? Dunque Alessandro dalla sua prigione ha conquistato involontariamente l’animo della principessa, in un gioco ingegnoso tra prigionia fisica e prigionia amorosa che richiama alla mente i romanzi della Gerusalemme liberata: Erminia e Tancredi, Armida e Rinaldo. Il riferimento al Tasso non è casuale, poiché sotto il versante tragico dei Due anelli sembra trasparire l’influsso del Re Torrismondo. La scena che apre la tragicommedia mostra diverse coincidenze con la prima scena dell’opera tassiana, nella cui battuta d’esordio la nutrice della regina Alvida la interroga sul motivo del suo turbamento (« Deh, qual cagione ascosa, alta regina, / sì per tempo vi sveglia? »[43]), esattamente come fa Pasquale rivolgendosi a Ginevra: « Reginna cara, cose pue moè esse causa de questa vostra stovieza? ». Appena più sotto, tanto la nutrice che Pasquale, per dimostrare la legittimità della propria richiesta, invocano il merito di una lunga, fedele ed obbediente devozione: A me, che per etate, Seguono, nel Torrismondo così come nei Due anelli, la narrazione del sogno premonitore da parte della regina ed il suo racconto dell’antefatto, di cui peraltro l’interlocutore è già informato. Se il sogno iniziale che genera inquietudine e l’interrogazione del confidente accompagnata dalla dichiarazione delle proprie benemerenze sono tra i topoi della tragedia rinascimentale e barocca, alcune coincidenze testuali più minute contribuiscono ad avvicinare meno genericamente le due scene:
Ma a parte queste riprese, che nel complesso rimandano pur sempre a luoghi comuni tragici, il ricordo del Torrismondo riaffiora almeno in un altro punto della trama, allorché Alessandro e Odoardo danno vita ad una gara di generosità consistente nel rinunciare alla donna amata in favore dell’amico (a. III, sc. vii), come fanno Torrismondo e Germondo nel quarto atto del testo tassiano. Anche in questo caso sembra possibile riconoscere una vera e propria citazione nell’insistenza del Brignole sulla ‘vera amicizia’, che riprende una riflessione sviluppata nel Torrismondo e non infrequente nella tragedia di inizio Seicento; si mettano a confronto in particolare le due battute seguenti: O vero amico, Mentre tuttavia in Tasso la gara di amicizia ha uno svolgimento lineare, Brignole Sale, che tende costantemente a rielaborare le fonti in senso ‘ingegnoso’, la complica trasformandola in una disputa retorica combattuta a colpi di entimemi: Od.: Non più, Isabella, che non mi stimiate persuaso delle vostre ragioni quando già il sono dall’amicizia. Io v’ho amata et amo assaissimo e tale è l’amore quale conviensi a chi ama con cuor grande gran cosa, ma non sia ch’io ami voi più per me che per voi, volendo non quel che vorrei, ma quel che volete, né unqua si dica ch’io non habbi cooperato alle venture d’Alessandro. Fate pur lui felice, ch’io non stimarò d’havere perduta una gioia, ma d’haverla allegata. Amarò più beatamente e l’una e l’altro mentre havrò occasione d’amare l’una e l’altro.[48] Così i miei affetti se non pottranno esser più grandi di quel che sono, saranno almeno più uniti et a voi, o Isabella, sarà più caro il mio amore se sarà confuso in quel del vostro Alessandro et a voi, Alessandro, se sarà confuso con quel della vostra Isabella. La tenzone viene alla fine risolta da Alessandro grazie ad un’astuzia costruita su di un ennesimo funambolismo verbale. Ma una aggiunta di ingegnosità è individuabile anche a livello di intreccio, nel fatto che la nobile contesa si fonda su un equivoco: gli amici in realtà non amano la stessa donna, ma sono innamorati di due donne diverse.
E la sentenza di Sigismondo è la medesima di quella pronunciata dal re di Gerusalemme Aladino:
Destinati perciò a morire insieme, Matilda e Alessandro commentano la propria ventura ripetendo con leggera variazione le parole di Olindo:
Per concludere questa sorta di repertorio retrocediamo fino al prologo dei Due anelli, nel quale si dichiara: La scena è in Palermo: li accidenti son tragici per che l’autore è di natura malenconica e se bene egli ha voluto ch’anche il ridicolo sia sua opera di tutto ponto, questo è stato effetto non di genio ma di solletico fato dal desiderio che si ha di servitù.[51] L’abbondanza di richiami tassiani disseminati nei Due anelli permette forse di leggere l’accenno del Brignole alla propria malinconia anche in chiave di allusione al letterato malinconico per eccellenza e quasi per antonomasia, come se il marchese intendesse istituire un parallelo tra sé ed il grande Torquato.[52] [1] M. De Marinis, Anton Giulio Brignole Sale e i suoi tempi (Studi e ricerche sulla prima metà del seicento), Libreria Editrice Apuana, Genova 1914, p. 223. [2] A. I. Ricci, Intorno al teatro di A. G. Brignole Sale, “Resine”, gen.-mar. 1977, pp. 45-54; si veda anche, della medesima autrice, Intorno a “I due anelli simili” di A. G. Brignole Sale, “Resine”, ott.-dic. 1980, pp. 51-54. [3] A. G. Brignole Sale, I due anelli simili. Commedia in 5 atti, a c. di R. Gallo Tomasinelli, Sagep, Genova 1980 (Scrittori liguri, 2), su cui vd. le recensioni di F. Croce, “La rassegna della letteratura italiana”, 84 (1980), pp. 655-659 e G. Ponte, “Italianistica”, 6 (1981), pp. 112-117. Il manoscritto edito è conservato presso la Bibl. Universitaria con la segnatura E. IV. 3. [4] Q. Marini, Anton Giulio Brignole Sale, in AA. VV., La letteratura ligure. La repubblica aristocratica (1528-1797), I, Costa e Nolan, Genova 1992, pp. 351-389: la trattazione del teatro è alle pp. 377-379; F. Vazzoler, Equivoci della politica, equivoci della scena nella Genova barocca. Appunti sul teatro di Anton Giulio Brignole Sale, in AA. VV., Il valore del falso. Errori, inganni, equivoci sulle scene europee in epoca barocca, a c. di S. Carandini, Bulzoni, Roma 1994, pp. 195-214. [5] G. F. Loredan], Le glorie degli Incogniti, o vero gli uomini illustri dell’Accademia de’ signori Incogniti di Venezia, Venezia, Valvasense, 1647, p. 69; L. Allacci, Drammaturgia, divisa in sette indici, Roma, Mascardi, 1666, pp. 703-704; R. Soprani, Li scrittori della Liguria e particolarmente della marittima, Genova, Calenzani, 1667, p. 42; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, I, Roma, Tinassi, 1667, p. 92. [6] F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, III-i, Milano, Agnelli, 1744, pp. 354 e 467; G. M. Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia, cioè notizie storiche e critiche intorno alle vite e agli scritti dei letterati italiani, Brescia, Bossini, 1753-1763, II, p. 2098. [7] P. Malgarotto, Brignole Sale, Anton Giulio, in Dizionario critico della letteratura italiana, I, Utet, Torino 19862, p. 410; Ricci, Intorno al teatro di A. G. Brignole Sale, p. 45. [8] Genova, Civica Biblioteca Berio, ms. catalogato con segnatura m. r. II. 2. 2. Su di esso si fonda una recentissima edizione: F. M. Marini, Il fazzoletto, a c. di F. Toso e R. Trovato, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1997 (Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XIX, 288). [9] Il bell’Intermedio composto dal signor Anton Giulio Brignole, purtroppo mutilo del finale, chiude il manoscritto del Fazzoletto, ed è pubblicato da De Marinis (Anton Giulio Brignole Sale, pp. 309-317), il quale però lo svaluta fortemente, ed ora con maggiore cura da Trovato alle pp. 233-243 dell’edizione realizzata in collaborazione con Toso. [10] Da una lettera dell’Assarino (Diverse lettere e componimenti di Luca Assarino, con un saggio del Demetrio ch’ora egli sta scrivendo, Venezia e Macerata, Grisei, 1640, p. 74: cfr. R. Gallo, Anton Giulio Brignole Sale, “Miscellanea storica ligure”, 7 (1975), n. 2, pp. 177-208: 184-185) apprendiamo che Giovan Francesco Loredan gli ha spedito un « fagottino » di libri che egli fa leggere al Brignole; questi mostra di apprezzare in particolare il « capriccio del Cimiterio »: si tratta della fortunata raccolta di epigrammi funebri scherzosi che conosce svariate edizioni con ampliamenti a partire dal 1638 (G. F. Loredan - P. Michiel, Cento epitafii giocosi, Milano, Ghisolfi, 1638. Il titolo Il cimiterio compare però soltanto nel 1645). È invece Giovan Battista Manzini ad informarci che l’invio di opere in lettura viene praticato anche in senso opposto, da Genova verso Venezia: nella postfazione alle Instabilità dell’ingegno brignoliane, di cui egli cura la prima edizione (Bologna, Monti e Zenero, 1635), Manzini ricorda infatti come prima della stampa del libro diverse copie a penna circolassero tra le mani degli Incogniti. « Ancora tutti da indagare » vengono definiti i rapporti tra i letterati liguri – oltre al Brignole e all’Assarino, Bernardo Morando, Giovan Vincenzo Imperiale, Agostino Mascardi, Angelico Aprosio ed altri – da F. Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica a Genova nel primo Seicento, in AA. VV., La letteratura ligure. La repubblica aristocratica, I, pp. 217-316: 230. [11] Genova, Biblioteca Universitaria, manoscritto F. III. 16. [12] Contenuto in un codice della Biblioteca Berio (m. r. II. 1. 8) ed ora edito per la prima volta da Fiorenzo Toso con un’introduzione di Roberto Trovato: P. G. Capriata, Ra finta carité, Le Mani, Recco 1996. [13] R. Sgambati, La finta zingara, Bologna, Monti, 1651; La zingara, Genova, Calenzani, 1664. Il duplice titolo distingue due redazioni differenti: nell’edizione del Calenzani la commedia è ambientata a Genova anziché a Napoli e reca parti in dialetto genovese; se fosse fondata l’ipotesi della nascita genovese dell’opera, tali parti sarebbero da ritenersi originali. Lo Sgambati, morto nel 1648, è autore almeno di un’altra commedia, stampata postuma e sotto pseudonimo: Giovanni Scaftembraz, La pellegrina, data in luce dal sig. Domenico de Prado, Napoli, Gennaro e Vincenzo Muzio, 1730. Nel suo caso, ovviamente, basta lo status di religioso a giustificare la volontà di non pubblicare i testi comici. [14] Di vario amor capriccioso intrico, comedia del Gran Baruno Ramussatore Orbipolitano, Genova, Pavoni, 1612. [15] Sugli spettacoli teatrali della Genova della prima metà del XVII secolo: L. T. Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei genovesi. Dissertazione seconda, “Archivio storico italiano”, III serie, 15 (1872), pp. 417-477 e 18 (1873), pp. 112-137; Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica, pp. 230-245; per una bibliografia completa, vd. La letteratura ligure, II, pp. 382-383. Sul Falcone, definito dal Brignole « maestevole teatro di figura ovata e di immensa capacità » ([A. G. Brignole Sale], Il carnovale di Gotilvannio Salliebregno, Venezia, Pinelli, 1639, p. 179): A. F. Ivaldi, Gli Adorno e l’Hostaria-teatro del Falcone di Genova (1600-1680), “Rivista italiana di musicologia”, 15 (1980), pp. 87-152. [16] Il manoscritto dei Due anelli custodito presso la Biblioteca Universitaria reca l’intestazione « Commedia [...] recitata nella città di Genova nel Carnevale dell’anno 1637 »: Francesco Saverio Quadrio fornisce l’elenco completo degli interpreti della rappresentazione, aristocratici definitisi « Comici Annuvolati » (Della storia e della ragione d’ogni poesia, III-i, p. 354); la medesima compagnia di dilettanti, esistente almeno a partire dal 1635, come dimostra un foglio a stampa contenente una sua duplice impresa accompagnata da alcuni versi (su cui vd. la scheda di Graziano Ruffini nel catalogo della mostra Genova nell’età barocca, Nuova Alfa, Genova 1992, p. 444), reciterà nel 1642 Il fazzoletto del Marini, con attori in parte differenti. Nel frontespizio dei Comici schiavi (Cuneo, Strabella, 1666) si indica come la commedia sia stata « rapresentata in S. Pier d’Arena ». Infine, di una meno prevedibile messa in scena romana del Geloso non geloso, curata tra il 1638 ed il 1641 dal poliedrico Teodoro Ameyden, informa M. G. Profeti, Lope a Roma. Le traduzioni di Teodoro Ameyden, “Quaderni di lingua e letteratura”, 10 (1985), pp. 89-105: 94. [17] Brignole Sale, Il carnovale, p. 43. [18] Vi accenna F. Vazzoler, Comici professionisti, aristocratici dilettanti e pubblico nella Genova barocca, in Genova nell’eta barocca, pp. 516-520: 518; gli statuti degli Addormentati, fondati nel 1587, si trovano nell’Archivio di Stato di Genova, Politicorum, VII, 50. [19] Nelle Instabilità dell’ingegno, del 1635, viene chiesto ad un personaggio, come penitenza di un gioco, di spiegare la ragione di « quel che si dice, cioè a dire l’Academia de gli Addormentati risvegliarsi solo nel carnovale » (A. G. Brignole Sale, Le instabilità dell’ingegno, Bologna, Monti e Zenero, 1635, p. 48). [20] Di questo romanzo sacro vd. l’edizione moderna: A. G. Brignole Sale, Maria Maddalena peccatrice e convertita, a c. di D. Eusebio, Fondazione Bembo / Guanda, Parma 1994. [21] A. G. Brignole Sale, Gli due anelli, Lucca, Paci, 1664; altre edizioni: Bologna, Pisarri, 1669; Venezia, Zatta, 1670 (con attribuzione a Giacinto Andrea Cicognini); Macerata, Piccini, 1671. Gio. Gabrielle Antonio Lusino [A. G. Brignole Sale], Comici schiavi, Cuneo, Strabella, 1666 (comprendente il citato intermezzo di Ulisse e Circe). A. G. Brignole Sale, Il geloso non geloso, Venezia, Zatta, 1663. [22] G. A. Marini, Il Calloandro. Tragicomedia, Genova, Guasco, 1656; Le gare de’ disperati. Tragicomedia, Genova, Calenzani, 1660. [23] G. B. Manzini, L’avarizia scornata. Commedia morale, Bologna, Ferroni, 1663, p. 1. [24] Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica, p. 233 [25] Brignole Sale, Il carnovale, p. 14. [26] Brignole Sale, Il carnovale, p. 20. Cfr. De Marinis, Anton Giulio Brignole Sale, p. 216 e C. Costantini, La Repubblica di Genova nell’età moderna, Utet, Torino 1978, p. 285. [27] Genova, Bibl. Universitaria, 3. B. II. 11, pp. non numerate. Gli sposi sono Camilla Doria, figlia di Costantino, e Giovanni Grillo. [28] Giovanni Scriba [L. T. Belgrano], La commedia sostenuta nella prima metà del seicento, “Caffaro”, 18 febbraio 1883. [29] Brignole Sale, Il carnovale, pp. 41-42: cfr. Gallo, Anton Giulio Brignole Sale, p. 195; Ead., Introduzione a Brignole Sale, I due anelli simili, p. 32. [30] Graziano: [...] At chiam, at provoc, at desfid in quest’ann del 1635, in quest giorn, in quest’hora, in quest punt, in quest moment qui » (Brignole Sale, I due anelli simili, p. 50; cfr. Introduzione, p. 29). [31] Chiavari, Bibl. della Società Economica, ms. 3. Z. IV. 32. Codice cartaceo del XVII sec. rilegato in pergamena, mm. 140 per 110, di 357 cc. numerate a partire dal fondo: le cc. 1-151 sono bianche, le cc. 152-357 contengono il testo del dramma. La mano del copista è unica. Una mano posteriore ha aggiunto dopo il titolo: « Gli due Annelli. In Lucca, per Giacinto Paci, 1664. In 12 ». Il codice fa parte del lascito di Giuseppe Gazzino del 1844. Ne dà per primo notizia F. Toso, Letteratura genovese e ligure. Profilo storico e antologia, II, Cinquecento e Seicento, Marietti, Genova 1989, p. 56.nota [32] Agostino Pinelli, comico Annuvolato, figura tra gli interpreti sia dei Due anelli nel 1637 che del Fazzoletto nel 1642, ed è anche uno dei personaggi del Carnovale, dove compare con il nome di Agostillo Pellino. [33] G. B. Andreini, Lo schiavetto, Milano, Malatesta, 1612 (ora in Commedie dei comici dell’arte, a c. di L. Falavolti, Utet, Torino 1982); G. B. Andreini, Le due comedie in comedia, Venezia, Imberti, 1623 (ora in Commedie dell’arte, a c. di S. Ferrone, II, Mursia, Milano 1987). Già Vazzoler, Equivoci della politica, p. 211 affianca i Comici schiavi a Le due comedie in comedia, ma piuttosto per segnalare la diversa funzione della situazione metateatrale per i due autori. [34] Sulla quale vd. L. Mariti, Commedia ridicolosa. Comici di professione, dilettanti, editoria teatrale nel Seicento. Storia e testi, Bulzoni, Roma 1978, che a p. XXXIII ricorda anche i Comici schiavi. [35] A. G. Brignole Sale, Tacito abburatato. Discorsi politici e morali, Genova, Calenzani, 1643, p. 22. Non ignoro l’opinione, che risale al De Marinis, secondo cui i discorsi stampati nel Tacito furono pronunciati dal Brignole davanti agli Addormentati nel 1636, all’epoca del suo principato in Accademia; ritengo tuttavia che almeno il primo discorso, « introduttorio », sia da considerarsi composto in un tempo molto più vicino alla data di pubblicazione: tra l’altro in esso Brignole Sale si rivolge per due volte al « signor prencipe », e quindi non può rivestire in quel momento tale carica. [36] Così Fiorenzo Toso presenta i tre caratteri fissi: « Il vecchio innamorato, la servetta civettuola, lo spaccone ammazzasette » (Letteratura genovese e ligure, II, p. 49); cfr. anche gli analoghi rilievi di Trovato (Marini, Il fazzoletto, p. XXV). È stata recentemente riportata alla luce una lirica, trascritta dal manoscritto m. r. II. 1. 8 della Berio, che conferma la propensione del Brignole all’uso letterario del proprio dialetto, riservato tuttavia ai componimenti comici: F. Toso, Una poesia in genovese di Anton Giulio Brignole Sale, “A Compagna”, n. s., 29 (1997), n. 1, pp. 4-5. [37] Sulla fama di assoluta incomprensibilità del genovese, suffragata da un testo dell’importanza dell’Ercolano di Benedetto Varchi, si sofferma il Toso (Marini, Il fazzoletto, pp. XLIV-XLVI). [38] L. Malfatto, L’inventario della biblioteca di Anton Giulio Brignole Sale, “La Berio”, 28 (1988), n. 1, pp. 5-34. [39] I. Andreini, Rime, Milano, Bordone e Locarni, 1601. Sulla commedia dell’arte a Genova: Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei genovesi; Inventione di Giulio Pallavicino di scriver tutte le cose accadute alli tempi suoi (1583-1589), a c. di E. Grendi, Sagep, Genova 1975 (Scrittori liguri, 1); Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica, pp. 232-233; Id., Comici professionisti, aristocratici dilettanti e pubblico, pp. 517-518.nota [40] Comici dell’arte. Corrispondenze. G. B. Andreini, N. Barbieri, P. M. Cecchini, S. Fiorillo, T. Martinelli, F. Scala, ed. diretta da S. Ferrone, a c. di C. Burattelli, D. Landolfi, A. Zinanni, Le Lettere, Firenze 1993. [41] “Gazzetta di Genova” o “Novellari” del 23 marzo 1641: Belgrano, Delle feste e dei giuochi dei genovesi, p. 436. [42] Traggo le citazioni dall’edizione della Gallo, di cui seguo anche la divisione in atti e scene. [43] T. Tasso, Il re Torrismondo, vv. 1-2. Cito dall’edizione a c. di V. Martignone, Fondazione Bembo / Guanda, Parma 1993. [44] Tasso, Torrismondo, vv. 9-13. [45] ‘Cangiare il pelo’ per ‘invecchiare’ è stilema petrarchesco: RVF CXXII, 5; CXCV, 1; CCLXXVII, 14; CCCXIX, 12; CCCLX, 41. [46] La scena dei Due anelli funge a sua volta da modello per l’inizio del Fazzoletto: la somiglianza dei passi viene sottolineata da Toso (Marini, Il Fazzoletto, pp. 28-29). Nel complesso emergono non pochi punti di contatto fra le commedie plurilingui brignoliane e la pièce del Marini. [47] Tasso, Torrismondo, vv. 3099-3101. [48] L’edizione della Gallo riporta due volte « l’uno e l’altro »: trattandosi di errore evidente del manoscritto, lo correggo mediante collazione con la princeps lucchese di Paci del 1664. [49] Emendo qui il « privare Isabella » dell’edizione moderna; ripristino anche il punto di domanda al termine del primo periodo della battuta di Alessandro, chiaramente interrogativo. [50] Il pronome maschile si giustifica con il travestimento indossato da Matilda, che compare nei panni di un paggio. E’ quasi superfluo osservare come anche questo espediente contribuisca a complicare la situazione rispetto al modello tassiano. [51] Brignole Sale, I due anelli simili, pp. 39-40. [52] Ricordo anche, per completezza, che due tra i protagonisti della tragicommedia, Odoardo e Matilda, portano i nomi di personaggi della Liberata. La stessa Gerusalemme, associata al Furioso, ritorna nei Due anelli come soggetto degli affreschi che ornano una sala di una reggia, non differente in questo da un palazzo gentilizio genovese di inizio Seicento: « La stanza secreta di Matilda ha dipinto la selva incantata del Tasso, il palazzo d’Atlante dell’Ariosto e la morte di Zerbino in braccio ad Isabella » (a. III, sc. i). [53] Cfr. le osservazioni di Vazzoler, Equivoci della politica, p. 207. [54] Vazzoler, Equivoci della politica, pp. 201-202. [55] Brignole Sale, Le instabilità dell’ingegno, p. 402. Nonostante la libertà accordata da Aurilla, proponitrice del gioco, di spaziare nel campo della tragedia o della commedia, tutti i sei « successi » raccontati sono di carattere tragico. La commedia è tuttavia rappresentata da una breve ma finissima contesa che interviene tra Flerida e Felicita per assicurarsi la parte del Capitano, nella quale le smargiassate tipiche di questa figura sono volte al femminile e trasferite dal contesto militare a quello amoroso (pp. 402-403). [56] Erodoto, Storie, I, 7-12. [57] Brignole Sale, Le instabilità dell’ingegno, pp. 425-428. |
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