Delia Eusebio

Maddalena-naviglio e il suo metaforico viaggio per mare. Un tema letterario nella Maria Maddalena peccatrice e convertita di Anton Giulio Brignole Sale.





Il motivo della navigazione per mare, applicato ai piú differenti àmbiti, è uno dei maggiormente inflazionati della letteratura italiana e non solo. Questo motivo letterario, oltre ad una natura dichiaratamente metaforica, possiede anche una natura narrativa: la nave è figurante che si raffronta a un figurato, dato, di norma, da una persona (in alcuni casi alla nave si sostituisce il nocchiero), e naviga per un mare che a sua volta figura un’entità positiva o negativa; la navigazione rappresenta allora lo svolgersi di un’esperienza reale, letteraria, pratica, spirituale o altro. La nave può inoltre lasciare il porto, raggiungere il mare aperto, navigare pacificamente in acque tranquille, affrontare una tempesta marina, finire in mari insidiosi, incontrare sirene incantatrici, naufragare, scontrarsi con altre navi, sfracellarsi contro gli scogli, raggiungere il porto. Dato il raffronto iniziale tra la nave ed un figurato, il tema può ampliarsi in una metafora continuata dove tutti i dati figuranti sono tra loro coerenti nella rappresentazione metaforica.
Figurati ne abbiamo appartenenti a diversi ambiti. Come ci insegna Ernst Robert Curtius nel suo saggio Europaeische Literatur und Lateinisches Mittelalter, [1] i poeti romani erano soliti paragonare la redazione di un’opera ad una traversata per mare: il poeta diventa allora marinaio e il suo spirito si trasforma in imbarcazione. La “barca dello spirito”, per dirla col Curtius, è ormai luogo comune già all’epoca romana, conservato con cura nel medioevo quando viene considerato tradizionale elemento dei proemi letterari. Un esempio per tutti: Dante all’inizio del secondo libro del Convivio: « Poi che proemialmente ragionando... lo tempo chiama e domanda la mia nave uscir di porto; per che, dirizzato l’artimone de la ragione a l’ora del mio desiderio, entro in pelago con isperanza di dolce cammino e di salutevole porto ».[2]
Anche l’esperienza d’amore è spesso raffrontata alla navigazione: Orazio (Carm. I 5) paragona i pericoli dell’amor profano a un mare inturgidito da venti ingannevoli dove si rischia un facile naufragio.
Petrarca, da parte sua, rassomiglia la sua stessa esistenza ad una nave che deve superare difficili tempeste (R.v.f. CLXXXIX, CCLXXII) ed a una nave in porto dopo la tempesta (CCCXVII).
Anche il filosofare puó esser letterariamente reso dal navigare: è il caso della nuova filosofia scientifica di Galileo, ritenuta pericolosa e pertanto denigrata da Ludovico delle Colombe nel suo scritto antigalileiano Contro il moto della terra (1610-1611): « L’ambizioso animo umano, sospinto oltre ogni convenevole termine dal desiderio dell’immortalità, venutagli a stomaco la navigazione dell’oceano della veritade, s’ingolfa nel mar della bugia, sprezza le Colonne d’Ercole, schernendo Aristotele e beffeggiando Platone, grida plus ultra, in sin tanto che va a dare in non conosciute sirti, e romper in non antiveduti scogli ». [3]
L’indagine che qui presento restringe drasticamente il raggio d’applicazione del motivo della navigazione. Quando viene impiegato in testi di argomento dichiaratamente religioso, il percorso per mare non rappresenta piú, di norma, un’esperienza letteraria, galante o altro, quanto piuttosto una scelta di spiritualità, di fede. A monte abbiamo la Bibbia. L’acqua è spesso segno sensibile e sacro dell’azione divina. Dio controlla le acque, e spesso proprio le acque marine, sia ai fini di interventi benefici che punitivi: « Deus... qui conturbas profundum maris, sonum fluctuum ejus » (Salmo 64, 8); « Domine Deus... tu dominaris potestati maris: motum autem fluctuum ejus tu mitigas » (Salmo 88, 10-11). Nei Vangeli « Jesus... imperavit ventis et mari », ovvero Gesù sa calmare la tempesta (Matteo 8, 23-27; Marco 4, 35-40; Luca 8, 22-25). La violenza del mare puó mettere a cimento i giusti (Salmo 106, 23-30); l’acqua puó esser strumento della vendetta divina contro i ribelli (è il caso del diluvio universale in Genesi 6, 17; 7, 11-12, 17-24; Sapienza 5, 22-23), contro i nemici del popolo di Dio (Giudici 5, 4, 21; Isaia 30, 28; 59, 19; Geremia 51, 55 e 64), contro i falsi profeti (Esdra 13, 10-15). La provvidenza divina puó agire beneficamente sulle acque (è il caso della traversata del mar Rosso, Esodo 14, 15-15, 21). Nel vecchio testamento i flutti marini sono metafora ordinaria dei pericoli mortali dai quali Dio, se invocato, ci puó salvare (Salmi 17, 5 e 17; 68, 2-3, 15-16; 123, 4-5; 143, 7; Giobbe 22, 11; Lamentazioni 3, 54). Il fedele che cerca in Dio il proprio rifugio non potrà mai esser raggiunto dai flutti insidiosi (Salmi 31, 6; 45, 3-4). Ma il mare in tempesta può anche essere una prova inviata da Dio stesso (Salmi 41, 8; 87, 18). A questo proposito funge da modello l’esempio di Giona (Giona 1, 4-15) che disubbidisce a Dio causandone cosí l’ira che si manifesta in una tempesta marina. Al peccato di disobbedienza risponde il naufragio, necessario per calmare sia l’ira divina che i flutti marini: Giona sarà salvato solo dopo esser naufragato e unicamente dopo aver chiesto perdono a Dio. In Giona il naufragio non è metaforico, il significato letterale si presta ad una lettura allegorica; funge però da modello a molti successivi metaforici naufragi spirituali. Da qui in poi un’infinita serie di raffronti tra comportamento del credente nei confronti delle leggi divine e navigazione, tra peccato e naufragio.
Numerosissimi sono gli sviluppi metaforici intorno al concetto “nave” nel Seicento: per limitarci all’ambito dell’oratoria sacra ricordiamo qui, una fra tutte, la “nave della religione” sinteticamente tratteggiata da Panigarola nelle sue Prediche di Quaresima:[4]

Il Padrone è Cristo, il Nocchiero la sapienza, l’albero la contemplazione, i remi l’opere buone, la vela la mondizia.

La “nave della religione cristiana” sarà poi piú dettagliatamente descritta da Marino nelle Dicerie sacre:[5]

velo, anzi o vela, con cui la combattuta navicella della Cristiana religione, solcando questo amaro mare, approda felicemente alla riva della perpetua salute! E’ vero che la fede gitta l’ancora, la costanza fonda l’arbore, la speranza prende il vento, la carità muove i remi, la perseveranza regge il timone, l’ubbidienza stende le sarte, l’umiltà spalma il palamento, la prudenza volge la calamita, la giustizia fa da sentinella, la dottrina scarica l’artigliere, l’essempio spiega le bandiere: ma tu, velo, sei la vela, che gonfia dall’aura feconda dello Spirito santo la conduci al porto del vero conoscimento.

E proprio Marino ricorrerà piú volte alla metafora della navigazione e non solo in ambito sacro. Fra le numerose dicerie che nel 1620 annunciava all’editore Ciotti, parlava pure di una diceria sacra intitolata La Nave sopra il primo sabato della quaresima,[6] che non vide mai la luce.
Del navigante imprudente ci narra Emmanuele Orchi in un brano tratto da La Salute deve accelerarsi (in Prediche Quaresimali, Venezia, Giunti e Baba, 1650, c. 202.3a), già antologizzato da Giovanni Pozzi:[7]

Trovasi colà un nocchiero in spiaggia perigliosa già dato fondo e zeffiro soave alle di lui fortune favorevole spira; lo spinge da poppa, ma piega alquanto all’orza, sì che veloce lo porti, non lo trapporti; sereno il cielo gli arride e gli scopre vicino sicuro il porto. Sollevano le spalle i flutti, ma si piacevoli, che mormorando attestano essere comparsi a galla per portare in collo la nave, non tracollarla; e ‘l vento stesso se sarti stese scotendo, pare, che toccando le corde d’un musico cetarone, con suono amico alla partenza l’inviti, sarpa, sarpa fischiando: ed il nocchiero invece di sarpare, più ferri gitta. Che fai? nocchiero, che fai? perdi tempo con sì bel tempo? Anzi risponde qui mi godo il bel tempo che ‘l porto là m’assicura. Oh pazzo, e se ‘l tempo si muta, chi fia salvezza al tuo regno, alla tua vita? Ed ecco i primi venti allentano, cangiano, s’ingrossano; la nave assaltano; sollevano le corna i nembi, s’ammucchiano, si stringono, il cielo oscurano; si turbano l’onde marine, s’adirano, inferociscono, le sponde oppugnano, fugge il sole, la luce spare e sconcertate stridendo le sarte tutte, a sì alto suono le stira la tempesta tuonante, ch’or l’una, or l’altra strepitosamente si spezza, ed ispaventa. Sarpa allora il nocchiero per uscir di periglio, alza le vele e s’affretta, tirando al porto. Tienti ohimé, che tra l’oscuro de’ nembi corri alla cieca d’investire ne’ scogli e naufragare. Ma dove fia che ti trattenga? Sulla spiaggia non può, che i marosi possenti lo sbattono, l’incagliano, son per disfarlo. Nell’alto non è possibile, che i cavalloni spumanti stanno di punto in punto per soprafarlo, per coprirlo, per affogarlo. Misero s’affretta dunque e contro lo stesso porto rompendo, ne indovinando la bocca, tra le braccia della vita, che l’aspettava, incontra sciaguratamente la morte, che lo fuggiva.

Restringendo ulteriormente il campo d’indagine, tra i testi letterari ad argomento religioso osservo quelli dove il figurato di nave è un’eroina agiografica: santa Maria Maddalena. L’agiografia medievale non ama i temi letterari. Li amano invece i poemi e i romanzi barocchi ad argomento agiografico che sfruttano ovviamente anche il motivo della navigazione per mare. In questo caso il tema viene sovrapposto ad un momento particolare della vita spirituale della protagonista: la conversione. Illustre antecedente è l’immagine dell’anima in tempesta durante la conversione tratteggiata da sant’Agostino nelle Confessioni (VI 3, 3-4). Applicare la metafora della navigazione alla figura della Maddalena non è una prerogativa di Anton Giulio Brignole Sale, che qui non è il caso di presentare e che, alla santa, ha dedicato un romanzo in prosimetro che vide la luce nel 1636. Ci avevano già pensato, prima di lui, il solito Marino, Aresi, Andreini, Silvio e Valvasone, per citarne alcuni. Il Marino che qui ci interessa non è tanto il poeta che si diletta nel praticare l’oratoria sacra, quanto quello della Lira. Di Paolo Aresi,[8] teatino, vescovo di Tortona dal 1620 al 1644, filosofo, teologo ma soprattutto oratore (fu chiamato a Genova nel 1625 per celebrare in san Siro il primo anniversario della beatificazione di Andrea Avellino - 10 novembre, festa del santo[9]), prenderemo in considerazione le Imprese sacre,[10] opera che vide la luce tra il 1621 e il 1635 e che funse da tramite, a livello tematico, tra l’oratoria sacra barocca asservita al concettismo ed i generi letterari profani, ad argomento sia sacro che profano. Precedono la nostra Maddalena in romanzo di Anton Giulio tre poemi interamente dedicati alla figura della santa. Erasmo di Valvasone, « illustre gentiluomo friulano... dotato d’elevatissimo ingegno »[11] compose nel 1586 le sue Lagrime di Maddalena[12] in 76 ottave, nel genere ideato dal Tansillo. Poema in ottave dedicato alla Maddalena e pubblicato nel 1600 è la Terpsicorea [13] del R. P. Paolo Silvio, canonico regolare lateranense.[14] Gio. Battista Andreini,[15] comico di professione, fondatore della compagnia detta dei Fedeli che recitò in varie città dell’Italia settentrionale, in Francia, a Praga (1627) e a Vienna (1628), letterato fecondo, redasse un poema in ottave organizzate in tre canti, la Maddalena,[16] che vide la luce nel 1610; è l’unico italiano a dare una descrizione dettagliatissima del viaggio reale che la sua eroina affronta per mare dalla Palestina a Marsiglia (III 1-31; ben 31 ottave). In questo non ha seguaci; sembrerebbe averli, invece, quando parla del viaggio metaforico di Maddalena.
Il nostro Anton Giulio conosceva sicuramente i poemi di Silvio e Andreini; con Marino, Valvasone e Aresi condivide, oltre ai motivi qui presentati, ulteriori tematiche, per cui rinvio al commento all’edizione della Maddalena.[17] Quando architetta il suo romanzo in prosimetro, il nostro Genovese si appropria di moltissimo materiale descrittivo e tematico proprio alla tradizione letteraria maddaleniana: non manca ovviamente il motivo della navigazione. Ciò che distingue la scrittura del Nostro non è pertanto l’inventio: a questo livello pratica esclusivamente la selezione di materiale già esistente e perlopiù già noto, di passaggio tra sacro e profano. Egli è chiaramente intenzionato a sfruttare lo spazio lungo del romanzo e la permissività di questo nuovo genere letterario. Il suo proposito non è quello di riproporre il semplice raffronto marittimo: di questa metafora scontata e inflazionata pensa di fare una vicenda che corra parallela alla vicenda agiografica. Tesse uno svolgimento logico, una navigazione metaforica per mare che accompagna i rivolgimenti salienti della vita della protagonista, in particolare i momenti del peccato e della conversione. La metafora della navigazione viene cosí ad assumere una sua vita che corre parallela alla conversione della protagonista: il livello metaforico parafrasa concettualmente la narrazione della conversione.
Brignole ci racconta dapprima della partenza di una nave “superba” dal porto nel momento in cui Maddalena decide di lasciare il suo castello di Maddalo per la piú ambita Gerusalemme:

Nave superba, se tranquillo e piano/ le giura fede il mare, e riverenti/ mostrano ancor di rammentarsi i venti/ quando nel bosco la tentaro invano,// legata a dente vil già non starassi,/facendo in porto naufragar sue glorie;/ ma del pari cogliendo aure e vittorie,/ segnerà eterni anche nell’acque i passi. (I i 25-32)

Son queste due quartine della prima canzone del romanzo, canzone che amplifica un tema già abbozzato dalla prosa, ovvero la necessità di manifestare pubblicamente le proprie qualità. Per sottolineare come Maddalena voglia mettere in mostra la propria bellezza sono impiegati, oltre all’esempio della nave, anche quello della spada e del cavallo. Da notare l’eco biblico: che il rinvio sia a Gesù « ambulans supra mare » di Matteo 14, 22-34, Marco 6, 45-55 e Giovanni 6, 16-21, oppure al passaggio del mar Rosso (Esodo 14, 15-31), evento ricordato anche in seguito (a III i 103-121), da leggere per la nave in chiave antifrastica.
E Brignole continua:

Or s’è la chioma in te dorata vela,/ e s’è flora gentile il tuo sembiante,/ tu pur avrai gentil favonio amante; (I i 33-35)

memore forse del sonetto delle Marittime dove Marino « rassomiglia gli arnesi della nave a cose amorose » ed i capelli della donna cantata divengon « attorto canape ».[18]
La nave brignoliana raggiunge poi trionfalmente un primo porto proprio nel momento in cui Maddalena entra nel tempio di Gerusalemme: il porto e il tempio non saranno luoghi sicuri, in quanto il “naviglio” si impone per la sua regalità e la protagonista per la sua bellezza:

Come quando fa sua entrata maestoso naviglio il quale, non men fregiato da bell’arte di pennello o d’intaglio che da pompa di prede ostili, faccia sventolar i simboli del suo valore nell’imprese delle bandiere, e nelle trombe intumidir le rimembranze dell’ardimento, noi veggiamo ch’il mare sotto i remi fortunati gode d’inargentarsi, i venti giurano alle antenne trionfali fedele omaggio, ed ogni altro vascello lascia larga strada al vincitore coll’arretrarsi, nella stessa guisa, all’entrar di Maddalena nel tempio tosto divolgossi un’alta meraviglia per gli occhi di ciascheduno. (I 118-119)

Maddalena non sa resister alle tentazioni e cade nel peccato. Parallelamente il suo metaforico percorso per nave diventa assai rischioso. Ella naviga nel mare del peccato:

parendole (a Maddalena) impossibile ripigliar porto, cercava d’ingolfarsi in guisa ch’egli da’ suoi occhi si dileguasse. (I 170)

sottolinea l’autore nel momento in cui la peccatrice, dopo aver ceduto al primo amante ed esser stata da questo svergognata, decide di concedersi ad altri uomini, dove « ingolfarsi » al significato referenziale di ‘spingersi al largo’ somma il figurato, già in Bernardo Tasso, di ‘mettersi in situazioni scomode, pericolose’.
Non è l’ira del mare, non la tempesta, sono gli inganni delle Sirti e delle sirene a causare metaforici naufragi. Ecco quel che dice Brignole Sale di chi era solito frequentare la casa della peccatrice:

Era perpetuo il flusso di chi andava e ritornava per quel mare delle sirene in cui l’uno era allettato dall’altrui naufragio non atterrito. (I 185)

Dietro il peccato covano i raggiri del maligno che danneggia Maddalena proprio come le Sirti ingannano i naviganti. Il tema già classico della pericolosità delle Sirti, figuranti il peccato, è in Valvasone; egli ci dipinge una peccatrice che persevera nel peccato raffrontandola ad una nave che ha abbandonato il porto (Lagrime di Maddalena, str. 9):

Cosí talor del suo maestro priva,/ incerta del cammin, se ‘l vento spira,/ nave abbandona la secura via/ in preda al mar, ch’ovunque vuol l’aggira./ Lassa! Non scogli mai, non Sirti schiva,/ non de l’instabil ciel paventa l’ira,/ né sapendo a qual porto arrivar deggia/ lieta del proprio error vaga e vaneggia.

Ecco la versione in poesia di Brignole Sale:

Sotto il velo crudel d’onde africane/ tenda aguato sleal la Sirte ingorda,/ e sforzi il pino a espor le merci estrane/ pria che col dente curvo il porto ei morda./ Per li naufragi ripescati al fondo/ traffichi il Nasamon con tutto il mondo. (I iv 1-6)

Questa strofa apre il quarto componimento del primo libro: una sesta rima. E’ la composizione delle insidie e delle frodi: gli inganni del mare, della parola, della bellezza e dei piaceri possono vincere anche i piú valorosi guerrieri e studiosi; figuriamoci una giovane donna! Eppure l’esempio risulta ellittico, di difficile collocazione nell’economia del romanzo brignoliano. In uno spazio breve si sintetizzano differenti tematiche: oltre alla pericolosità delle Sirti, leggo il motivo del marinaio che si libera delle merci nel momento di estremo pericolo, leggo l’esempio dei Nasamoni.
Ci illumina in parte la probabile fonte. Modello di Brignole Sale è quasi sicuramente il Marino delle Rime parte seconda,[19] dove è proprio Maddalena ad esser raffrontata ad un nocchiere saggio in balia dei flutti:

Errai lunge dal porto/ per l’infido oceano/ del mondo insano; or che del legno mio/ il periglio vegg’io,/ perché non fia fra le tempeste absorto/ quasi nocchiero accorto/ che le merci ne l’onda/ per gir piú lieve, volontario affonda,/ le mie ricchezze piú famose e care,/ unguenti e pompe, e chiome,/ ch’altro a l’alma non son che pesi e some/ sommergo in questo mare/ de le dolenti mie lagrime amare.

Anche la Maddalena di Brignole Sale sta per incontrar Gesù e presto si dovrà liberare delle sue “merci in eccedenza”, delle sue ricchezze, dei simboli del peccato. Ella dovrà scegliere tra naufragio e rinuncia al peccato, tra amore profano e amore per Dio. Marino ci indica esplicitamente quale è la scelta della sua eroina; Brignole si limita per il momento a suggerirla. Si spiegano cosí le “merci estrane”.[20]
L’estremo rimedio dei marinai, atterriti dalla tempesta, per evitare il naufragio è motivo biblico [21] e sicuramente presente sia al Marino che al nostro Anton Giulio: Giona 1, 4-5.

Dominus autem misit ventum magnum in mare: et facta est tempestas magna in mari, et navis periclitabatur conteri. Et timuerunt nautae, et clamaverunt viri ad deum suum: et miserunt vasa, quae erant in navi, in mare, ut alleviaretur ab eis.

Ma per sopravvivere alla tempesta i marinai dovranno seguire il suggerimento dello stesso Giona: « et tulerunt Ionam et miserunt in mare » (Giona 1, 15). Anche la Maddalena barocca deve liberarsi della parte impura di se stessa: significativo l’esempio di Aresi [22] che sviluppa concettualmente la fonte biblica narrando di una Maddalena che si accinge a pentirsi dei propri peccati:

Per liberare dall’imminente naufragio già quasi perduta nave, è necessario gettare fuori l’acqua che l’aggrava, ed al fondo la tira; Maddalena già in fiera tempesta, si vidde avanti gli occhi un eterno naufragio per liberarsi dal quale che per gli occhi va gettando fuori l’acqua.

La fonte cui Brignole ha attinto il motivo dei Nasamoni per inserirlo nel suo contesto metaforico è classica: Lucano, Farsaglia IX 438-444:

Nasamon... qui proxima ponto/ nudus rura tenet, quem mundi barbara damnis/ Syrtis alit. Nam litoreis populator harenis/ inminet et nulla portus tangente carina/ novit opes; sic cum toto commercia mundo/ naufragiis Nasamones habent. (Nasamoni... un rude popolo prossimo al mare, che abita nudo le terre: le barbare Sirti lo alimentano con le sciagure del mondo. Questi predoni sempre in agguato sui lidi, anche se navi non entrano nei loro porti, conoscono le ricchezze: grazie ai naufragi i Nasamoni commerciano con tutto il mondo.)

Lucano sta descrivendo, oltre ai Nasamoni, le particolarità di una regione desertica prima che un suo personaggio, Catone, decida di attraversarla con il suo esercito: si tratta del deserto libico infestato da terribili serpenti.
Brignole Sale si appropria di un motivo biblico, già sfruttato in senso figurale e in contesti simili da Aresi e da Marino, per anticipare al lettore il momento della conversione di Maddalena, e lo impreziosisce contaminandolo con un richiamo classico; non ci resta che collegare le Sirti pericolosissime di Lucano e del Nostro a quelle che, nel Valvasone e nell’Andreini (che ricorderemo tra poco), tentano invano l’eroina agiografica per capire quale concettoso percorso compositivo celi questa piccola strofa. Se proprio vogliamo elencare cosa la lettura metaforica di questo brano brignoliano ci può suggerire, ricordo:
- la Maddalena del nostro romanzo starebbe per superare le insidie delle Sirti (figurante del peccato) come l’eroina di Valvasone e Andreini;
- starebbe per liberarsi delle proprie ricchezze, simbolo del peccato, come i marinai biblici e classici, come l’eroina di Marino;
- starebbe per sciogliersi in lagrime, tra i suoi beni più preziosi, su suggerimento della Maddalena dell’Aresi;
- apprendiamo che dovrà vivere un’avventura in un luogo desertico, come Catone (che si debba cogliere un’allusione alla sua futura vita eremitica alla Sainte-Baume? Tanto piú che il drago che Maddalena incontrerà nella grotta delle sue penitenze avrà dati che riconducono al basilisco lucaniano e, come dice lo stesso Brignole, avrebbe messo in fuga lo stesso Catone).[23]
Queste le suggestioni che, volendo, possiamo cogliere tra le righe di una sola strofa. La strofa successiva non è meno densa:

Ove corre il Sebeto al mar beato,/ traendo seco assai più d’acque inchiostri,/ formi sirena rea Sirti di fiato,/ e ‘l rischio imperli, e ‘l precipizio inostri./ Congiunga poi per miserabil sorte/ lo stupor del silenzio a quel di morte. (I iv 7-12)

Sebeto è un fiume napoletano poeticamente consacrato da una tradizione letteraria gloriosa: lo ricordano, tra gli altri, Sannazaro nell’Arcadia 12, 28-40, Tasso nelle Rime 573, Marino nell’Adone 1, 102, 2. Il « mar beato » potrebbe pertanto figurare il panorama delle composizioni letterarie. « Imperli » e « inostri » sono metaforicamente connotati: secondo il canone della descriptio personae, tanto ben conosciuto e praticato dal Genovese,[24] perle ed ostri rappresentano i figuranti più comuni di denti e bocca. Qui celano i pericoli dei canti ingannatori che escono dalle bocche delle sirene, sirene che a loro volta, in questo caso, figurano i poeti. « Sirti di fiato » sono i canti ingannevoli delle sirene che causano il naufragio dei naviganti-lettori che osano avventurarsi in letture poco raccomandabili. Se si può naufragare in un mare insidioso o tempestoso, non dimentichiamo che si può essere in pericolo anche in un mare apparentemente tranquillo, un « mar beato » dice il Nostro, se ingannati dalle sirene, dalle tentazioni, dalla sensualità propagandata dai poeti licenziosi:[25] il naufrago che si salvi da una simile caduta in mare deve considerarsi uomo estremamente fortunato e pertanto deve rendere grazie a Dio. Brignole Sale continua poco sotto:

Va d’araba onda nelle gole orrende/ con gola anche maggior l’avaro ardito/ e vi si sfama, e salvo n’esce, e poi/ altier s’ammanta i suoi perigli eoi.// Ma se averrà che mercenario volto/ fatto scoglio, corsar, procella e mare,/ l’abbia nel porto di due braccia accolto/ ove il bel latte d’ogni calma appare,/ non fia ch’uscito a nuoto almen gli reste/ da sospender in voto umida veste. (I iv 27-36)

Brignole si rifà in questo brano a tre motivi classici: prima la vicenda di Giasone (« gole orrende » sono ancora le Sirti); segue il motivo di oraziana memoria (Carm. I 5, 12-15) del naufragio nel porto dei piaceri sensuali, ovvero il « porto... ove il bel latte d’ogni calma appare »: in terzo luogo, se il naufrago riesce a toccar terra, a sopravvivere a insidie amorose tanto più pericolose quanto sembran più innocue, appende nel tempio la veste ancor madida d’acqua di mare, il classico ex-voto dei naviganti scampati alla burrasca ricordato anche da Orazio e sempre nella stessa ode. Il tema del ringraziamento per lo scampato pericolo è presente anche all’Aresi,[26] dove Maddalena, ricevuto il perdono dei propri peccati, offre in voto i propri capelli:

Fu già costume anticamente che i liberati da naufragio i loro capelli a quel Dio offerissero, da cui la salute riconoscevano, onde disse un certo Lucilio/ Dijs aequoreoque Iovi/ Servatus dicat, et relagis Lucilius undis/ Hos crines. (Natal. Comitis lib. 8. Mythol. Cap. 4)... Maddalena da un grandissimo naufragio era stata dalla grazia e benignità del vero Dio umanato salvata, meritamente dunque a lui i suoi capelli offerisce.

ricorre nell’Andreini,[27] dove la nostra eroina offre addirittura il proprio cuore a Dio:

Così qual nave pur, che brami il porto/ schivando Sirti e perigliose arene,/ tal ella in guisa di nocchiero accorto/ corre al gran lido di sovrana spene;/ e poi che ‘n mar non fu il naviglio assorto/ vuol noto far, ch’è Dio cagion del bene:/ così entrando là dove è ‘l suo fattore/ l’offre devota per tabella il core.

Tornando a Brignole Sale, ancora più esplicito è il rinvio a Giasone, definito successivamente « avaro ardito » a I iv 28 e « avaro audace » a I v 9, colui che riuscì a superare moltissimi ostacoli per mare, tra cui le Sirti. Maddalena è da lui detta poco sotto, nella successiva canzonetta, « nuova argonauta » (I v 11), e diventa così uno degli eroi che accompagnano Giasone nella sua ricerca del vello d’oro se non Giasone stesso, eroi che devono il loro nome alla nave che li portava, l’Argo appunto.[28] Ipotizzo qui che il « mercenario volto » che accoglie Giasone nel suo fallace porto sia Medea, ma attendo suggerimenti. I percorsi marittimi di Maddalena e Giasone porteranno a esiti opposti: lui affronterà l’« onda nuova infida... per toglier vello d’oro » mentre lei attraverserà « un mar di pianto » al fine di donare i suoi « aurei velli » (I v 7-12).
Questa densissima composizione poetica, la quarta e penultima del primo libro del romanzo brignoliano, termina ricordando al lettore « ch’il suo diletto (di Ciprigna) come spuma è lieve,/ è infido qual Egeo, qual rosa è breve » (I iv 107-108) (e non dimentichiamo che sarà proprio Egeo, mare in cui nacque Venere e tradizionalmente pericoloso in caso di tempesta, ad accogliere Medea in fuga da Giasone ed a unirsi con lei in vincolo matrimoniale: Ovidio, Met. VII 402-403: « Excipit hanc (Medea) Aegeus, facto damnandus in uno;/ Nec satis hospitium est; thalami quoque foedere iungit »).
Il tema del naufragio in un mare ingannevole, così dettagliatamente percorso in poesia, ricompare poco sotto in prosa. E’ la notte che precede l’incontro con Gesù e Maddalena è inquieta. L’opprime un certo « tedio », dice il Brignole, ovvero quel sentimento d’insoddisfazione che, secondo sant’Agostino (Confessioni I 1; II 10, 18; IV 10, 15; XIII 8, 9), spinge alla conversione:

Erano ondeggiamenti d’anima che, naufragando, allor più s’agitava che in un debole barlume scorgeva il porto. (I 239)

Alla Maddalena brignoliana necessita l’incontro con Gesù per poter ritrovar la retta via:

Predicava intanto Cristo da un rialto d’una gran piazza, cinto da infinita moltitudine ch’ei conduceva al porto pel fiume soavissimo delle sue labra. (I 248)

Il suggerimento è biblico: le parole del saggio sono « aqua profunda », sono un torrente debordante nei Proverbi 18, 4; la parola divina è pioggia che scorre nel Deuteronomio 32, 2, è acqua che feconda la terra in Isaia 55, 10. Maddalena si converte e raggiunge il porto della fede. Non lo lascerà più.
Nella quinta e ultima composizione poetica del primo libro, una canzonetta chiabreresca, Brignole ripropone e amplifica metaforicamente il pentimento di Maddalena ai piedi di Gesù, cimentandosi, tra l’altro, con la palinodia di vicende classiche quali quella di Giasone, di Semiramide, di Enea che entra nel regno dell’oltretomba: compare per l’ennesima volta il raffronto Maddalena-nave:

Degli alti mari amante/ brama il fondo, alza il lino e chiede il vento/ il marinar non lento;/ tu più di lui felice navigante/ sospir sciogli, alzi pianti e chiome spieghi/ sol perch’il porto abbandonar tu nieghi. (I v 19-24)

Il raffronto, che fa da contraltare all’esempio iniziale di I i 33-35, dalla conclusione antitetica a quella che logica vorrebbe, è finalizzato a produr meraviglia. E’ questo il motivo classico del “navigare in portu” per tenersi lontano dai guai (Terenzio, Andr. 3, 1; Properzio, El. 3, 24, 15; Ovidio, Rem. Am. 610).
L’immagine dell’approdo al porto sicuro corrispondente al pentimento di Maddalena ai piedi di Gesù è già presente a Paolo Silvio:[29]

Come il nocchier vinto del mar lo sdegno/ che fa certo il timor, dubbia la speme/ tirando a riva il travagliato legno/ il già sofferto mal sospira e geme:/ lega l’instabil nave ad un ritegno/ e dentro il porto ancor paventa e teme,/ qual’or rimembra suoi perigli strani/ dicendo: -ahi non sia più ch’io m’allontani-./ Non men sicuro porto ella (Maddalena) esser crede,/ quel suolo alor, via più del sol felice,/ calcato da quel sacro e degno piede,/ da cui promesso il ciel, gloria n’elice./ Quivi come dal mar campata siede/ e scapigliata intorno a i piè ridice:/ -se ‘n questo porto mie tempeste han fine/ àncore sien le mani, e fune il crine.

In Silvio [30] possiamo anche leggere della funzione salvifica dei « perigli del mare » che riportano il peccatore al porto:

Qual a veder dal tempestoso orgoglio/ del mare irato, periglioso, e fiero,/ fuggir notando, poiché al duro scoglio/ rotto ha la nave il timido nocchiero/ che fra timore, e speme, ira, e cordoglio/ schivando di quell’onde il duro impero,/ dando al fin porto a le sbattute membra/ piange, bacia la terra, e ‘l mar rimembra.// Tal par costei (Maddalena), che da mortali assalti/ de l’inferno, del mondo e de la carne,/ era fuggita con veloci salti,/ al porto che sol può sicuri farne:/ ove piangendo i faticosi, ed alti/ perigli (ch’han tal’or forza a ritrarne/ a miglior via) con ardenti, e vivaci/ sospiri a i sacri piè, raddoppia i baci.

La convertita di Brignole Sale non lascerà il porto della fede, se non per navigare “in portu”, per navigare in queste nuove acque della fede e della penitenza. Cambia radicalmente il figurato di “mare”, antitetico al precedente. Queste acque non sono paragonabili alle perigliose acque del peccato, sono acque sicure. La nostra eroina diviene pertanto

Fortunata navigante che scopristi un nuovo mondo sol toccando le colonne senza passarle. (II 5)

Maddalena è qui raffrontata a due famosissimi navigatori: il navigatore per eccellenza, tanto amato in terra genovese, Cristoforo Colombo; il richiamo alle colonne, qui figurante dei piedi di Cristo,[31] ci riporta all’Ulisse dantesco (Inf. 26, 90 e sgg.), il cui esempio la nostra “fortunata navigante” non segue.
Maddalena-naviglio o Maddalena-nocchiere non ha mai dovuto affrontar tempeste, né nel mare del peccato né in quello della fede. Il mare dei vizi aveva tentato la peccatrice con gli inganni delle Sirti e delle sirene; nel mare della fede Maddalena naviga quale apostola. Di lei ci dice Brignole Sale poco sotto:

Avea vere stelle negli occhi che scorgevano al porto. Rapiva i cuor de’ giovani ma a Satanasso. (II 27)

Memore forse del principio evangelico che ritiene sicuramente miglior cosa venir inghiottiti dai flutti piuttosto che portare al peccato i propri fratelli (Matteo 18, 6; Marco 9, 41; Luca 17, 2), Maddalena guida la navigazione interiore dei giovani verso il porto della fede cristiana, e proprio quegli stessi giovani con i quali aveva in precedenza navigato nelle acque del peccato.
Anche Marino [32] ci propone una peccatrice convertita, che non fatichiamo a identificare, nella funzione di guida spirituale:

E quanti cori pria miseri in queste/ sommerse di lascivia onde spumanti./ Tante poi trasse in porto anime erranti,/ da le più fiere e torbide tempeste.

E qui si conclude la metaforica navigazione della Maddalena di Anton Giulio Brignole Sale quale peccatrice, convertita e apostola. Faran da contraltare ai “flutti lascivi” di I ii 12 della peccatrice brevissimi cenni alla navigazione nel supplizio vissuta da Gesù durante la passione: egli cerca di « venir a riva dei suoi dolori » a II 138 e attraversa « flutti tempestosi » di gente ostile a II 139. Cristo affronta dunque la tempesta che la nave di Maddalena non ha dovuto sperimentare nel suo metaforico viaggio tra peccato e conversione, tutto contenuto nel primo libro del romanzo ad eccezione di un paio di rinvii all’inizio del secondo libro.
Come i principi di Marsiglia, protagonisti del cosiddetto “miracle de Marseille”, secondo la tradizione agiografica, da Brignole rispettata, sperimentano l’ira del mare, reale e allegorica, solo una volta convertiti e con l’aiuto di Maddalena e della propria fede, così alla nostra penitente al seguito di Gesù e all’asceta nella grotta della Sainte-Baume spetta il compito di affrontare venti di tempesta e diluvi marini solo con l’aiuto della fede: il tema scelto a questo fine è però un altro, ovvero il tema delle lagrime. Figurato di mare sono le lagrime di penitenza ed il naufragio è ambìto. La penitente non subisce i pericoli di questo mare, li crea, non deve più affrontare un metaforico viaggio, è ormai giunta a destinazione. E’ il caso di Maddalena che versa le proprie lagrime sui piedi di Cristo morto:

Versò allora un mar di pianto fuori degli occhi, e per esso fè vagar l’angoscia al vento miserabile di queste voci: “Così concio mi sei reso mio salvatore?...” (II 215)

Ma questa è tutta un’altra storia,[33] altro il topos.
Per Andreini [34] è il cuor contrito della convertita ad essere preda del mare aperto delle penitenze: anche qui la tempesta non è più causata dal maligno, ma dall’eroina stessa che non desidera il porto ma il naufragio:

Quinci in un mar di sacri affetti, e santi/ sembra il cor di costei vagante legno,/ son gli austri e i cori i be’ sospir volanti,/ il pianto l’onda, e ‘l sen de’ flutti il segno./ Ma in questo eccede in mar gli abeti erranti/ scossi da salso e procelloso sdegno;/ che quelli in tal furor bramando il porto,/ questo in onda di pianto essere assorto.

Tornando al nostro romanzo, il caso del viaggio metaforico di Maddalena sottolinea pienamente come l’autore voglia parafrasare la leggenda agiografica a livello concettuale: impiega temi già sperimentati innovandoli, quando possibile, con contaminazioni classiche. Sviluppa motivi già applicati alla figura letteraria barocca della Maddalena riagganciandosi a tematiche mitologiche e profane: dai pericoli per la navigazione rappresentati dalle sirene e dalle Sirti approda, per analogia, alle figure di due navigatori leggendari, rispettivamente Ulisse e Giasone. Un tema letterario tanto inflazionato da divenir insulso al lettore rappresenta, nel caso specifico del nostro Genovese, una spia per cogliere la vera natura della scrittura brignoliana nella Maddalena peccatrice e convertita, natura che potremmo ridurre a pochi vocaboli: amplificatio e commistione tra genere sacro e profano. Per restare a livello tematico, l’amplificazione è data, oltre che dal motivo della navigazione per mare, dalle descrizioni topiche di Maddalena e Gesù, dalle descrizioni di luoghi orridi o ameni, dal tema delle lagrime, dal tema della vanitas, dal motivo dello specchiamento, dagli argomenti della mistica nuziale, solo per ricordare i più sviluppati.
E dopo aver navigato, anche se per breve tratto, nel mare della letteratura maddaleniana, tiro infine i remi nella mia modesta barchetta e abbandono il sicuro porto di tanta gentile attenzione.




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[1] E. R. Curtius, Europaeische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern 1948, cap. VII ( trad. italiana a c. di R. Antonelli, Firenze 1992).

[2] D. Alighieri, Convivio, a c. di P. Cudini, Milano 1980, II i 1, pp. 64-65.

[3] Testo riportato in G. Galilei, Le opere, Ed. Nazionale a c. di A. Favaro, Firenze 1890-1909, III p. 253. Lo scritto di Ludovico delle Colombe fu poi dallo stesso Galileo postillato, per cui Cfr. G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, a c. di O. Besomi e M.O. Helbing, di prossima pubblicazione presso l’editore Antenore di Padova, commento a I 156, 3.

[4] F. Panigarola, Prediche sopra gli Evangeli di Quaresima, predicate da lui in S. Pietro di Roma l’anno 1577. Con l’aggiunta di nove prediche del R.P.F. Gio. Battista Cavoto di Melfe, Venezia 1597, parte II p. 63.

[5] G.B. Marino, Dicerie sacre e La strage degli innocenti, a c. di G. Pozzi, Torino 1960, 1, 180, 16-25.

[6] G.B. Marino, Lettere, a c. di M. Guglielminetti, Torino 1966, I lettera 138, p. 258.

[7] G. Pozzi, Saggio sullo stile dell’oratoria sacra nel seicento esemplificata sul P. Emmanuele Orchi, Roma 1954, p. 236.

[8] Cremona 1574-Tortona 1644. Quale oratore tenne nel duomo di Genova il discorso per l’incoronazione del doge A. Giustiniani nel 1611 e per la morte di Filippo III di Spagna nel 1613.

[9] P. Aresi, Il trionfo trionfato. Oratione... fatta in S. Siro di Genova, Chiesa de’ PP. Teatini, a lode del B. Andrea Avellino dell’istessa religione, Tortona, P.G. Calenzano e E. Viola, s.d.; cfr. Q. Marini, Anton Giulio Brignole Sale Gesuita e l’oratoria sacra, Atti del convegno di studi I Gesuiti fra impegno religioso e potere politico nella Repubblica di Genova (Genova 2-4 dicembre 1991), a c. di C. Paolocci, numero monografico di “Quaderni Franzoniani”, V (1992) n.2, pp. 140-141.

[10] P. Aresi, Delle sacre imprese, Libro V, Tortona, Pietro Gio. Calenzano ed Eliseo Viola compagni, 1630.

[11] F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Milano, Francesco Agnelli, 1741, Tom. II p. 260.

[12] . Di Valvasone, Lagrime di santa Maria Maddalena, in Parnaso italiano, Poemetti diversi, X, Venezia, G. Antonelli, 1851, pp. 965-976. Sia le Lagrime di S. Pietro di Tansillo che le Lagrime di Maddalena videro insieme la luce nella raccolta intitolata Lagrime di più illustri poeti, Bergamo, Camin Ventura, 1593.

[13] P. Silvio, Terpsicorea, overo della Madalena penitente, in Concerto delle muse, ordinato da Pier Girolamo Gentile, Venezia, Sebastiano Combi, 1600 (rinvio a libro e n. di p.).

[14] Napoletano originario di Melfi.

[15] irenze 1576/79-Reggio Emilia 1654. Recita con la sua compagnia dal 1604 al 1638, anno in cui si ritira. E’ a Genova sia nel 1609 che nel 1610. Sulla figura della Maddalena compone, oltre ad un poema, due sacre rappresentazioni, nel 1617 e 1652.

[16] G.B. Andreini, La Maddalena, Venezia, Giacomo Antonio Somasco, 1610 (rinvio a libro e ottava).

[17]A.B. Brignole Sale, Maria Maddalena peccatrice e convertita, a c. di D. Eusebio, Parma 1994 (Fondazione Pietro Bembo).

[18] G.B. Marino, Rime marittime, a c. di O. Besomi, C. Marchi e A. Martini, Modena 1988, 11.

[19] G.B. Marino, Rime. Parte seconda, Venezia, Gio. Batt. Ciotti, 1629, 222 (rinvio al primo verso della composizione poetica dato in italico, accompagnato dalla numerazione indicata dall’ATLI e, eventualmente, dal numero del verso).

[20] Il motivo dell’estremo rimedio dei marinai per evitare il peggio è particolarmente caro al nostro Anton Giulio; ne è prova il fatto che lo ripropone anche ne La vita di Sant’Alessio, Genova, Gio. Domenico Peri, 1648, I 38-39, suo secondo ed ultimo romanzo ad argomento sacro. Il contesto è chiaramente diverso, ma il raffronto sta sempre ad indicare la lotta interiore del protagonista che non sa se rivelarsi alla sua sposa o tacere la sua identità e dedicare la sua persona unicamente a Dio, come promesso. È la lotta, come dice lo stesso Brignole Sale, tra “amor celeste” e “amore umano”. Alessio non cede alla tentazione e chiede l’aiuto del signore: subito i metaforici flutti si placano: « Come quallora negli africani golfi colto in mezo per ogni lato da contrari venti poderoso naviglio già già vedesi in necessità di riscattarsi dal naufragio con l’esporre al mare le merci, che nel fondo piú riposto egli, come piú pregiate serbava, se ad un tratto da efficaci voti del pericolante nocchiero il cielo mosso a compassione manda vento propizio, che con imperioso favore tutti gli altri discacciando sembra pialla del mare; ecco l’esaudito vascello che senza piú far gitto verso il destinato porto pieno piú che mai di confidenza camina... non altrimente il magnanimo campione di Cristo (sant’Alessio) agitato da’ venti del timore di esser riconosciuto... e posto in mezo fra la lotta dell’amor celeste e dell’amore umano, tosto che di cuore contro il proprio cuore implorò il divino soccorso scender si sentí nel seno un divino fiato... ».

[21] Le citazioni bibliche sono tratte dal seguente esemplare: Biblia sacra vulgatae editionis, Sixti V. Ponteficis Max. Jussu Recognita, et Clementis VIII auctoritate edita..., Venezia, tipografia Remondiana, 1757.

[22] Aresi, Imprese sacre..., lib. 5, imp. 132, 251 num. 28.

[23] Brignole Sale, Maria Maddalena..., III 213 e nota.

[24]Cfr. Eusebio, Bella e penitente: la figura della Maddalena in Brignole Sale, Maria Maddalena..., XLIII-LIV

[25] Brignole tratta direttamente la questione dei libri licenziosi a I 89: i romanzi dall’ingegno libidinoso figurano tra le vanità che hanno portato la protagonista al peccato.

[26] Aresi, Imprese sacre..., lib. 5, imp. 132, 253 num. 31.

[27] Andreini, Maddalena..., II str. 3.

[28] Trovo il collegamento tra i capelli di Maddalena e il vello preda di Giasone anche in Marino, Rime marittime..., 4, 7-8 e in G. Murtola, Gli occhi d’Argo; Le lagrime, in Rime, Venezia, Roberto Maglietti, 1603, canz. 3 La bella mendica, str. 5.

[29] Silvio, Terpsicorea..., III pp. 286-287.

[30] Silvio, Terpsicorea..., III pp. 268-269.

[31] Il raffronto colonne-piedi di Gesù è già in Grillo, come indica O. Besomi, Ricerche intorno alla “Lira” di G. B. Marino, Padova 1969, p. 171.

[32] G.B. Marino, Lagrime, in La Lira. Parte terza, (con amori, lodi, lagrime, divozioni, capricci), Venezia, Gio. Batt. Ciotti, 1629, 30, Scaldò col guardo angelico e celeste, 5-8.

[33] Per gli attributi metaforici delle lagrime relativi al ciclo meteorologico dell’acqua, cfr. Introduzione in Brignole Sale, Maria Maddalena..., LV-LIX.

[34] Andreini, Maddalena..., II str. 46.




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