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Manlio Calegari, Cara Marietta - Caro Professore: Premessa, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17
Mercoledì, 13 maggio 1987
Incontro Marietta dopo che l'altro ieri al telefono m'ha detto d'aver scritto qualcosa ma di non riuscire a procedere. Ha aggiunto che gli argomenti che le ho proposto le sembravano inizialmente ben definiti poi si sono mescolati tra loro. - Tutto è collegato, - ha aggiunto, - e non riesco ad affrontarli separatamente. - Ho minimizzato e le ho annunciato una mia visita per risolvere alcune questioni che mi sono rimaste oscure: un modo per dirle che le nostre indagini si muovono separatamente e che quella che la impegna è la sua ricerca.
Inizio ignorando l'impasse di cui mi ha accennato al telefono. Le chiedo di aiutarmi ad approfondire la figura di Attilio, il capo della polizia partigiana che, alla vigilia della Liberazione, arriva ad assumere nella Sesta Zona la carica più prestigiosa riservata ai comunisti, quella di commissario politico. Su di lui, che allora aveva due anni più di Marietta, ho già raccolto una buona quantità di fonti, scritte e orali, e parlarne con lei è, al momento, piuttosto un espediente per tener vivo il nostro colloquio. Salito in montagna nel giugno del '44 con l'incarico di organizzare un servizio di informazioni, Attilio era diventato in poche settimane un personaggio di spicco del partigianato di montagna e, dalla fine del 1944, il quadro di partito più prestigioso. Formalmente in un posizione superiore alla sua c'erano Barontini, commissario politico di Zona e Ugo, il vice, che aveva l'incarico di responsabile del comitato federale del partito in montagna. Con Ugo non c'era confronto e, su Barontini, Attilio aveva guadagnato rapidamente in popolarità. Era, a detta di tutti, un leader; con amici fedeli e detrattori ostinati sia nel campo comunista sia in quello concorrente. Attilio era stato una sorpresa anche per il partito. Da novembre del 1943 a maggio del 1944 era rimasto congelato e confinato in un paesino vicino a Genova in quanto seguace di Dellepiane, il dirigente accusato di collaborazionismo col nemico ed espulso dal partito nel novembre 1943. Dell'impetuoso movimento delle "Commissioni" seguito al 25 luglio '43, Attilio era stato il dirigente più noto e apprezzato, sia pure dopo il suo capo, Dellepiane. Poi, di colpo, la censura del partito e la lunga quarantena. Dopo aver sopportato in disciplinato silenzio la condizione di sospetto, era salito in montagna deciso a riscattarsi. L'incarico, decisamente importante, gli era venuto direttamente dai due massimi responsabili del partito per il settore politico e militare: Scappini e Pieragostini. Marietta, arrivata in montagna poche settimane dopo di lui, era stata testimone della sua ascesa. Le chiedo se e quando, al di là degli organigrammi ufficiali, si era resa conto dell'emergere di Attilio e se ritiene che avesse avuto un ruolo nel progetto, maturato nel febbraio 1945, di allontanare dalla Sesta Zona il principale oppositore dei comunisti, Bisagno, il capo carismatico della Cichero.
- Attilio lo conoscevo già prima di salire in montagna. È stato il Bisagno dei comunisti. Come Bisagno era rigoroso, intransigente, severo. Bisagno era più silenzioso. Attilio invece era un tribuno. Ma lì c'entrava molto la madre. Era anarchica ma proprio di quelle che non potevi non saperlo. Attilio era molto legato alla madre, moltissimo. -
- Attilio è il capo di un corpo di polizia, sia pure partigiana, composto quasi esclusivamente da operai comunisti provenienti dalle fabbriche genovesi. Capisco che sia difficile mantenere un equilibrio con un incarico del genere, ma non credi che la polizia di Attilio fosse un po' troppo comunista? Sai se si occupava anche degli avversari politici oltre che dei nemici? -
- Il controllo era necessario perché di abusi ce ne sono stati tanti e anche da parte nostra, ma questo che mi dici mi pare inaccettabile… Mi sembra perfino strano che Attilio si sia prestato… In fondo Attilio non era un fanatico… Forse un po' sospettoso, questo sì. Ma era un uomo di cuore, generoso. So che a molti, anche compagni, disturbava quel suo essere inattaccabile. Era l'unico lassù che poteva fare il capo della Sip perché era l'unico tra noi veramente inattaccabile. -
- Parlami del suo stile di comando. -
- Lui aveva i suoi uomini, il suo distaccamento e lì non ci metteva parola nessuno. Erano molto legati tra loro, riservati. Si conoscevano dalla città, tanti erano delle fabbriche, di Cornigliano, Bolzaneto, Rivarolo. Andavano a prendere soldi, portavano notizie confidenziali. Credo che se qualcuno avesse sbagliato Attilio non lo avrebbe tollerato un minuto e non so come sarebbe finita. Attilio forse non era un guerriero, ma credo che su queste cose non ci pensasse due volte. Ma non so niente di concreto, sono pensieri miei. -
Illustro a Marietta alcuni documenti dove si fa chiaro riferimento all'attività di spionaggio nei confronti dei comandanti non comunisti: Bisagno, Scrivia, Minetto. Le chiedo quale significato attribuisce a questi documenti. Marietta riconosce che si tratta di attività di controllo su compagni di lotta e, con mia sorpresa, a differenza di quanto aveva fatto durante il primo incontro, non le difende. Non mi dice - come pure potrebbe - che c'era una indicazione che permetteva al Sip di controllare anche la corrispondenza interna, tra comandanti partigiani. Al contrario sembra turbata e scuote la testa.
- Mi fai strabiliare a dirmi queste cose. Una indagine del partito su personaggi loro e nostri, con questi fini l'avrei considerata riprovevole anche allora. Se avessi saputo che il Sip svolgeva questa azione così di partito non sarei stata d'accordo allora come non lo sono adesso. Sinceramente non ne ho mai saputo niente. -
- Eppure tu stessa collaboravi a queste attività. Ti muovevi molto tra i vari comandi di brigata e di distaccamento e risulta che tu comunicassi le tue impressioni al vice di Attilio, Vero, un compagno di Cornigliano che conoscevi già prima di salire in montagna. Ci sono i suoi rapporti che lo confermano. -
- A volte mi diceva: "Vai un po' a sentire cosa succede là, chi è questo che è comparso o se ne è andato…" Roba così. Del resto era il loro compito. Forse eravamo troppo sospettosi ma ci sentivamo assediati. Era un sentimento più di noi che venivano da giù, dalla cospirazione. Io ho questo ricordo preciso che ogni giorno le mie cinque o sei ore di cammino le facevo, ma se dovessi dirti dove andavo e chi vedevo non saprei rispondere. E mi vergogno perché da qualche parte sarò ben andata. Non era un passeggio; mi muovevo per il mio lavoro lassù. Attilio magari mi diceva: "Guarda che nel tal posto hanno trovato del materiale di medicazione e ho detto di tenertelo da parte". E io andavo. Ma anche per gli altri della Zona era così. Si andava, magari si affrontava un piccola questione, si tornava, se ne parlava e poi si partiva di nuovo. Andare era il modo per tenerci insieme, ma i distaccamenti erano autonomi. Ogni distaccamento doveva occuparsi di tutto. Non doveva aspettare la direttiva. Andavamo tutti a piedi e gli ordini, quando c'erano, arrivavano solo quando non servivano più, quando avevi già combattuto o ti eri già ritirato. -
- Sapevi che dal comando della Sesta Zona era venuta la proposta di allontanare Bisagno? Che gli avevano detto: o te ne vai alla Quarta o torni a casa? -
- No, non è possibile. Non lo sapevo. Chiunque abbia fatto quella proposta, e non riesco neppure ad immaginare che sia stata fatta, era un provocatore. Solo un provocatore poteva avere in mente una cosa simile. Lo dico anche se so che Bisagno, Scrivia e gli altri facevano di tutto per renderci la vita difficile. -
- Difficile? Mi fai qualche esempio?
- Ti dico il primo, magari stupido, che mi viene in mente. Non lasciavano cantare Bandiera Rossa, mentre si doveva cantare una canzone col nome di Bisagno…-
- Sai che nell'archivio delle Brigate Garibaldi ho trovato che proprio il comando generale, Longo e gli altri, avevano dato indicazione di non cantare inni comunisti, non fare il saluto a pugno chiuso e portare un fazzoletto tricolore al posto di quello rosso? -
- Quella del fazzoletto la sapevo ma le altre no. Mi domando cosa davvero abbiamo vissuto allora. Perché lì facevamo proprio il contario: fazzoletto, inni, tutto. -
Marietta è perplessa. Quel che le ho detto l'ha turbata. - Davvero? - mi chiede un paio di volte. Non credo che finga. Marietta era, ed in un cetrto senso è ancora, scopertamente settaria, ma difende con forza la lealtà di Bisagno. Non crede che possa aver partecipato a un progetto di spartizione della Zona. - Non era uomo da lottizzazioni, - mi ripete, - era un giovane integro, conscio del suo compito. -
Marietta è come emerge dai documenti conservati al Gramsci: una militante fedele a cui si potevano proporre compiti impegnativi e rischiosi ma di cui forse non era opportuno mettere alla prova la fiducia verso il partito con incarichi discutibili. Marietta, per carattere, dava il massimo e per questo chi l'aveva conosciuta l'aveva scambiata per un "dirigente". Non lo era né pensava di esserlo. Sapeva però di essere importante come un dirigente, forse anche di più: si era impegnata a fondo, come pochi, a tessere in montagna la trama morale e politica di quell'esercito un po' bislacco. E lo aveva fatto con passione e abnegazione. Ma si capisce che per lei il partito stava al primo posto.
Dico a Marietta che mi sarebbe piaciuto conoscere Attilio e che, non saprei per quale preciso motivo, approfondendo la sua personalità m'erano tornate in mente certe pagine di Buio a mezzogiorno di Koestler. Le chiedo se per caso lo ha letto.
- Sì che l'ho letto, ma che cosa c'entra con la Resistenza? L'ho letto dopo la guerra e non l'ho messo certo in rapporto con Attilio. Sapevo anche cosa il partito diceva di Koestler. Allora vedevamo tutte le cose contro la Russia come una provocazione americana e anche io ne ero convinta. Se è per questo ne sono convinta ancora oggi. Ma non avevo dubbi neanche sul fatto che quella storia fosse più vera della cronaca. Per me era come se fossi stata là a vedere. Riconoscevo le parole dell'interrogatorio una per una. E con le parole le facce. Dire che mi ha addolorato è poco. È stato un colpo allo stomaco. Resti senza fiato e mentre pensavo che era tutto vero ricordo che mi sono detta: è inevitabile ma bisogna andare avanti. Allora ragionavamo in un modo che nessuna rivelazione, neppure la più terribile, ci poteva smuovere. E non ci ha smosso. Perché? Eppure non eravamo stupidi; e neppure cinici - beh forse un po' sì, ma non io - eppure non ci ha smosso. Oggi penso che se ci avesse smosso almeno un pochino magari per noi sarebbe stato meglio, ma è andata così. Non ho una spiegazione; non credo che ce ne sia una sola. Forse non davamo importanza, ci avevano abituato a non dare importanza, ai singoli, all'individuo. Eravamo tutti per lo stato. Stato, stato, sempre stato che poi intendevamo come collettivo, il contrario di individuo e di privato, perché noi lo stato non lo vedevamo di buon occhio. Mi ricordo di quella specie di automa che, nel libro, processava il suo ex capo. Era antipatico, ma gli riconoscevo qualcosa di positivo; era inflessibile, disumano come bisogna essere quando si vuol fare una giustizia radicale. Non dico che mi piacesse, ma forse lo trovavo tollerabile proprio per i suoi difetti. -
Con Koestler si conclude il nostro incontro. Marietta aspetta il momento del congedo per affidarmi alcune pagine di protocollo scritte a mano. - E un po' del lavoro che mi hai chiesto, - dice consegnandomele frettolosamente e sorridendo, - ma ho paura di essere andata fuori tema. Si dice ancora così? -
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Manlio Calegari
Cara Marietta, Caro Professore
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Indice
Premessa
4 marzo 1987
12 marzo 1987
20 marzo 1987
Il partigiano Fran
Caro Piero
4 maggio 1987
5 maggio 1987
Pro-memoria
Sestri 8 maggio
13 maggio 1987
Sestri 12 maggio
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