Elisabetta Graziosi, Cesura per il Secolo dei Genovesi: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.





6. Polemiche letterarie e fazioni genovesi: qualche punto fermo

Per raccontare questa storia, aggiungendo un po’di particolari al quadro generale in cui il Brignole Sale si trovò ad operare, entro e fuori Genova, si può partire, da una data immediatamente posteriore alla pubblicazione delle Instabilità dell’ingegno, con una lettera che il genovese Luca Assarino inviò dalla città ligure al Mascardi, il quale occupava a Roma la cattedra di Retorica alla Sapienza. Pubblicata anni dopo da un nipote del destinatario, quando oramai i protagonisti di quegli anni erano tutti scomparsi, questa lettera che fotografava gli orientamenti letterari genovesi intorno agli anni Trenta del Seicento, venne cautamente potata dei riferimenti più compromettenti, e in ragione della sua evasività e del ritardo sui tempi è generalmente sfuggita agli studiosi del Brignole Sale. [1] Era una lettera privata in cui al Sarzanese si rivelavano le censure che in una villa di Albaro erano state fatte al ciceronianesimo del suo stile, insieme alla difesa di uno stile moderno, per il quale si citavano ad esempio, oltre al francese Pierre Mathieu, i bolognesi Virgilio Malvezzi e Giovan Battista Manzini (al quale si doveva la recente edizione bolognese delle Instabilità). A questo nuovo stile andavano le preferenze dei giovani genovesi di Albaro che lo riconoscevano oramai praticato variamente da altri scrittori moderni di particolare esemplarità, « da’ quali molte Accademie d’Italia e in particolare quella di Genova pare che abbino appreso l’uso di ben scrivere ».[2] Chi erano questi censori? I nomi ricordati dall’Assarino nella lettera (come ora la si legge nei Discorsi accademici del Mascardi) erano quelli di Agostino e di Giovanni Antonio. Nell’edizione a stampa non si va oltre questi riferimenti (forse qualcosa di più c’era nella lettera effettivamente spedita), ma la villa di Albaro, teatro delle Instabilità, e il nome del Manzini rendevano ben decifrabili i cenni d’intesa: l’accademia sotto accusa era quella dei genovesi Addormentati, le cui riunioni si svolgevano a volte nella stessa villa del Brignole, e per la quale fin dal 1630 il Manzini aveva pronunciato un discorso per la verità assai criptico.[3] Non vi erano cognomi, ma nella società ristretta della Genova secentesca anche i nomi soltanto potevano essere ben decifrati: il Giovanni Antonio nominato è verosimilmente Giovanni Antonio Brignole, che fu compagno e cugino di Anton Giulio, cresciuto con lui dalla giovinezza ed entrato lui pure fra i Gesuiti.[4] Quanto all’Agostino, pure nominato nella lettera, ritengo che si trattasse probabilmente di Agostino Pinelli, personaggio emergente nella vita aristocratica di quegli anni, accademico Addormentato e ammiratore del Chiabrera, assai legato al Brignole Sale, che fa parte della scena del Carnovale,[5] recita nei Due anelli, e nel Fazzoletto, è dedicatario del Satirico innocente e fu più tardi ambasciatore a Roma.[6] L’Assarino fu effettivamente al servizio di Anton Giulio anche se non è possibile fissare delle date,[7] e questa lettera delatoria può forse aprire uno squarcio sulle ragioni per cui Brignole Sale ed Assarino, genovesi e autori in contemporanea di romanzi, mostrarono dopo una certa data di ignorarsi, mentre l’Assarino non fu mai cooptato nell’Accademia degli Addormentati, che da parte sua cancellò provocatoriamente dalla scena genovese considerandola inesistente.
La lettera che giungeva da Genova al ligure Mascardi è tanto più interessante se si considera che nello stesso 1635 erano uscite in contemporanea Le instabilità dell’ingegno del Brignole Sale e la Stratonica dell’Assarino, e che quindi il giudizio sull’uno coinvolgeva direttamente anche l’altro dei due autori che si conoscevano all’interno di un ristretto ambiente cittadino. A queste censure il Mascardi rispose in due modi, in privato con una lettera dalla piccola circolazione locale, e in pubblico, con un capitolo dell’Arte istorica. Privatamente all’Assarino il Mascardi ribadiva la sua avversione contro il francese Mattei e contro coloro che, sul suo esempio, credevano « tutt’una cosa l’esser breve nelle scritture, e lo scriver rottamente e a salti ».[8] Altri nomi non c’erano anche se gli obiettivi polemici parevano essere molto prossimi a chi aveva proposto il problema, e Brignole era in quel momento assai prossimo all’Assarino. Ma la risposta di maggior rilievo teorico e ideologico data dal Mascardi alla lettera genovese è consegnata ai due capitoli finali del quinto trattato dell’Arte istorica, dove non solo si trova l’attacco contro il Mathieu e il Malvezzi che è al centro della polemica sulla prosa barocca,[9] ma si può leggere, con una censura in piena regola dello stile “moderno”, anche un campionario di ripulse contro le lusinghe dei concetti e delle acutezze, dissociate dalla retorica della persuasione: « Perciò vitiosissime saranno quelle sentenze che sentiranno dell’igneo, o dell’aereo, cioè che saranno più atte a lusingar con l’acutezza, che a persuader con la maturità ».[10] Il Mascardi non mostrava di ritrarsi completamente da questi esiti stilistici modernizzanti (su cui anzi rivendicava fino a un certo punto una precedenza che forse bisognerà decidersi a riconoscerglieli) [11] ma ne censurava l’abuso proponendosi come figura dell’uomo savio, per cui la moderazione dello stile era anche il ritratto dell’animo, il volto nelle parole: « Vorrei vivace e spirante il favellare, ma gran divario è che la favella respiri od esclami, che si muova o che salti; che sia viva o baccante, che spiritosa o spiritata nomar si debbia […], perché non è questa maniera di scrivere proportionata all’huomo prudente, che non si lasci dalla vanità dell’apparenze far frode, ma propria del giovane poco avveduto, che dietro al lume palpitante delle lucciole, per l’ombra d’una falsa persuasione, s’aggira, e non affisa l’occhio nella bella ruota del sole d’una vera e maestosa eloquenza ».[12] Bocciatura completa per Brignole Sale « giovane poco avveduto » dalla favella spiritosa di cui viene immediatamente riconosciuto (e censurato) lo schieramento modernista. Ma bocciatura completa anche per il Malvezzi e per Giovan Battista Manzini che del Malvezzi era insieme concittadino, sodale e seguace,[13] e del Brignole Sale era amico, estimatore e curatore editoriale, tanto da avere meritato nelle Instabilità dell’ingegno un particolare tributo di lodi, come una sorta di caposcuola nelle scelte di stile « i furori della cui gioventù servon d’essempio alle penne più canute e più sagge ».[14]
Che per il Mascardi l’obbiettivo polemico fosse contrassegnato duplicemente, contro il laconismo tacitista e contro la vertigine dello stile fiorito di metafore, era poi ribadito variamente ma sempre con un cenno generazionale che congiunge le due scelte stilistiche. Sotto accusa sono i giovani “arroganti” e “vanitosi” che hanno ridotto l’esercizio delle sentenze all’uso scolastico, e si dilettano della spezzatura del dire e dei concetti come già è accaduto in epoche di eguale corrotta eloquenza quando « Haveva ognun di loro il suo libriccino pronto, in cui non tutta la diceria, ma i soli concetti a suo giuditio più spiritosi frettolosamente notava. Onde finalmente si vedeva in esso formata una selvetta di sentenze e di pensieri sopra la medesima materia, ma senza legatura, e senz’ordine di dipendenza ».[15] Ma anche nella duplicità dell’attacco veniva colpito il Brignole il cui doppio registro nell’acutezza e nella brevitas era ben riconoscibile fin dalle Lagrime per la morte di Emilia Adorni Raggi.
Ufficialmente nominato nell’Arte istorica era solo Pierre Mathieu, lo storico francese di Luigi XI e di Enrico IV, campione del doppio registro metaforico e sentenzioso: Brignole ne era sicuramente lettore (la Histoire des derniers troubles de France si trovava fin dal 1611 nella biblioteca paterna [16]), un tratto anche questo che lo accomunava ai moderni: innanzi tutto al Marino che a una traduzione del Mattei, la Historia della morte d’Enrico quarto pubblicata nel 1615 aveva premesso una Canzone in morte del sovrano francese,[17] ma anche all’Achillini che scrivendo al Marino lo designava « gloria del nostro secolo et norma di scrittori »,[18] al moderno per antonomasia, l’olivetano Secondo Lancellotti che lo indicava come « historico primario e tacitista de’ nostri tempi » (mentre riteneva che il Mascardi fosse « un poco hoggidiano »).[19] Pier Mathieu era certo un vessillo dei moderni, ma forse in questa scelta del suo nome come obiettivo polemico (in luogo di quello del Malvezzi) vi erano anche delle ragioni politiche se si pone mente allo scoppio della guerra tra Francia e Spagna avvenuto nel 1635. Io credo che dietro la manovra dell’Assarino vi fossero anche delle ragioni politiche, fra cui non ultima la volontà di accostarsi al cardinal Maurizio di Savoia che, proprio in quegli anni, era clamorosamente passato armi e bagagli al partito spagnolo, trascinando gli uomini della sua corte (fra cui era il Mascardi) nel nuovo schieramento politico.[20] Il Mascardi passato al campo filospagnolo poneva come obiettivo polemico di facciata uno storico francese: avrebbe potuto fare lo stesso con il potente marchese Malvezzi già trasferito a Madrid a fianco dell’Olivares?
Il trattato Dell’arte istorica, pubblicato a Roma nel 1636, era dedicato in prima istanza al doge Giovan Francesco Brignole e ai governatori di Genova: non dunque alla singolarità di una persona bensì al “Trono Serenissimo” nella sua funzione collegiale. Ma oltre a quella genovese vi era, più articolata, anche un’altra dedica ai romani accademici Umoristi che il Mascardi metteva in guardia contro « certi fumi d’ingegno » che lusingavano « le menti giovanili e vulgari ». Le due dediche rispondevano a situazioni diverse e il loro incrociarsi non è del tutto evidente. Dell’Accademia degli Umoristi romani il Mascardi era stato effettivamente Principe e vi aveva pronunciato discorsi ideologicamente impegnati, mentre il suo distacco da Genova datava per lo meno al luglio del 1623, quando ne era partito per mettersi al servizio del cardinale Maurizio di Savoia. Nella Repubblica il Sarzanese era stato brevemente (fra il servizio al cardinal d’Este e quello di Savoia) quando vi era stato nominato lettore degli Addormentati e vi aveva pronunciato fra il 1621 e il 1622 i discorsi sulla Tavola di Cebete tebano. Era stata una presenza importante ma effimera perché più tardi, di nuovo a Roma, si era proclamato, come Dante, cittadino del mondo « senza riguardo di natione o di patria ».[21] Che questa dichiarazione potesse piacere alla gelosissima Repubblica (cui prima della precipitosa partenza aveva chiesto la reintegrazione nella nobiltà genovese insieme ai fratelli Alberico e Giovanni) non pare possibile. Quella dell’Arte istorica indirizzata al doge Giovan Francesco Brignole è una dedica eccentrica che non è mai stata veramente spiegata,[22] e non è mancato chi, anche recentemente, ha attribuito al Brignole Sale l’opera del Mascardi che invece pare essere largamente contro di lui.[23] Altre due opere pubblicate o ripubblicate nello stesso cruciale 1636 definiscono programmaticamente con i titoli e strategicamente con le dediche lo schieramento delle alleanze: i Furori della gioventù di Giovan Battista Manzini [24] e Le libidini dell’ingegno di Pier Francesco Minozzi dedicate al Loredano, ma in parte anche al Brignole e all’Imperiale.[25] Il partito dei giovani era il partito degli ingegnosi.
Si tratta di un anno cruciale per il dibattito e le prese di posizione moderniste, con una convergenza di date che non toccano solo Genova ma che con Genova hanno punti di tangenza. Lo stesso anno uscivano infatti a Venezia due opere espressamente dedicate al paragone fra “antichi e moderni” e fondate su una dichiarata ripresa del decimo libro dei Pensieri del Tassoni, L’hoggidì, overo gl’ingegni non inferiori a’passati e i Farfalloni degli Antichi, del moderno barocco affossatore degli “oggidiani”, l’olivetano Secondo Lancellotti.[26] Se a questo si aggiunge che lo stesso abate Lancellotti nel 1637 si trovava lui pure a Genova dove veniva ricevuto fra gli Addormentati, e che alle due opere faceva seguito nel 1640 Chi l’indovina è savio,[27] un volume fondato sulla stessa ideologia e dedicato al genovese Agostino Franzone (che probabilmente pagò le spese della stampa) e datato Genova 22 luglio 1639, si potrà aggiungere che il partito degli ingegnosi coincideva in tutto con quello dei moderni e che Genova era una delle sue capitali.[28] Tanto più, per ritornare al più circoscritto ma documentato perimetro genovese, che il ruolo del Franzone, intellettuale e uomo di governo, autore di un volume di rilievo eccezionale sulla Nobiltà di Genova e di un dialogo politico che circolò largamente manoscritto, ne faceva non un semplice sovvenzionatore di imprese editoriali ma un vero promotore di posizioni ideologiche.[29]
Fra gli Italiani la censura del Mascardi era forse diretta principalmente contro il Malvezzi, il quale però era già partito per la Spagna e certo non raccolse la sfida. Ma chi si sentì colpito e offeso fu Giovan Battista Manzini (controfigura e del Malvezzi e del Brignole) che invece era in Italia, era filofrancese e si muoveva fra Bologna e Genova. Pubblicando nel 1637 Le grazie rivali che contenevano le declamazioni tenute a Genova nella villa di Giovan Vincenzo Imperiale, il Manzini vi aggiungeva una Lettera apologetica in cui difendeva il suo stile attaccando a fondo lo stile, il ruolo, la persona di un avversario che non può che essere il Mascardi. E innanzi tutto il Bolognese rifiutava drasticamente la deminutio fanciullesca lasciando intendere che un fanciullo non meritava poi tante attenzioni (e qui trasparivano dietro la sua persona altri e più potenti personaggi che il Mascardi aveva inteso toccare): « Dicono che ‘l mio stile non corre, che le mie cose sono fanciullaggini, che son fumi d’ingegno, e che so io, ma rispondo, che non posso creder che sien fanciullaggini perché non dispiacerebbero loro, quanto dispiacciono. Le compatirebbero ».[30] L’avversario non era nominato ma non gli venivano risparmiati gli insulti anche sul piano morale: un Orbilio pedantaccio, da relegare fra i « cagnazzi affamati e mordaci », anzi « un Palemone, infame a quanti ne sanno i costumi ». Quanto alla difesa del proprio stile il Manzini non la disgiungeva da un attacco violento contro quello dell’avversario: « Egli è vero, io nol niego, che ‘l mio stile talhora non corre, ma non corre, non già perché gli manchi la lena, ma perché va carrico. Non l’ho avvezzato a caminar a vuoto, com’essi han fatto il loro ».[31] Manzini non chiamava in causa Brignole Sale (del resto neanche Mascardi lo nominava esplicitamente, come non nominava nemmeno Malvezzi: la polemica era ovviamente fra innominati) e difendeva solo se stesso, ma la contiguità fra Anton Giulio e Giovan Vincenzo e Bartolomeo Imperiale era evidente per ragioni accademiche e parentali. Per questo, anche alla luce della lettera dell’Assarino si può essere certi che le censure di Agostino Mascardi raggiungevano insieme per lo meno tre personaggi, Virgilio Malvezzi, Giovan Battista Manzini e Anton Giulio Brignole Sale, e ne sfioravano un quarto (con cui lo stesso Mascardi aveva avuto in passato rapporti più che buoni): Giovan Vincenzo Imperiale. 





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[1] Lo scambio epistolare è variamente segnalato da Francesco Luigi Mannucci, La vita e le opere di Agostino Mascardi, cit., pp. 246-49; Ivo Da Col, Un romanzo del Seicento. “La Stratonica” di Luca Assarino, Firenze, Olschki, 1981, pp. 177, 228; Eraldo Bellini, Agostino Mascardi fra “ars poetica” e “ars historica”, in “Studi secenteschi”, vol. XXXII, 1991, pp. 119-122 (dove però si confonde fra Giovanni Antonio Brignole e Anton Giulio Brignole Sale: cugini, e per un certo periodo coresidenti, ma divisi anche nel cognome).

[2] Lettera di Luca Alessandrino scritta al Mascardi [ma nell’indice: Lettera di Luca Azarini al Mascardi, in cui gli chiede il parere sopra lo stile, che deve adoprarsi], in Agostino Mascardi, Discorsi accademici di monsignor Mascardi con l’aggiunta d’alcuni componimenti spirituali e di varie lettere volgari e latine, in Genova, per Gio. Battista Franchelli, 1705, p. 544.

[3] Giovan Battista Manzini, I tre concorrenti amorosi. Discorso problematico del sig. Gio Battista Manzini recitato all’academia illustrissima de gl’Addormentati di Genova, in Genova e in Bologna, presso Clemente Ferroni, ad instanza di Bartolomeo Cavalieri e Cesare Ingegneri, 1630.

[4] Natale Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova, Tipografia fratelli Pagano, 1825-33, [rist. anast. Bologna, Forni], Famiglia Brignole.

[5] Trasparente l’anagramma di Agostillo Pellino con cui Agostino Pinelli è assunto a personaggio del Carnovale.

[6] Un ritratto di Agostino Pinelli quale « epilogo di tutte quelle perfezzioni che si richieggono a formare un ottimo cavaliere » si trova in una lettera inviata da Luca Assarino a Gian Paolo Balbi in Diverse lettere e componimenti di Luca Assarino, con un saggio del Demetrio, Venezia, Sarzina, 1639, pp. 103-4 che lo dice « di sangue nobilissimo, ricco di fortuna, bello di corpo, giovane d’età, di costumi affabili, di cuor liberale e d’intendimento fino, d’ingegno letterato, di gusto armonico, d’inclinazione poeta, e di professione benefattore ». Si trova anche menzionato, insieme al fratello Filippo Maria (e al Brignole Sale), come esempio di un genovese doc, dotato « di tutte quelle prerogative che a cavalieri grandi si convengono », in un testo del 1640 (a ridosso dunque del periodo che qui si discute): Claudio Filippi (Luca Assarino?), Capricio poetico, a cura di Pietro Donati e Franco Vazzoler in Domenico Fiasella, a cura di Pietro Donati, Genova, Sagep, 1990, p. 265 (per l’attribuzione, vd. la nota al testo, p. 277). E vd. anche Vito Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, “Atti della Società Ligure di Storia patria”, vol. LXIII, 1934, pp. 18-19.

[7] Franco Vazzoler, L’occhio e il pennello. I letterati genovesi davanti a Sarzana, in Domenico Fiasella, a cura di Pietro Donati, Genova, Sagep, 1990, p. 44, n. 22.

[8] Risposta del Mascardi all’Assarino, in Agostino Mascardi, Discorsi accademici di monsignor Mascardi, cit., p. 552.

[9] Il riconoscimento del Malvezzi come obiettivo in luogo del Mattei, è di Ezio Raimondi, Polemica intorno alla prosa barocca, in Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano, Firenze, Olschki, 1982, pp. 175-248. E vd. anche Eraldo Bellini, Agostino Mascardi fra “ars poetica” e “ars historica”, in “Studi secenteschi”, vol. XXXII, 1991, pp. 113-23; Silvia Bulletta, Etica, retorica e “dramma” politico nelle storie romane di Virgilio Malvezzi, in “Studi secenteschi”, vol. XXXVI, 1995, pp. 3-67 (ora in Idem, Virgilio Malvezzi e la storiografia classica, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1995, pp. 129-232; Denise Aricò, Introduzione, in Virgilio Malvezzi, Davide perseguitato, Roma, Salerno, 1997, pp. 7-24.

[10] Agostino Mascardi, Dell’arte istorica di Agostino Mascardi trattati cinque, in Roma, appresso Giacomo Facciotti, 1636, p. 658

[11] Condivido pienamente su questo argomento le osservazioni e i dubbi avanzati da Riccardo Merolla, L’Accademia dei Desiosi, in Il gran teatro del mondo. Roma tra Cinque e Seicento: Storia, letteratura e teatro, a cura di Riccardo Merolla, numero tematico “Roma moderna e contemporanea”, a. III, 1995, n. 1, pp. 144-47. E vd. anche, per gli importanti rilievi sull’ambiente pontificio, di cui il Mascardi fu uno dei rappresentanti più significativi (secondo il consueto internazionalismo genovese che nella corte romana trovava uno dei suoi centri di attrazione) Riccardo Merolla, Dopo Sisto V. La ricerca letteraria a Roma e la transizione al barocco, in “Esperienze letterarie”, XXI, 1996, 2, pp. 27-48.

[12] Agostino Mascardi, Dell’arte istorica, cit., pp. 659, 661-62.

[13] Del Malvezzi si era pubblicato in Genova Il Romulo con dedica al marchese Giovan Francesco Serra (per Giuseppe Pavoni, 1630). Per i rapporti fra G.B. Manzini e il Malvezzi vd. Gian Luigi Betti, La penna e l’archibugio. Note su Giovan Battista, Antonio e Luigi Manzini, in “Strenna storica bolognese”, a. XLIV, 1994, pp. 37-53.

[14] Anton Giulio Brignole Sale, Le instabilità dell’ingegno, ed. cit., p. 314. Ma sotto censura era certamente anche l’ambiente veneziano degli Incogniti in significativa cordata con i Gelati bolognesi e i genovesi Addormentati

[15] Agostino Mascardi, Dell’arte istorica, cit., pp. 665-666.

[16] Laura Malfatto, Alcuni acquisti di libri effettuati da Gio. Francesco Brignole tra il 1609 e il 1611, in “La Berio”, a. XXXIV, n. 2, luglio-dicembre 1994 p. 45. Un ritratto-panegirico del Mattei come modello esemplare di scelte anche politiche, nell’ambiente dell’Accademia degli Incogniti, si trova in Girolamo Ghilini, Teatro d’huomini letterati aperto dall’abbate G.G. academico incognito, in Venetia, per li Guerigli, 1647, vol. I, pp. 195-96. Per un ampio e aggiornato quadro culturale, vd. Jean Lafond, L’esthétique du “dir moderno” dans l’historiographie de P. Matthieu et de ses imitateurs, in Mélanges à la mémoire de Franco Simone. France et Italie dans la culture européenne, vol. II, XVIIe et XVIIIe siècle, Genéve, Slatkine, 1981, pp. 135-148.

[17] Historia della morte d’Henrico IV re di Francia e di Navarra per P. Matthieu historiografo di Francia tradotta di francese in italiano da Iean Bernardo De la Baffarderie. Aggiuntovi di nuovo una canzone del Cavalier Marini, in morte di detto Re, in Modena & in Macerata, appresso Pietro Salvioni, 1615, su cui vd. Francesco Giambonini, Poesie estravaganti di Marino, in “Studi secenteschi”, vol. XXXIV, 1993, pp. 69, 119.

[18] Giovan Battista Marino, La sampogna, a cura di Vania De Maldé, Fondazione Pietro Bembo, Ugo Guanda Editore, Parma, p. 610 (e vd. quanto ne dice la curatrice p. XVII).

[19] Secondo Lancellotti, L’hoggidì overo gl’ingegni non inferiori a’passati dell’abbate don Secondo Lancellotti da Perugia abbate olivetano accademico Insensato, Affidato & Humorista. Parte seconda con alcuni discorsi nel fine del medes. Autore intitolati Sfoghi di mente, in Venetia, appresso li Guerigli, 1636, pp. 206, 254 (e l’indice).

[20] Al cardinal Maurizio di Savoia l’Assarino dedicò nel 1638 una canzone che gli fece passare in Genova dei guai, vd. Ivo Da Col, Un romanzo del Seicento, cit., pp. 29-30. Per il rilievo politico-culturale dell’azione del cardinale a Torino e a Roma mi sembrano decisive le pagine di Riccardo Merolla, L’Accademia dei Desiosi, cit, pp. 121-55.

[21] Lettera di monsig.re Agostino Mascardi, circa la censura fatta al suo libro: “La Congiura di Genova del conte Fieschi”, in “Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti”, a. VI, 1879, p. 107.

[22] Francesco Luigi Mannucci, La vita e le opere di Agostino Mascardi, cit., pp. 195-96. Credo però che anche la dedica possa essere spiegata se si pensa al desiderio del Mascardi di essere nobilitato quando in Genova le ricerche storico-araldiche con l’opera di Agostino Franzone (su cui vd. la n. 116) diventavano un monumento cittadino. Il Mascardi non ottenne comunque l’ambita nobilitazione.

[23]Vd. Delia Eusebio, Nota bio-bibliografica, in Maria Maddalena peccatrice e convertita, cit., XCIX-C, che riprende la testimonianza data da Antonio Brignole Sale, in Elogi di liguri illustri seconda edizione riordinata, corretta e accresciuta, a cura di Luigi Grillo, vol. II, Genova, Tipografia Fratelli Ponthenier,1846, p. 260. Questi, a sua volta, deriva le informazioni dalla Biblioteca aprosiana. Passatempo autunnale di Cornelio Aspasio Antivigilmi tra Vagabondi di Tabbia detto l’Aggirato, in Bologna, per li Manolessi, 1673 (p. 489): si tratta però solo di una cattiva lettura di Angelico Aprosio che elenca le opere non secondo l’autore bensì secondo il donatore (il che significa che fu Anton Giulio a donare all’Aprosio l’opera del Mascardi). L’errore era già stato segnalato e corretto da Michele De Marinis, Anton Giulio Brignole Sale e i suoi tempi (Studi e ricerche sulla prima metà del seicento), Genova, Libreria Editrice Apuana, 1914, pp. XXI-XXII.

[24] Giovan Battista Manzini, Furori della gioventù. Esercitij rhettorici di Gio. Battista Manzini, in Bologna, presso Giacomo Montini e Carlo Zenero, 1636 (ma sui problemi di questa edizione, discretamente misteriosa, che comprende sia la parte prima, già pubblicata nel 1629, sia la parte seconda, già pubblicata nel 1634, vd. Nicole Bingen, Philausone (1500-1660) Répertoire des ouvrages en langue italienne publiés dans les pays de langue française de 1500 à 1660, Genève, Librairie Droz, 1994, pp. 244, 19-20.

[25] Pier Francesco Minozzi, Delle libidini dell’ingegno del signor Pier Francesco Minozzi, alcuni saggi pubblicati da Lodovico Aprosio Vintimiglia, Venezia, per Gio. Pietro Pinelli, 1636. Oltre a questa dedica significativa, altri elementi mi inducono a credere che dietro la galvanizzazione genovese dei “moderni” vi sia la regia nascosta di Giovan Vincenzo Imperiale (allora colpito da ostracismo e in esilio a Bologna). Per i rapporti fra Imperiale e Minozzi, vd. anche Girolamo Ghilini, Teatro d’huomini letterati aperto dall’abbate Girolamo Ghilini academico incognito, in Venetia, per li Guerigli, 1647, vol. I, pp. 190-91.

[26] Secondo Lancellotti, L’hoggidì cit; Idem, Farfalloni degli Antichi historici notati dall’Abbate don S.L. da Perugia Accademico Insensato, Affidato & Humorista, in Venetia, presso Giacomo Sarzina, 1636.

[27] Secondo Lancellotti, Chi l’indovina è savio overo la prudenza humana fallacissima. Libri otto di don S.L. da Perugia abbate olivetano accademico Insensato, Affidato & Humorista, in Venetia, appresso li Guerigli, 1640. Sull’olivetano Secondo Lancellotti rimando al bel saggio di Franco Arato, Secondo Lancellotti: un erudito barocco, in Letterati e eruditi tra Sei e Ottocento, Pisa, ETS, 1996, pp. 13-51.

[28] Con un manifesto datato « Genova, Calenzano, 1639 » il Lancellotti aveva anche preannunciato, a continuazione di Chi l’indovina è savio, un’altra opera rimasta inedita: Le pittime de’ tribolati ne’ beni del corpo, della fortuna e dell’animo (vd. Franco Arato, Secondo Lancellotti: un erudito barocco, cit., p. 49, n. 138)

[29] Agostino Franzone, Nobiltà di Genova di Agostino Fransone del fu Tommaso nobile genovese all’ill.mo et ecc.mo signor principe Doria, in Genova, Pietro Giovanni Calenzano e Gio. Maria Farroni, 1636 [vd. Maria Maira Niri, La tipografia a Genova e in Liguria, cit., scheda 477]. Sul Franzone vd. Carlo Bitossi, Città, Repubblica e nobiltà nella cultura politica genovese, cit., pp. 33-35; Idem, Il governo dei Magnifici, cit., pp. 38-39, 189

[30] Giovan Battista Manzini, Lettera apologetica scritta dal sig. Manzini al sig. abb. N., in Le Grazie rivali declamationi Accademiche del cav. Gio.Battista Manzini, in Bologna, per Nicolò Tebaldini, 1637, pp. 15-16 (di cui l’anno seguente fu pubblicata una nuova edizione).

[31] Ivi, p. 17. Su questa polemica vd. le indicazioni di Francesco Luigi Mannucci, La vita e le opere di Agostino Mascardi, cit., pp. 201-8. E vd. anche Ildebrando Della Giovanna, Agostino Mascardi e il cardinal Maurizio di Savoia, in Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro D’Ancona, Firenze, G. Barbèra, 1901, pp. 117-26.




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Anton Giulio Brignole Sale.
Un ritratto letterario

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Indice
Indice dei nomi
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Premessa
Graziosi
Cesura per il Secolo dei Genovesi
Malfatto
La biblioteca di Anton Giulio
Corradini
Il teatro comico
Moretti
Poeta per musica
De Troia
L'ossimoro crudele
Eusebio
Maddalena-naviglio
Conrieri
La traduzione portoghese della Maria Maddalena
Rodler
Anton Giulio nel ricordo di Francesco Fulvio Frugoni
Carminati
Tre lettere inedite


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