Elisabetta Graziosi, Cesura per il Secolo dei Genovesi: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.





8. Un manifesto per l’ingegno genovese

Chiariti i legami fra Anton Giulio Brignole Sale e Matteo Peregrini, ripercorse le tappe della “polemica sulla prosa barocca”, individuati i centri culturali concorrenti ed antagonistici, rimane da illustrare con più documenti la proposta culturale del marchese, ritrovandone i collegamenti all’interno di una tradizione culturale più vasta e attestata in campo nazionale. Genova si ripresentava ancora una volta con Brignole Sale come intensamente cosmopolita, dinamica, mutevole, innovatrice, e sostanzialmente antitradizionalista. Su questo punto addirittura l’opera pù nota del Genovese, Le instabilità dell’ingegno, è in realtà opera manifesto anche nel titolo, e non soltanto nel senso più generale e generico di una preferenza barocca per ciò che è instabile e mutevole: [1] si tratta bensì di un carattere più peculiarmente genovese che viene trasformato in un mito moderno di identità cittadina. Il precedente più immediato e connotato negativamente era, come si è detto, costituito dalla Congiura del conte Fieschi del Mascardi, ma vi era dell’altro che risaliva per lo meno al secolo precedente. L’osservazione della irrequietezza cittadina « propensa ai cambiamenti », visibile a Genova nelle lotte di fazione, si accoppiava alla notazione della instabilità politica, ed era un topos ben documentato non solo nel Machiavelli ma anche, e più diffusamente, nelle pagine del Guicciardini: « La città di Genova, città veramente edificata in quel luogo per lo imperio del mare, se tanta opportunità non fusse stata impedita dal pestifero veleno delle discordie civili, non è come molte dell’altre d’Italia sottoposta a una sola divisione ma divisa in più parti; perché vi sono ancora le reliquie delle antiche contenzioni de’ guelfi e de’ ghibellini. Regnavi la discordia, dalla quale furono già in Italia e specialmente in Toscana sconquassate molte città, tra i gentiluomini e i popolari […] [il titolo di doge] si concedeva per tutta la vita di chi era eletto: benché, per la instabilità di quella città, a niuno forse o a pochissimi fu permesso continuare tanto onore insino alla morte ».[2] L’immagine era filtrata nell’àmbito della vivacissima pubblicistica locale, così che l’instabilità dei Genovesi, collegata alla mutevolezza del cielo e dell’ingegno più che alle istituzioni politiche, era stata invocata da parte nuova nel cinquecentesco Sogno sopra la Republica di Genova veduto nella morte di Agostino Pinello ridotto in Dialogo, per giustificare contro i vecchi la necessità di un mutamento politico, e per asserire fortemente le peculiarità della Repubblica rispetto al modello veneziano: « A voler osservare i costumi e legge de Venetiani bisogneria che noi Genovesi fussimo situati in le tartare paludi sicome sono i venetiani, e sotto quello clima così stabile e fermo e non sotto questo volubile ». [3] La ricetta era forse politicamente modesta ma avrebbe costituito poi il nucleo del programma navalista comune al Brignole, il riarmo navale e la risocializzazione cittadina: « a salvar la Repubblica non ci è altro rimedio che la intiera osservanza delle leggi, che le armi proprie, quali sono galee, et le amorevolezze fra’cittadini ».[4] Guicciardini censurava l’instabilità politica collegandola alle istituzioni e non si preoccupava dell’ingegno, mentre l’anonimo Sogno sopra la Republica di Genova riportava la mutevolezza dell’indole genovese a una teoria naturalistica e climatica degli ingegni che in quegli anni si era largamente diffusa col nome del medico spagnolo Juan Huarte, dove veniva sottolineata l’influenza del clima sui costumi e sui caratteri delle nazioni.[5] Ma a congiungere l’una all’altra delle nozioni, l’ingegno e l’instabilità in una prospettiva decisamente modernista e non strettamente politica ci aveva pensato nel primo decennio del secolo Vincenzo Gramigna, partigiano dei moderni, Umorista della prima ora e autore di un Paragone tra il valore degli antichi e de’ moderni pubblicato postumo nel 1628.[6] In un discorso tenuto all’Accademia degli Umoristi con titolo Dell’instabilità, il Gramigna, già segretario del cardinal Scipione Borghese e poi del cardinal Tiberio Muti, non si era limitato a tessere un paradossale elogio della mutevolezza come occorrenza della natura che « gode nelle sue operationi d’instabilità » (anche sessuale: il caso in Roma di uno « spetiale » divenuto inaspettatamente donna) ma l’aveva considerata quale prova di « ingegno grande », raccomandandone la pratica a tutti gli accademici Umoristi: « Percioché con niuno altro nome meglio, o più acconciamente che con questo havereste potuto palesare al mondo qual sia la sottigliezza e la nobiltà del vostr’ingegno, né corpo più proportionato di quello che havete eletto della nuvola, che si discioglie in pioggia, potevate scegliere per dar saggio altrui dell’instabilità del vostro cervello ».[7] Era questa un’idea di cui si può trovare la radice nel Tassoni, che degli Umoristi fra il 1606 e il 1607 era stato principe, il quale già nel 1612 rispondendo alla domanda Perché gli ingegni acuti e pronti sogliano riuscire instabili aveva dato dell’instabilità una spiegazione ideologicamente impegnativa collegata all’acume dell’ingegno: « L’acutezza dell’ingegno versa intorno alle cose malagevoli da penetrare, e intorno alle novità; e perché l’ingegno aguto intesa che ha una cosa, quella non gli è più nuova, né malagevole, però egli non si ferma né s’acqueta mai in un suggetto solo, ma sempre va penetrando, e vagando d’una in altra materia, sprezzando quello, ch’ei sa e intende per disiderio e curiosità di quel che non sa, né intende; il perché quindi nasce la sua instabilità ».[8] S’intende che su questa idea non tutti potevano esser d’accordo, e non lo era infatti il Mascardi che nei Discorsi morali sulla tavola di Cebete aveva lanciato una stoccata contro gli « ingegni incostanti e volatili che nulla di quello, che all’huomo interno appartiene discernono, e per le cose lontane senza mai riposarsi discorrono ».[9] Divergenza significativa, e che pare comunque più interessante se si pensa che proprio ai genovesi Addormentati il Mascardi aveva pronunciato i discorsi della Tavola di Cebete, pubblicati poi nel 1627 con una dedica al cardinal Maurizio di Savoia: uno dei nemici della guerra del 1625 che aveva difeso davanti al pontefice le imprese militari antigenovesi del padre.[10] Mascardi aveva cioè riciclato sul tappeto filosabaudo delle lezioni nate in ambiente genovese, a solo due anni di distanza dalla conclusione di una guerra in cui la Repubblica si era trovata drammaticamente isolata davanti all’aggressività del duca.[11] Sul generale schieramento a favore dei moderni dell’Accademia degli Umoristi non vi sono dubbi anche se sarebbe importante valutarne con più precisione gli orientamenti politici, gli aggiustamenti progressivi nel tempo, le divergenze interne, le iniziative relative ai diversi prìncipi e protettori: nessuna accademia dura a lungo quale è stata fondata.[12] Ma è qui interessante rilevare che l’impresa degli Umoristi dei quali il Brignole raccoglieva ostentatamente l’eredità (una nuvola che si scioglie in pioggia) corrisponde a quella dei misteriosi accademici Annuvolati la cui presenza è attestata a Genova sempre nel 1635 (e credo che si tratti quindi di una variante di etichetta della solita accademia degli Addormentati oramai sotto l’egida dei Brignole congiunta con un filo diretto con la Roma barberiniana).[13] A questa tradizione modernista degli Umoristi romani di vent’anni prima (contro e oltre i più recenti Addormentati del Mascardi) si richiamava dunque Anton Giulio fin dal titolo della sua prima opera a larga diffusione. Per questo Instabilità dell’ingegno era davvero un titolo-manifesto, e tanto più in quegli anni in cui la querelle “de nihilo” (con l’importante episodio bolognese di uno dei fratelli Manzini) significava anche l’elogio dell’ingegno, vero creatore “ex nihilo” al di fuori di quella somiglianza che guida le operazioni dell’intelletto nel riprodurre la realtà già data.[14] Ripresa pari pari dalle pagine del romano accademico Vincenzo Gramigna, e allargata dalla mutevolezza all’acutezza, fra politica e gusto letterario, questa genovese “instabilità dell’ingegno” è la stessa nozione che il Brignole inalbera nell’operetta più legata alla politica contemporanea, la Congratulatione fatta a’serenissimi Collegi pe ‘l nuovo armamento delle galee, quando invita i collegi a proseguire nell’intrapresa risoluzione degli armamenti delle galee: « Troppo nota è la natura de’ genovesi che al lor clima somiglianti sì nell’instabilità come nell’acutezza, altrettanto son men fermi nel perseverare quanto fervidi nello intraprendere ».[15] Si trattava qui di convincere i collegi che la nuova mutazione d’orientamento politico rientrava in una linea genovese di lunga durata, quella che era stata anche di Andrea Doria « quando da sovrano Prencipe non ben guiderdonato, colta l’opportunità, seppe staccarsi con cotanto danno dell’abbandonato, che alle suppliche mandategli, come che indarno, accioch’egli tornasse, parve quasi dubitar colui, se senza questi ei più fosse Re ».[16] La variazione come necessità e l’incostanza come capacità di scelta fra due potenti alleati, questa era la ricetta che Anton Giulio proponeva al governo genovese negli anni in cui il gruppo dei “giovani” cercava di allargare il ruolo di autonomia concesso alla Repubblica: « Adempiasi una volta l’assennata massima che i nostri più esperimentati e provetti cittadini sempre hanno in bocca. E quale è questa? Che per governarci bene si hanno da imitare i nostri vecchi. Su imitiamoli. Ma per gratia quai sono eglino più nostri vecchi, e per le gloriose attioni maggiormente degni di essere imitati, quei che havrebbon, se vivessero, più di mille anni, o quelli che a due secoli non giungerebbono? ».[17] Se a questo si aggiunge che l’opuscoletto anonimo del Brignole di Congratulatione ai collegi, aprendo anche ai Genovesi “di fuori” e agli abitanti delle Riviere, voleva costituire un genere di Repubblica diverso dagli elogi per le elezioni dei dogi, apparirà più chiaro che il marchese, riciclando i materiali ideologici di un’accademia romana di vent’anni prima, aveva steso un vero manifesto per i “repubblichisti” genovesi che in quegli anni tentavano faticosamente di compattarsi.[18] Instabilità e acutezza, ingegno e varietà questa l’accoppiata vincente di cui Genova si faceva promotrice tramite il Brignole. Nella Congratulatione pe ‘l nuovo armamento delle galee era Genova/Genua che si proponeva come partigiana dell’ingegno, relegando in un canto la Genova/Giano, città bifronte di fazioni e di alleanze, per richiamarsi invece a un Giano dio delle maschere ingegnose, perché, come aveva scritto il marchese nel Carnovale: « In somma è Genova la vera stanza del Carnovale, s’è fondata da quel Giano che con le due faccie viene a dichiararsi Dio delle maschere ». Del resto anche nel Carnovale era la stessa società delle Instabilità dell’ingegno ad essere rappresentata, anche se l’utopia idillica cede in molti punti al comico, al satirico, al lazzo scurrile, che pure è un’apologia dello spirito cittadino e specchio di libertà, perché, come dichiara l’autore fin dall’inizio, « La vivacità de’ motti e la prontezza delle facetie hanno aperto la più fina loro scuola nella bocca de’ Genovesi, i quali avvezzi a far per tutto l’anno l’un dell’altro vicendevole la notomia fanno dolci i morsi loro, mentre li salano ».[19] Genova si affacciava così prepotentemente alla scena letteraria nazionale, mantenendo un occhio a Venezia e l’altro a Bologna, con un lancio di capitale del divertimento che le sarebbe stata poi strappata sulla piazza veneziana dal melodramma impresariale. Fu, come già si sa, una proposta culturale effimera ma non più effimera o meno significativa del programma repubblichista. Erano entrambe ognuna a suo modo proposte forti, di protagonismo politico e culturale, che cercavano realisticamente di ritagliarsi uno spazio nel gioco delle alleanze. Forse entrambe si fondavano più sugli uomini che sulle istituzioni e non ressero al venir meno delle personalità che le avevano lanciate e alle inevitabili contraddizioni del sistema. Le congiunture furono brevemente favorevoli, poi la serie s’invertì nuovamente senza che le novità avessero modificato lo zoccolo duro di una struttura scarsamente favorevole al formarsi di una tradizione culturale saldamente ancorata alla base locale della Repubblica.




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[1] Su cui vd. Andrea Battistini, La cultura del Barocco, in Storia della letteratura italiana, cit., pp. 494-95.

[2] Francesco Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di Silvana Seidel Menchi, Torino, Einaudi,1971, vol. II, p. 654. E vd. anche quanto riporta Carlo Bitossi, Il governo dei Magnifici, cit., pp. 31-32.

[3] Carlo Bitossi, Città, Repubblica e nobiltà nella cultura politica genovese fra Cinque e Seicento, in La letteratura ligure, cit., vol. I, pp. 20-21. Ma il nesso fra instabilità dell’ingegno e l’instabilità del clima era stato utilizzato dal Tasso per interpretare le vicende francesi, vd. Janine Basso, Genèse et contestation du mythe de Paris chez quelques voyageurs italiens du XVII siècle, in La ville dans la littérature italienne moderne. Mythe et réalité, Université de Lille, Édition Universitaires, 1974, p. 15.

[4] Ivi, p. 21.

[5] Juan Huarte de San Juan, Examen de ingenios para la ciencia, 1575, ed. it. Esame degli ingegni, a cura di Raffaele Riccio, Bologna, CLUEB, 1993; ma la stessa preoccupazione di legare ai climi l’ingegno si trova anche in Giovanni Imperiale, Musaeum physicum sive de humano ingenio, Venetiis, apud Iunctae, 1640 (dove in ragione del clima i Genovesi sono definiti « callidissimi , quasi come i Veneti: un evidente parallelismo che si trasferisce evidentemente anche alla vita politica). Sull’influsso di Huarte nella formazione dell’immagine topica delle nazioni vd. Louis Van Delft, L’“Anatomie morale” en Espagne et en France, in L’âge d’or de l’influence espagnole, cit., pp. 444-45.

[6] Su Vincenzo Gramigna e il dibattito secentesco fra antichi e moderni vd. Filippo Salvatore, Antichi e Moderni in Italia nel Seicento. In appendice “Paragone tra il valore degli Antichi e dei Moderni” di Vincenzo Gramigna, Montreal, Edizioni Guernica, 1987.

[7] Vincenzo Gramigna, Dell’instabilità, in Opuscoli, in Firenze, appresso Pietro Cecconcelli alle Stelle medicee, 1620, pp. 175-89.

[8] Alessandro Tassoni, Varietà di pensieri d’Alessandro Tassoni divisi in IX parti, nelle quali per via di quisiti con nuovi fondamenti e ragioni si trattano le più curiose materie naturali, morali, civili, poetiche, istoriche, e d’altre facoltà, che soglion venire in discorso fra cavalieri, e professori di lettere, in Modona, appresso gli Eredi di Gio. Maria Verdi, 1612, p. 260.

[9] Agostino Mascardi, Discorsi morali di A.M. su la tavola di Cebete tebano, in Venetia, ad instanza di Girolamo Pelagallo, appresso Antonio Pinelli, 1627, p. 60. La nozione di ingegno nel Mascardi meriterebbe comunque un esame attento che qui non è possibile neppure avviare.

[10] Ma già a Carlo Emanuele I il Mascardi aveva dedicato nel 1624 Le Pompe del Campidoglio per la Santità di N.S. Urbano VIII quando pigliò il possesso, in Roma, appresso l’Erede di Bartolomeo Zannetti, 1624 (su cui vd. Eraldo Bellini, Roma 1623: letteratura e vita civile, in Id., Umanisti e Lincei. Letteratura e scienza a Roma nell’età di Galileo, Padova, Antenore, 1997, pp. 85-93.

[11] Sul ruolo del Mascardi all’interno dell’Accademia dei Desiosi e sulla sua convergenza ideologica con il cardinal Maurizio di Savoia, vd. ora Eraldo Bellini, Agostino Mascardi tra accademia e nuova scienza, in Id., Umanisti e Lincei, cit., pp. 169-243. Penso che questi mutamenti politici abbiano non solo influito sull’altalenante giudizio che il Mascardi diede della corte e dell’accademia come istituzioni socializzanti, ma anche sulla fama postuma che lo definì « un Proteo delle humane azioni », vd. Lorenzo Crasso, Elogii d’homini letterati scritti da L.C., in Venetia, per Combi & La Noù, 1666, vol. I, pp. 252-57.

[12] Per una aggiornata considerazione dell’accademia, vd. Laura Alemanno, L’accademia degli Umoristi, in Il gran teatro del mondo, cit., pp. 97-120; e, soprattutto per il problema degli schieramenti interni, Piera Russo, L’Accademia degli Umoristi, in “Esperienze letterarie”, a. IV, n. 4, ottobre-dicembre 1979, pp. 47-71.

[13] Vd. Graziano Ruffini, Sotto il segno del Pavone, cit., p. 355. Dagli Annuvolati fu recitata a Genova la commedia del Brignole Sale I due anelli simili: fra gli attori, con rilevante circolarità fra produzione e consumo dei testi, furono Agostino Pinelli e Francesco Maria de’ Marini, autore a sua volta del Fazzoletto. Vd. Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, vol. III, t. 2, in Milano, nelle stampe di Francesco Agnelli, 1744, p. 354.

[14] Le antiche memorie del nulla, introduzione e cura di Carlo Ossola, versioni e note di Linda Bisello, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. XIX-XXI (vi si riproduce anche Il niente. Discorso accademico di Luigi Manzini, pronunciato agli Incogniti e pubblicato a Venezia nel 1634, dove si trova un’altra parole chiave del gruppo “modernista”: l’ingegno « libidinoso »).

[15] Congratulatione fatta a’serenissimi Collegi della Serenissima repubblica di Genova pe ‘l nuovo armamento delle galee da un cittadino zelante habitante in Napoli, in Genova, per Pier Giovanni Calenzani, 1642, p. 9-10 [vd. Maria Maira Niri, La tipografia a Genova e in Liguria, cit., scheda 462]. Sull’operetta del Brignole come manifesto politico dei giovani rimando a Claudio Costantini, La ricerca di un’identità repubblicana nella Genova del primo seicento, in Dibattito politico e problemi di governo a Genova, cit., pp. 58-66; Idem, La Repubblica di Genova nell’età moderna, cit., pp. 283-86.

[16] Congratulatione fatta a’serenissimi Collegi, cit., pp. 24-25.

[17] Ivi, pp. 44-45.

[18] L’unico altro esempio di elogio ai collegi di cui sono a conoscenza è quello di Domenico Carrega, Corona per li serenissimi Collegi della Serenissima Repubblica di Genova, l’anno 1621, in Genova, per Giuseppe Pavoni, 1623.

[19] Anton Giulio Brignole Sale, Il Carnovale, cit., p. 5.




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Anton Giulio Brignole Sale.
Un ritratto letterario

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