Giannettino Giustiniani, 1a, 1b, 1c, 1d, 1e, 1f, 1g, 1h, 1i, 1j, 1k, 1l, 1m

Al servizio della Francia





Intorno alla metà degli anni Venti, quando Giannettino fece ritorno in patria, le relazioni diplomatiche fra la Francia e la Repubblica di Genova si stavano intensificando: nel 1629 il governo di Genova accolse con favore la presenza in città di un diplomatico francese, Sabran, che aveva l’incarico di seguire gli affari della Corona, più o meno con le competenze di un residente, anche se il titolo e le prerogative non gli vennero mai riconosciute dal governo della Repubblica, tradizionalmente impegnato a non accogliere rappresentanti permanenti di Principi all’infuori dell’ambasciatore di Spagna.[1]
Il governo francese era interessato ad avere a Genova – centro nevralgico per gli affari d’Italia – un corrispondente fidato ed è probabile che Giannettino figurasse, allora, fra i possibili candidati. Secondo Raffaele Della Torre, ad accogliere Giannettino al servizio di Francia sarebbe stato lo stesso Richelieu,

« memore sopra d’ogni altro de graziosi accoglimenti ricevuti dal cardinale Giustiniano in Roma, fatto vescovo di Lusson, in casa di cui preso haveva conoscenza di Gioannettino. Aggradì Richieleu gli ufficii, e con essi l’offerta fattale poi d’impiegarsi giusta il suo potere nel servizio reale, e vidde volontieri di havere in Genova la corrispondenza di persona amorevole e confidente, della quale in gran pregiudizio degli affari del Re in Italia rimanea senza quella Corona doppo la perfidia di Claudio Marini, e per questa guisa lo introdusse nel ministerio della corte di Francia. In questo conosciutolo attento, sollecito, affettionatissimo, lo andava alla giornata sempre più interessando nel negozio con indizii assai manifesti di doverlo presto inalzare a fortune maggiori. Indizii che dir non si potean fallaci, bensì scherniti con la morte di Richieleu, che sempre solamente è constante in non serbar fede alle promesse. Questa morte rinovellò in Gioanettino la perdita del zio, anzi la esacerbò maggiormente, come quello che nella vita del cardinale di Richieleu potea parerli d’essersi ricoverato dalla morte del Padre Benedetto. Non si abbandona perciò, ma si appiglia al successore nella potenza appresso del Re tanto propria di Richieleu, che potè lasciarne herede per testamento ».[2]

C’è qualche motivo per dubitare dell’esattezza di questa testimonianza: quando Richelieu venne a Roma Giannettino aveva appena undici anni, ed è difficile immaginare che a distanza di vent’anni il cardinale, pur nutrendo sentimenti di amicizia per il vecchio cardinale Giustiniani, potesse interessarsi di quel ragazzo. Né, per quanto ne so, ci sono segni di uno speciale apprezzamento alla Corte di Parigi per l’opera di Giannettino, e meno ancora della volontà di garantirgli quelle « fortune maggiori » a cui, secondo Della Torre, lo avrebbe destinato Richelieu. In ogni caso fu solo nel settembre del ‘40 che Giannettino Giustiniani riuscì a recarsi a Parigi. Vi si trattenne fino al febbraio dell’anno successivo, ospitato nel palazzo del maresciallo di Schomberg:[3] questo soggiorno parigino costituì l’evento capitale della vita di Giannettino, segnando il suo arruolamento ufficiale al servizio della Francia. Giannettino ottenne dal governo francese una pensione di duemila franchi, circa mille scudi, e – a detta di Michele Giustiniani – il titolo di consigliere del Re. Ma la pensione, come vedremo, gli sarebbe stata corrisposta molto irregolarmente e, quanto al titolo, solo nel 1646 gli sarebbe stato formalmente confermato.[4]
Un esito insomma non esaltante e sicuramente inferiore alle attese di Giannettino.[5] Tanto più deludente, visto a posteriori, in quanto questo fu il solo soggiorno parigino che sia stato consentito a Giannettino: né Mazzarino né altri, nonostante le sue insistenti richieste, gli permisero mai di tornare a Corte, nel che sicuramente si manifestava la volontà di non elevarlo dal modesto ruolo che gli era stato fin dall’inizio assegnato.
Durante la sua permanenza a Parigi Giannettino ebbe modo di rendere a Mazzarino, che per altro conosceva « sin da quei tempi che [...] era conosciuto da pochi »,[6] e cioè fin da quando entrambi frequentavano gli ambienti del Collegio Romano e della Curia, un utile servizio. Nel tentativo di risvegliare la riconoscenza del ministro, Giannettino tornò almeno in due occasioni, entrambe drammatiche – minacciava infatti di lasciare il servizio della Francia – a ricordare l’episodio:

« perchè dal 40, quando vi fui all’hora che Vostra Eminenza, non per anche cardinale, fu rispedita in Piemonte per confermarvi i principi di Savoia nell’aggiustamento da lei accordato, che per una lettera ricacciata dal signor abbate Paolo Fieschi dalla secreteria del Re alla santa memoria di Urbano Ottavo, contenente che quando la Santità Sua l’havesse creato cardinale la maestà del Re non solo l’haverebbe veduto volontieri, ma ne gli haverebbe conservata obligatione, sussitò negli animi de parenti et amici di Vostra Eminenza qualche timore che detta lettera pottesse pregiudicare alla sua nomina per li susurri che ne uscirno dalli gabinetti e pontificio e del cardinale Barberini. Fu spedito precipitosamente a Parigi al signor cardinale Santa Cecilia, all’hora frate semplice domenicano, che quivi si tratteneva per affari del signor cardinale Antonio, acciò che procurasse di riparare a tanta rovina. Non seppe il bon padre riccorrere ad altri che a me, conscio della stima che me ne veniva fatta, e confidatomi l’affare, salii subito in carrozza, fui a Roel, stetti più di un’hora sopra questa prattica con il signor cardinale di Richelieu, il quale gradì infinitamente l’uffitio, lodando il mio zelo per l’interesse dell’amico, mi parlò della finezza del signor Fieschi, aggiongendomi che gli haveva ingannati, e che non era mai stata intentione né del Re, né sua, di pregiudicare alla nomina di Vostra Eminenza, ch’egli non ci lasciava mai i suoi amici, ch’haverebbe subito spedito a Roma (come fece l’istesso giorno) e che assicurassi li parenti di Vostra Eminenza di stare di buon animo, e che lo scrivessi a lei stessa ancora, come feci, conservandone le sue lettere di ringraziamento ».[7]

Non so quanta importanza attribuisse al fatto Mazzarino, ma in ogni caso, morto Richelieu, il cardinale continuò ad impiegare Giannettino al servizio suo e della Francia ed anzi intrattenne con lui una corrispondenza più intensa e regolare di prima. Quando poi, nel maggio del 1644, Raoul d’Amontot, che dal 1642 era residente francese a Genova, fu richiamato in Francia, a Giannettino toccò ragguagliare il governo francese su tutto quanto avveniva nella Repubblica ed egli finì per seguire anche una serie di pratiche che, finchè il residente era rimasto a Genova, erano state di sua competenza, come la richiesta di passo per le truppe o di concessione di galere per alte personalità di passaggio in Genova da o per la Francia. Tenne, insommma, per il governo di Parigi contatti informali con quello della Repubblica.[8]
In questo ruolo di supplenza dei rappresentanti ufficiali il credito personale, e cioè il sistema dei titoli e delle cariche, era fondamentale e Giannettino, nel tentativo di costruirsi un’immagine adeguata al ruolo che cominciava a svolgere e che sperava si sarebbe potenziato in futuro, non mancò di aiutarsi con qualche espediente, come quello di farsi chiamare « marchese » senza esserlo e di vantare uffici che non aveva: « né Vostra Eminenza si rida del tittolo di marchese che mi vien dato », raccomandava a Mazzarino nell’ottobre 1644, « essendo che gli è un honore che ricevo dalla natione francese fatto a qualche altro nostro gentilhuomo genovese senza marchesato, che forse un giorno, servendo a Vostra Eminenza, meriterò da dovero ».[9]




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[1] Oltre alla presenza di Sabran, residente di fatto se non di diritto, nel 1633, venne istituito a Genova un consolato francese. Sull’argomento vedi Ferretti.

[2] Della Torre, p. 1318. Richelieu andò a Roma una sola volta, nell’autunno del 1606, e vi si fermò circa sei mesi, fino al 17 aprile 1607 quando venne consacrato Vescovo; il cardinale Benedetto Giustiniani lasciò Roma per la legazione di Bologna nel novembre 1606, e quindi l’incontro fra Giannettino e Richelieu – se davvero vi fu – deve essere avvenuto per forza nei primi tempi del soggiorno romano di Richelieu.

[3] AAE, CP, Gênes 3, cc. 23-24, Giannettino a Chavigny, Parigi, 9 settembre 1640: Giannettino chiedeva di essere presentato a Richelieu, anche se per il momento era indisposto per una storta alla caviglia ed era costretto a differire l’incontro. Cfr. le lettere di Giannettino a Mazzarino nelle quali viene ricordato il soggiorno francese: AAE, CP, Gênes 10, cc. 140-143, 3 maggio 1658 e cc. 378-379, 15 novembre 1660. In ASC, ms 049, doc. n. 166, passaporto dell’Arcivescovo di Bordeaux per il rientro di Giannettino Giustiniani a Genova, febbraio 1641.

[4] Giustiniani, p. 288. Nel marzo del 1646, Giannettino ringraziava Mazzarino per il titolo: « Ho ricevuto con l’ultimo ordinario l’honore che Sua Maestà si è compiacciuta di farmi delle lettere di suo consigliere di Stato, ma dirrò meglio, ho ricevuto un novo pegno (sopra infiniti de quali le sarrò eternamente debitore) del benigno affetto, dell’efficace prottetione di Vostra Eminenza, dalla cui sola generosa mano mi vengono tutti gli honori, tutte le gratie, tutti li beneficii. Padrone eminentissimo, non ho termini per ringratiarla che mi sodisfino, ma se l’animo sapesse esprimere quanto se gli sente tenuto, ben mi prometto che si affettionerebbe sempre più alla mia divotione, et che confesserebbe non havere né più grato, né più fedele servitore di me, come a tutte le prove, niuna eccettuata, rittroverà; la supplico bensì di condonarmi una leggerezza, et è che essendomi state inviate le suddette lettere senza d’havere posto il gran sigillo dentro una scatoletta di lama, si è strittolato in minutissimi pezzi che non se ne riconosce impronta, e lasciandosi sì fatte memorie ai figli, desidero d’haverlo sano da pottersi conservare, perciò la supplico d’ordinare al signor di Lione che me ne invii un duplicato che non si possi guastare » (AAE, CP, Gênes 5, cc. 49-52, 27 marzo 1646).

[5] « Quando ellessi di servire alla Francia », scriveva a Mazzarino del gennaio del ‘47, « mi proposi di potter meritare che Sua Maestà mi facesse principe ricco, come il Re Cattolico haveva fatti tant’altri nella mia patria » (AAE, CP, Gênes 6, cc. 189-192, 20 gennaio 1647).

[6] Della Torre, p. 1318. In questo caso le indicazioni di Giannettino, che del resto, scrivendo a Mazzarino, non poteva allontanarsi troppo dal vero, sono molto coerenti, e portano tutte agli anni fra il 1610 ed il 1615. Cfr. AAE, CP, Gênes 3, c. 90, 7 Gennaio 1642; AAE, CP, Gênes 4, cc. 127-130, 13 giugno 1644; AAE, CP, Gênes 5, cc. 522-523, Giannettino a Servien, 17 maggio 1648; AAE, CP, Gênes 6, cc. 252-266 bis, 29 aprile 1647 e cc. 532-535, 5 marzo 1648.

[7] AAE, CP, Gênes 10, cc. 140-143, 3 maggio 1558. Vedi anche cc. 378-379, 15 novembre 1660.

[8] Tra le pratiche di cui Giannettino ebbe ad occuparsi vi fu, nel febbraio del 1645, quella della liberazione del figlio del Duca di Tursi, Giannettino Doria, prigioniero dei francesi. Trattandosi di riscatto, Giannettino sperò di trarre qualche profitto dall’incarico, ma dopo i primi contatti con il duca, che pare si dicesse disgustato dai ministri spagnoli, dovette accorgersi di avere « un pessimo negotio alle mani ». Il duca di Tursi, « fallito ed indebitato » non poteva permettersi di pagare il riscatto richiesto e, aggiungeva Giannettino, « ogni giorno pottrà pagare meno, perchè migliaia di creditori lo stringono ». « Fuori di modo consumato, cadente e vecchio » il Duca voleva riavere il figlio subito, ma poteva solo promettere di versare la somma in futuro (AAE, CP, Gênes 4, cc. 288-293, 4 aprile 1645). Alla fine Giannettino Doria venne liberato dietro versamento di 12 mila pezzi da otto reali, dei quali Giannettino sperò di potersi trattenere una parte a sconto delle sue pensioni arretrate, ma dovette rinunciarvi a beneficio di altri agenti di Mazzarino, Elpidio Benedetti a Roma e Benedetto Cittadini a Milano. Nell’aprile del 1645, Giannettino si occupò, sempre nella speranza di guadagnarci qualcosa, del caso della nave San Cristoforo: la nave, spagnola, era partita da Venezia carica di merci ed era stata catturata fra Napoli e la Sicilia da un vascello francese che l’aveva avviata verso le coste di Francia. Durante il tragitto la nave era naufragata sulle coste di Bonifacio con il suo ingente bottino. Alla Repubblica di Genova si pose la questione della restituzione della merce recuperata: andava restituita ai primi proprietari, gli Spagnoli, o ai Francesi, che l’avevano presa – legittimamente – come bottino di guerra? Il Giustiniani si offrì di affiancare il segretario dell’ambasciata, Dumesnil, rimasto a Genova dopo la partenza del signor d’Amontot e incaricato degli affari correnti, a patto che, in caso di esito favorevole, gli fosse riconosciuta la metà del bottino recuperato. Riuscì a concludere l’affare nell’agosto dello stesso anno, « con l’aggiuto efficacissimo del Doge Serenissimo mio cugino, et con la promessa d’un buon premio alli sindaci della Republica » (AAE, CP, Gênes 4, cc. 417-420, 21 agosto 1645). Ma anche da questo affare trasse scarso beneficio, perchè Mazzarino gli ordinò di consegnare la somma recuperata all’abate Bentivoglio, incaricato di portarsi in Toscana per indurre il Granduca a mantenere, nell’imminente impresa dei Presidi, una stretta neutralità. Cfr. Ricci, p. 30, 20 aprile 1646. Giannettino scrisse in quell’occasione: « Confesso però che non attendevo per hora questo colpo d’havere a sborsare una partita sì rilevante doppo tante fatiche fatte nel benedetto negotio della nave San Cristoffaro, del denaro della quale, essendo stata ultimamente presa da Turchi la Polacca che da Bonifatio conduceva li canoni, ancore et altri ferramenti computati nelle 32mila lire, a Genova mi è convenuto di pagare al signor Pier Maria Gentile di quel ch’era in essere le ottomila cinquecento lire accordate et dichiarate dal Senato Serenissimo doversegli anche in maggior somma, non essendosi rittrovato a fare le sicortà solamente che per trecento scudi, sì che dovendo pagare mille doppie al signor Abbate Bentivoglio non mi resterà pure un soldo del denaro di detta nave, e pure Vostra Eminenza sa la parte che me ne tocca di giustitia per la notitia che ne ho dato, et per quanto vi ho travagliato, essendo che senza di me non se ne ritraheva un denaro, et molto di più poi per quello che me ne ha prommesso la benignità di Vostra Eminenza, per onde speravo almeno con il computo delle mie pensioni dell’anno 1645, delle quali gli haverei inviato il bianco, et che ben sa Vostra Eminenza quando non mi siino pagate puntalmente non potter io sussistere, non dovere più haver a sborsare un soldo. Ma facendo il detto pagamento, non solo resterò creditore delle mie pensioni, et di quella portione che le parrà farmi dare del riccacciato dalla nave S.Cristoffaro, ma di più di 200 scudi d’oro che mi è convenuto spendere per il servitio di Sua Maestà et di Vostra Eminenza da che il signor principe Tomasso si è portato nelle Langhe » (AAE, CP, Gênes 5, cc. 86-90, 8 maggio 1646).

[9] AAE, CP, Gênes 4, cc. 182-184, 25 ottobre 1644. Analoga la questione del titolo di consigliere del Re. « Qui non lascerò di dire a Vostra Eminenza » scriveva a Mazzarino nell’aprile del 1645, « che honorandomi il Re deffunto, di sempre gloriosa et non mai moritura memoria, per lettera del signor Boutillier di scrivere alla nostra Republica nominando la mia persona per tre volte, l’ha sempre fatto del seguente tenore: “Il signor Giannetino Giustiniani, da noi amato gentilhuomo della nostra camera reale, et conseliero de nostri consegli di Stato”. Ho ricordato ciò perchè quando Vostra Eminenza approvasse quanto per zelo del reggio servitio ho forse troppo arditamente scritto, sappia con l’essempio come continuare ad obligarmi, e fare che qui continui l’estimatione verso li servi di Sua Maestà » (AAE, CP, Gênes 4, cc. 304-311, 15 aprile 1645. Non ho trovato le lettere del Re di cui parla Giannettino, ed è possibilissimo che non siano mai esistite).




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Barbara Marinelli

Un corrispondente genovese di Mazzarino


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Indice
Abbreviazioni
Criteri di edizione
Indice dei nomi
Opere citate
Genealogia


Giannettino Giustiniani
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1j 1k 1l 1m

APPENDICI

2. Il Ristretto

3 Le lettere
3a. Introduzione
3b. 1647-1654
3c. 1655-1656
3d. 1657-1660


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