Giannettino Giustiniani, 1a, 1b, 1c, 1d, 1e, 1f, 1g, 1h, 1i, 1j, 1k, 1l, 1m

Il 1654





Da tempo una parte consistente della classe dirigente genovese aveva cercato di emancipare la Repubblica dall’opprimente egemonia della Spagna. Più recente era stata la tentazione, suggerita da Mazzarino, di un avvicinamento alla Francia. Nella primavera del 1654 questo prudentissimo movimento di avvicinamento ebbe un’accelerazione improvvisa come reazione alla confisca da parte degli Spagnoli dei beni dei genovesi nei domini italiani. Una parte della nobiltà genovese, risentita contro gli Spagnoli, mostrò di voler appoggiare il Re di Francia nel caso avesse voluto sottrarre il territorio di Finale alla Spagna per venderlo alla Repubblica: qualcuno si recò da Giannettino chiedendogli di informare la Corte della possibilità di trovare in Genova il denaro necessario all’impresa, e a Giannettino sembrò che la congiuntura fosse favorevole. [1] Giannettino, riprendendo temi della propaganda repubblichista, commentava in questi termini con il cardinale d’Este lo stato d’animo dei Genovesi:

« parmi di potterle dire che resteranno ben ingannati li signori spagnoli, se invece di deprimere questa Serenissima Republica com’hanno creduto, spogliando ingiustamente de suoi beni li sudditi di essa, proveranno d’haverla sublimata e glorificata; il prudente dissimulare della Republica in tante occasioni gli ha fatto concepire vanamente che gl’interessi privati fossero per regolare li publici, quando che ne dovessero suscitare qualche intestina divisione, ma conosceranno che trattandosi della massima principale vanno errati tutti i loro supposti; vuole la Republica, a salvamento della libertà, dissimulare e sofferire per il privato beneficio de suoi cittadini e sudditi, ma questi vicendevolmente sprezzando tutti gl’interessi d’ogni maggior havere sono anche pronti di consacrare le proprie vite per la diffesa e conservatione di essa, come è stato autenticato con tutti li voti, dell’uno e dell’altro conseglio, nella discussione delle presenti novità... ».[2]

La Repubblica pareva per la prima volta davvero propensa a secondare la Francia. Mazzarino cercò di battere il ferro finché era caldo, invitando il governo di Genova a promuovere risolutamente e tempestivamente i propri interessi, ormai palesemente divergenti da quelli della Spagna, non senza appellarsi al tradizionale argomento del conflitto pubblico-privato, da risolvere una buona volta, nel più puro stile repubblichista, a favore del primo.

« La lettera di Vostra Signoria de 10 del corrente continua a raguagliarmi dello stato della Republica, e delle resolutioni che va prendendo; quelle del Re non potevano essere più favorevoli a suoi interessi, e se vorrà servirsi della Francia, vedrà ben presto forze considerabili nel mare Mediterraneo. Dovrebbero cotesti Signori pensare a cose grandi nelle quali questa Corona concorrerebbe volontieri a suo benefitio, e come tutti i Prencipati si conservano e s’accrescono per quelle medesime strade con le quali si sono acquistati, dovrebbero ricordarsi che la loro grandezza è proceduta dalla navigatione, et è stata molto maggiore quando erano forti in mare. Il denaro de Spagnoli ha accresciute le ricchezze di alcuni particolari, ma ha diminuito il credito e le forze del Publico, et hormai di poco profitto riesce a gl’uni, et di gran danno all’altro, onde dovrebbe stabilire un negotio libero, et indipendente, e risolversi di perdere piuttosto una volta per sempre quei nobili che non possono separarsi dagl’interessi di Spagna, che restar sempre in pericolo che questi faccino perire un giorno la Republica ». [3]

La Francia, assicurava Mazzarino, avrebbe concesso alla Repubblica la sua protezione senza pretendere in cambio né che rinunciasse alla sua neutralità né che rompesse apertamente con la Spagna. Sarebbe stata sufficiente un’equa ripartizione tra le due Corone dei servizi finanziari genovesi.

« Qua si aspetta di sentire che resolutione havrà presa doppo ricevuta la lettera di Sua Maestà, e si andarà con molta circonspettione per non farli credere che si voglia per nostro interesse impegnarla in una guerra con i Spagnoli. Il vero modo però di farlo senza rompere apertamente con loro sarebbe di somministrare danaro alla nostra armata, che s’impiegarebbe a sodisfattione, e vantaggio della Republica ».[4]

Nonostante tutto, questa propensione a sganciarsi dalla Spagna e a stabilire una reale collaborazione con la Francia tardava a manifestarsi in atti concreti, e Mazzarino alzava le offerte:

« Il Re », scriveva a Giannettino nel settembre, « havrà sempre caro i progressi delle sue armi avanzino gl’interessi della Republica, ma è ben pericoloso per lei il perdere il tempo e la congiuntura di mettersi una volta per sempre in sicuro, e di ben stabilire il suo dominio, e la sua independenza. Io non voglio affaticarmi in persuaderle questa resolutione, perchè i miei consigli potrebbero talvolta parere tanto più sospetti e interessati quanto più efficaci e pressanti, ma mi contento che parlino da sé medesimi i vantaggi, che con certezza indubitabile può cavare dall’unione con questa Corona: l’ampliare i suoi Stati è più che sicuro, e gl’acquisti sono infallibili, ma quello che più importa, e che può mettere la Republica fuor d’ogni rischio e pericolo, è che non si farebbe mai la pace, che tanto essa come tutti li sudditi suoi non restassero reintegrati e sodisfatti di tutti i loro crediti, e di quanto possiedono nelli Stati del Re di Spagna ».[5]

Nell’ottobre dello stesso anno venne eletto Doge Alessandro Spinola, « amatore della libertà », lo definiva Giannettino, « stato sempre contrario alli Spagnoli (se hora non le diviene amico, ma non lo credo) ».

« Niuno » , aggiungeva con una buona dose della consueta millanteria, « ha cooperato quanto che me alla sua elletione, e vi è stato necessario ogni sforzo, perchè il signor Pier Maria Gentile portato da Spagnoli haveva di già havuto 175 voti favorevoli, quando li Dogi precedenti sono stati elletti con pochi più voti di 150. Scoperti in appo quelli del suddetto signor Alessandro, si rittrovarono 196: ne spero un ottimo governo e vive resolutioni ».[6]

Genova ambiva da tempo alle onoranze regie. Giannettino aveva avuto occasione di scriverne con Mazzarino come di un possibile, potente, elemento di pressione sul governo:[7]

« Le honoranze regie ottenute in questa Corte dal signor duca di Savoia », faceva però notare Mazzarino, « sono state concedute a Sua Altezza a titolo molto oneroso di tant’oro e sangue speso da quel Prencipe per conservare una religiosa lega con questa Corona, e per mantenere la guerra contro un inimico commune, e sarebbe hora rendere disprezzabile e di nessuna stima l’honore et la prerogativa data a Sua Altezza se la Republica di Genova l’acquistase senza prendere parte alcuna negl’interessi della Francia. Questi sono honori inestimabili, e che non hanno prezzo, se non quello che il signor duca di Savoia medesimo gl’ha posto, né vedo che la Republica possa acquistarlo che a questo conto, et io potrei assicurarla che se vorrà venire a questa risolutione ritrovarà nell’augumento della dignità anche quello del dominio e delli Stati, e dove gl’altri Prencipi si sono consumati per tanti anni nelle guerre, essa ne ricoglierà tutto il frutto et l’avantaggio ».[8]

In questa congiuntura, mentre dalla Repubblica veniva inviato in Francia Lazzaro Spinola ad affiancare il residente Gio Batta Pallavicino, a Mazzarino parve opportuno mandare a Genova un rappresentante ufficiale della Francia, il che significava superare l’ambigua situazione che si era trascinata sino a quel momento con la mediazione informale di Giannettino. Dell’avvicinamento di Genova alla Francia un po’ di merito andava senz’altro a Giannettino che però tendeva ad attribuirselo per intero e tollerava a fatica intromissioni altrui.

« Di questo merito sì alto appresso della Francia », scriveva l’11 novembre Giannettino, « so che ne viene attribuito la causa più efficace all’indefessa mia applicatione, sempre vigilantissima al servitio del Re nostro Signore, confessando però anchora d’havervi havuto per fine la conservatione della libertà della mia Republica, con la quale non sono atte tutte le maniere di negotiare, ma vi sono necessarie certe peculiari, note solamente a chi ha una proffonda cognitione delle sue piaghe et imperfettioni: io non ho mai sperato di ridurla a quanto Vostra Eminenza (et io seco) desidera come di presente [...]. Hora mi resta solamente di respondere al punto più principale della lettera di Vostra Eminenza, che è d’inviare un ministro reggio in questa città che sia naturale francese, e riconosciuto publicamente dalla Republica perché è stata avertita che il servitio di Sua Maestà patisce: a questo sono constretto di dire che l’avertimento non può essere proceduto che da persona imperita delle cose della Republica, o maligna, perchè il Re (sii detto a gloria di Dio e con quella riverenza che devo) non solo non è mai stato meglio servito che da me, ma non lo pottrà essere da chi chi sia per l’avenire, come lo autenticheranno gli effetti, e per lo passato li signori Sabran e Amontot non haverebbero saputo reggervisi se non gli fossi stato balia. Con tutto ciò non solo approvo il pensiero, ma ne la prego, essendo macerato assai dalle fatiche: a me servirà d’alleviamento, et non lascerò di servire il Re, Vostra Eminenza e lui come ho fatto sin’hora. Supplico bensì genuflesso Vostra Eminenza non voler permettere che arrivi in Genova ministro per il Re che prima non sii o sodisfatto o gratificato come meglio le parrà, mentre sono undeci anni che ho servito, come è noto a tutto il mondo, che non ho mai ricevuto un soldo, e che mi trovo rovinato, spiantato, con grave peso di famiglia. La mia constanza nel servire è stata riputata virtuosissima sin’hora, perchè veniva nutrita dalla speranza delle gratificazioni mentre ero trattenuto nel ministero, ma venendo altro ministro, che non fossi stato inanzi gratificato, con il danno, troppo resterebbe lesa e pregiudicata la mia riputatione ».[9]

Che Giannettino avesse saputo conciliare il servizio della Francia con il suo patriottismo era vero solo entro certi limiti. Ho già detto a proposito dell’ambasceria di Gio Battista Pallavicini come la preoccupazione di essere l’unico o il più importante tramite tra Genova e la Francia prevalesse in lui su qualsiasi sentimento di lealtà verso la patria. La cosa si ripropose con le trattative per il riconoscimento alla Repubblica delle onoranze regie. Quando la Francia, per merito di Gio Batta Pallavicini e di Lazzaro Spinola, finalmente le concesse,[10] Giannettino non solo non se ne rallegrò, ma reagì con evidente fastidio:

« Quanto poi alle honoranze reggie », scriveva a Mazzarino nel gennaio del 1655, « tutto che meritate per giustitia da questa Serenissima Republica, Vostra Eminenza scrive da quel grand’oracolo che degnamente viene riverita da tutto il mondo, et io leggendo il medesimo capittolo della lettera di Vostra Eminenza confidentemente al Serenissimo Doge l’ho fatto convenire nello stesso sentimento, restando egli persuaso che non si possono arrivare che per mezzo dell’armi, del rendersi potenti, temuti, e per mezzo delle leghe. Al che tutto sarebbe pronto, ma le nostre leggi fanno che non basti, e bisognarebbe che conosciuta questa verità, Vostra Eminenza desse mano al partito della libertà et a quelli che vogliono l’ingrandimento della Republica. Nel resto l’insistenza seguita costì per havere tutti li trattamenti reggii è più stata un’affettata dimostratione di zelo del signor Pallavicini ressidente, per acquistare meriti con la Republica, che ordine preciso di questa, la quale però l’ha ordinato che li rappresenti la propria giustitia, ma non che s’insista ostinatamente nel punto ».[11]

L’atteggiamento di Giannettino non sfuggì a Gio Battista Pallavicini che naturalmente ne informò il suo governo. Nel novembre 1655 Giannettino fu severamente ripreso dai Serenissimi Collegi:

« Faccio queste righe separatamente a Vostra Eminenza per dargli parte qualmente cottesto signor ressidente Pallavicini, havendo o penetrato o saputo alcuna cosa delle scritte da me confidentemente a Vostra Eminenza, o al signor conte di Brienne, circa qualche difficoltà che s’incontrò nell’arrivo del signor Plessis Bisanzone (il quale mi convenne farlo rittornare da Pegli anche più in qua a Savona), per acquistare meriti maggiori con la Serenissima Republica, e con la fattione predominante, gli ha scritto ch’io facio de mali officii in cottesta corte, guastando quello ch’egli opera di bene, a segno che li Serenissimi Colleggi mi fecero chiamare, e dal primo secretario mi fecero fare una corretione, dicendo che havevano certezza de mali officii che facevo, et che si meravigliavano mi fossi scordato di essere figlio di questa Republica, et cose simili di gran mortificatione. Vostra Eminenza sa s’io ho mai fatto mali officii, ma devo dirle havere data la spinta a questa resolutione la fattione spagnola, la quale non può sofferire che la Francia habbi qui un cittadino che operi meglio a suo vantaggio che se vi havesse diece ministri naturali, e vorrebbe per ogni strada, o disgustandomi, o procurando di screditarmi, che mi retirassi dal servitio, et hora gli è riuscito, per amore della Francia, farmi ben mortificare [...] La mala volontà del ressidente, al quale sa pure Vostra Eminenza che non ho fatto mai alcun mal’officio, come haverei pottuto, e forse dovevo, massime quando Vostra Eminenza stette quei mesi fuori del Regno, che in pregiuditio del reggio servitio mi ha fatto un sì mal officio per pormi, contro la verità, in diffidenza et in aborrimento della Republica, la quale procederà secondo che mi verrà costì sostenuto, o no. Mi è convenuto scrivere a parte, perchè sono stato avertito che saranno intercettate le mie lettere, come quelle mi verranno di costì ».[12]

Giannettino, amareggiato dai rimproveri e dalle minacce del suo governo, ma ancor più dai compensi non concessigli dalla Francia, tornava a lamentarsi nel gennaio del 1656 con Mazzarino. Quel che contava era sempre meno la politica e sempre più i quattrini.




paragrafo precedente * paragrafo successivo * inizio pagina


[1] AAE, CP, Gênes 9, cc. 211-212, 12 maggio 1654. Sull’episodio cfr., tra gli altri, Accinelli, pp. 117-119.

[2] ASM, CA, Genova, b. 6, Giannettino a Rinaldo D’Este, 31 maggio 1654.

[3] Mazzarino a Giannettino Giustiniani, Rheims, 24 giugno 1654.

[4] Mazzarino a Giannettino Giustiniani, Sedan 1 luglio 1654. Cfr. Ricci, pp. 169-170, 17 giugno 1654.

[5] Ricci, pp. 172-174, 18 settembre 1654, la lettera originale, dalla quale trascrivo, è in ASC, ms 049, doc. n. 122. Nello stesso codice, doc. n. 114, è conservato un duplicato della stessa.

[6] AAE, CP, Gênes 9, cc. 264-265, 10 ottobre 1654.

[7] Per esempio il 27 maggio 1654 (AAE, CP, Gênes 9, cc. 217-220).

[8] AAE, MD, France 270, cc. 302-303, Mazzarino a Giannettino, Parigi, 22 settembre 1654. Di questa lettera Ricci pubblica l’estratto. Vedila in appendice.

[9] AAE, CP, Gênes 9, cc. 283-288, 11 novembre 1654.

[10] Le onoranze regie furono concesse alla Repubblica il 17 gennaio 1655. Lazzaro Spinola il 24 gennaio scriveva da Parigi al governo della Repubblica: « Domenica 17 di questo, secondo l’appuntamento che con l’ultima mia avvisai Vostra Signoria Serenissima m’haveva dato Sua Maestà, fui alla sua udienza nella quale per gratia di Dio furon fatte all’ambasciatore di Vostra Signoria Serenissima l’honoranze che i loro meriti è un pezzo che richiedevano [...]. Le congratulazioni che da molti di questi cavaglieri mi sono state fatte di havere a favore della Repubblica Serenissima ottenuto le regie honoranze, le quali ringratio Dio nostro Signore che si sii contentato di farle havere a Vostra Signoria Serenissima in tempo di questa mia missione » (ASG, AS, 2185).

[11] AAE, CP, Gênes 9, cc. 310-313, 27 gennaio 1655.

[12] AAE, CP, Gênes 9, cc. 459-460, 21 novembre 1655. La gelosia di Giannettino nei confronti di Gio Batta Pallavicini non venne mai meno. Così, in occasione di un’altra concessione fatta dalla Francia alla Repubblica, si preoccupava che il merito fosse attribuito a lui e non al residente: « Resta hora che Vostra Eminenza », scriveva ancora nel 1658 a Mazzarino, « come il più degno cittadino di questa Republica commandi al signor di Lieu che li corrieri riprendino il suo antico viaggio, et scriva a me d’haverlo dato, senza che cottesto signor ressidente Pallavicini si facci lui bello d’haverlo alcanzato, perchè il merito di tutti li vantaggi che Vostra Eminenza fa concedere alla Republica sono ascritti a lui, et non all’opera de miei officii, come si doverrebbe, per essere sì grande conosciuto servitore di Vostra Eminenza e ministro di Sua Maestà, per il quale honore li spagnolardi m’hanno sempre privato di tutti quelli della Republica » (AAE, CP, Gênes 10, cc. 90-92, 1 gennaio 1658).




paragrafo precedente * paragrafo successivo * inizio pagina



Barbara Marinelli

Un corrispondente genovese di Mazzarino


*
Indice
Abbreviazioni
Criteri di edizione
Indice dei nomi
Opere citate
Genealogia


Giannettino Giustiniani
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1j 1k 1l 1m

APPENDICI

2. Il Ristretto

3 Le lettere
3a. Introduzione
3b. 1647-1654
3c. 1655-1656
3d. 1657-1660


*

HOME

*

quaderni.net

 
amministratore
Claudio Costantini
*
tecnico di gestione
Roberto Boca
*
consulenti
Oscar Itzcovich
Caterina Pozzo

*
quaderni.net@quaderni.net