Giannettino Giustiniani, 1a, 1b, 1c, 1d, 1e, 1f, 1g, 1h, 1i, 1j, 1k, 1l, 1m

L’azione di Giannettino a Genova





Giannettino aveva un evidente e personale interesse a che tra Genova e la Francia si stabilissero più intense relazioni. Più intense, non significa necessariamente migliori. Il caso dell’ambasciatore Gio Battista Pallavicini sta a dimostrare come la principale preoccupazione di Giannettino fosse di restare, in qualsiasi circostanza, il solo o almeno il più importante tramite di quelle relazioni, e come per ottenere il suo intento non esitasse ad intralciare l’azione diplomatica della Repubblica. Giannettino era però sinceramente interessato – anche per ovvie preoccupazioni di incolumità personale – ad evitare da parte della Francia ogni comportamento che potesse compromettere presso i suoi concittadini l’immagine di quel governo o costituire motivo di risentimento.
L’attività dei corsari francesi nei mari della Liguria, diventata frenetica dalla metà degli anni Quaranta con gravissimi danni per la piazza genovese, era certamente, fra i molti possibili fattori di frizione, il più grave. [1]

« Sono constretto di rappresentare a Vostra Eminenza, con quella sommessione che devo, le querele generali delli popoli di queste nostre riviere, le quali arrivano a tal segno che si può temere di qualche disordine. Non possono più i loro piccoli vasselli trafficare che non restino preda delli brigantini, o tartane di corso francesi, Vostra Eminenza sa meglio di me che li sudditi di questo dominio non hanno altro capitale del traffico, essendo sempre così stato dal principio del Mondo, non li fruttando questi scogli alcuna cosa, et come li Spagnoli non prettendono in alcun modo che li vasselli genovesi non vadino in Francia, come tutto giorno ne sono pieni li porti della Provenza et della Linguadoca con utile rilevante di quelle provincie, così stimano di giustitia che non gli venga impedito il trafficare nelli paesi del Re di Spagna, ma la molestia che ricevono tutto giorno passa ben spesso la suddetta convenienza, perchè in questa settimana sono state prese, tra felluche e liuti, cinque vasselli, tre de quali venivano dallo Stato del Papa a Genova, et due da Genova andavano a Roma. Vostra Eminenza vede quanto questo è contro alle intentioni delle Maestà Loro, et della propria, quanto in pregiuditio della natione francese con il solo utile de furbi, li quali estorcono una patente di andare contro li nemici della Corona, e sotto di quella si fanno lecito predare a ciascuno, e questi non sono altro che briganti armati o a Fregius, o a San Trupé, o in luoghi simili, huomini di mal’affare che doverebbero relegarsi perpetuamente nelle galere senza lasciarli in libertà. Supplico Vostra Eminenza di condonarmi il tedio che le haverò recato, ma mi ci ha violentato e la giustitia della causa, e qualche preghiera publica, oltre che vi è anche andato per il mezzo del mio interesse, et di volere porgerci quel remedio che parrà alla sua somma prudenza ».[2]

E più tardi:

« Io temo che questo sì gran disordine produrrà de strani inconvenienti, essendo li popoli infuriati di non voler più soffrire sotto leggi d’amicitia d’essere tutto giorno spogliati delle loro poche sostanze, et a dire il vero, padrone eminentissimo, gli è una cosa dura, che non vi sia più palmo di terra di questo dominio che non pianga con lagrime di sangue li danni incredibili sofferiti dalli corsari della Francia, prottestando che non potrebbero mai essere stati sì gravi quando si avesse havuto guerra scoperta con la Corona. Sono disperati, e costringeranno la Republica a ciò che non vorrebbe ».[3]

In più di una circostanza i danneggiati dalla corsa francese cercarono di prendersela con Giannettino e la cosa non gli facilitava il compito di promuovere l’avvicinamento della Repubblica alla Francia.
Per Giannettino comunque il momento di massima impopolarità a Genova, forse il più brutto della sua carriera, arrivò con la scoperta della congiura di Gian Paolo Balbi.[4] Giannettino era venuto a sapere della vicenda da un non meglio identificato “gentiluomo”, forse mandato dallo stesso governo per sondare le sue reazioni:

« Un tale capitano Steffano Questa », gli aveva riferito il gentiluomo, « fratello di Gio Batta ha preso l’impunità dalla Republica per scuoprirle una congiura tramata dal signor cardinale Mazzarini contro questo stato, e tutto che io mi sii posto a ridere, inculcando quel gentilhuomo di replicarmi ch’era così, et che me lo avertiva perchè sapessi come governarmi. Le risposi ch’ero così certo dell’ottima volontà di Vostra Eminenza verso di questa Republica che mi sarrei posto vivo nelle fiamme per sostenere che non può mai essere proveduta da Vostra Eminenza alcuna minima propositione sopra di sì fatta prattica, et di più che mi sosterrei anche nel fuoco (sì grande è la certezza che ho dell’ottima volontà di Vostra Eminenza) che se alcuno malignamente le sarrà venuto a proporre qualche cosa contro questa Republica, che l’haverà rigettato, e per quello che riguardava la mia persona, ch’ero nato per far sempre bene alla mia Republica, e non mai male, et che li miei avanzamenti li procuravo per i mezzi dell’honore, servendo al primo monarca della christianità, et non per quelli dell’infamia. Poco appo mi ha soggiunto che anche il signor Gio Batta Questa haveva fatto richiedere per li signor Bartolomeo Balbi et Giacomo Durazzi l’impunità per sé, confermando che era per voler rivelare la medesima congiura, et che li due suddetti signori erano stati fatti arrestare dal senato, et rinchiudere nella gran torre. Le ho risposto il medesimo: ‘Stò a vedere che questi furbi di natura et infami di proffessione, intendo delli Questa, si siino inventati qualche diavoleria con speranza di ricacciare denari’ ».[5]

Il primo luglio Mazzarino rispose a Giannettino dando la propria versione dei fatti.[6] Nonostante le tranquillizzanti parole del cardinale, Giannettino continuò, per mesi, a dirsi preoccupato. Nel settembre scriveva:

« Tutto che non habbi alcun rimorso di conscienza, essendo sì incredibile in questo nostro paese l’odio contro chi serve la Francia, et senza comparatione contro di me, devo dar parte a Vostra Eminenza, come da un frate francescano vengo avisato, che il Gio Batta Questa viene a Genova doppo tanto tempo ad instigatione de spagnolardi, per deporre e manifestare qualche cosa contro di me, che perciò quando fossi arrestato et incarcerato, il che non credo possa seguire, senza che habbino evidenze di me chiarissime di delitto, per essere ministro di Sua Maestà, tuttavia, quando seguisse, saprà sempre Vostra Eminenza la causa anticipatamente del mio arresto ».[7]

Giannettino cominciò a pensare molto seriamente a trasferirsi in Francia, un po’, come sempre, per promuovere di persona a Corte i suoi interessi, ma un po’ anche per mettersi al sicuro. Anche a Parigi si parlava di una sua prossima visita: « Gioannettino Giustiniani », scriveva Gio Batta Pallavicino, « deve passare fra breve qui alla corte, attendendo solo che costì venghi Ranzan di Tevenò, il quale per falta di danari va dilatando ».[8] Ma Mazzarino non voleva Giannettino a Corte: « La prego a differir per qualche tempo questo viaggio »,[9] gli scriveva, ad esempio, nel novembre. Giannettino insisteva:

« Gli interessi miei non possono più essere trattati per lettere: il mio viaggio non sarrebbe che di 50 giorni nella stagione di minori faccende [...]. La presenza pottrà rittrovare de mezzi per sollevarmi, et aggiustare una volta le cose mie, che non si consentono dalla lontananza. Quanto ho detto è nulla per rappresentare l’estrema mia necessità: sono distrutto, affatto impegnato e rovinato, né solo con il venire costì o con ricevevere qualche buona parte prontamente del mio credito, è impossibile che possa più reggere: attenderò la risposta di questa, e secondo quella mi regolerò ».[10]

Ma la decisione di Mazzarino non cambiò.




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[1] Costantini 1970 e 1986, Grendi 1973.

[2] AAE, CP, Gênes 4, cc. 251-252, 3 gennaio 1645. Cenni all’attività corsara anche a cc. 288-293, 4 aprile; cc. 294-297, 8 aprile, cc. 349-351, 12 giugno, cc. 396-399, 24 luglio, cc. 436-440, 12 settembre.

[3] AAE, CP, Gênes 7, cc. 381-385, 23 novembre 1649.

[4] Cfr. Bitossi pp. 587 e segg.; Vitale, pp. 310 e segg., Grendi 1997, pp.186 e segg.

[5] AAE, CP, Gênes 7, cc. 39-45, 12 maggio 1648. Una più sommaria relazione Giannettino mandava a Servien il 17 maggio (AAE, CP, Gênes 5, cc. 522-523).

[6] Vedi in appendice 3b la lettra n. 3.

[7] AAE, CP, Gênes 7, cc. 157-159, 15 settembre 1648.

[8] ASG, AS, 2182, Gio Batta Pallavicino a Repubblica di Genova, 11 settembre 1648.

[9] Ricci, pp. 119-120, 16 novembre 1648.

[10] AAE, CP, Gênes 7, cc. 239-241, 1 dicembre 1648.




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Barbara Marinelli

Un corrispondente genovese di Mazzarino


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Indice
Abbreviazioni
Criteri di edizione
Indice dei nomi
Opere citate
Genealogia


Giannettino Giustiniani
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1j 1k 1l 1m

APPENDICI

2. Il Ristretto

3 Le lettere
3a. Introduzione
3b. 1647-1654
3c. 1655-1656
3d. 1657-1660


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