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Giannettino Giustiniani, 1a, 1b, 1c, 1d, 1e, 1f, 1g, 1h, 1i, 1j, 1k, 1l, 1m La questione della residenza La mancanza di una veste ufficiale costituiva un reale ostacolo all’azione di Giannettino in servizio della Francia. Giannettino si vantava di riuscire in forza delle sue relazioni personali – l’amicizia con il doge Luca Giustiniani, [1] per esempio – a superare le difficoltà che via via si presentavano, ma al problema si sarebbe dovuto prima o poi trovare una soluzione. Un modo poteva essere quello di affidargli ufficialmente determinati incarichi, fornendolo di volta in volta delle relative credenziali. Ma la cosa comportava tempi incompatibili con il carattere di urgenza che aveva per lo più questo tipo di interventi.[2] « Vostra Eminenza mi ha comandato che confidi nella sua prottetione, et che non pensi a nulla, così farrò eternamente, ma mi condoni che le dica non essere per altri che per Giannettino Giustiniani Porto Longone di Sua Maestà, et che li servitii che ho reso et rendo giornalmente alla Corona meritano cose grandi, ne io se mi facesse donare diecemila scudi di pensione l’anno, et un’abbadia d’altretanti, et non mi fa dare un tittolo con una terra in Francia non sarrò mai contento, ma per servire anche più di quello che ho fatto, e farrò, per rispetto di Vostra Eminenza che adoro doppo Dio, sarrò contentissimo di nulla: le remunerationi nella mia persona sono necessarissime per riputatione, dignità et interesse della Francia, et non bisogna più differirle, perchè tutto il mondo le attende, acciò servino d’essempio, et d’augumentare il credito in me a cui nulla pottrà più essere difficile, hora sta in mano di Vostra Eminenza, di farmele concedere da Sua Maestà ».[3] « Se non mi farrà qualificare », scriveva a Mazzarino il 7 dicembre 1646, « mi perderà, perchè ad ogni hora m’accendono et irritano contro la loro fattione potentissima li Spagnoli, disperati di pottermi guadagnare, et se Sua Maestà con promovermi et qualificarmi non mi renderà sacrosanto, io mi resterò di sotto ».[4] Non riuscendo ad ottenere nulla, Giannettino provò più di una volta ad alludere ad una sua possibile defezione: « Mi condoni la benigna padronanza di Vostra Eminenza le possa dire, che li servitii soli quali ho reso l’anno passato 1646 alla Corona, meritano che mi sia dato un principato. Altre volte Vostra Eminenza mi fece l’honore di scrivere che la Spagna doveva invidiare alla Francia un servitore che servisse come faccio io: le giuro per quel Dio che mi ha da giudicare, essermi per tre volte stato fatto offerire da primi ministri spagnoli carta bianca, et non essere anchora 40 gioni che il conte stabile governatore di Milano (se bene non ho mai fatto pompa di sì fatte tentationi) ha inviato espressamente qui un religioso per farmi replicare le medesime instanze. Ma tutti li regni del mondo non mi farranno mai rimettere un atomo della divotione che professo a Sua Maestà, alla Francia, né della servitù, anche doppo morte, che ho giurata a Vostra Eminenza, più contento di morire povero servo di Sua Maestà et minima creatura del signor cardinale Mazzarini, che senza di questi tittoli per me gloriosissimi in ogn’altro più grande stato di grandezza e ricchezza ».[5] In effetti, spese a parte, non doveva essere facile per Giannettino lavorare, con Mazzarino da una parte, che sembrava non accorgersi delle difficoltà alle quali lo mandava incontro, privo come era di mandati ufficiali, ed i filospagnoli dall’altra, che, naturalmente, cercavano di ostacolarlo in tutti i modi. « Sino a tanto si compiaccerà servirsi di me, bastare che qui mi sii inviato un giovine che sappi scrivere in francese, con ordine che mi ubbidischi in omnibus, et per omnia, scrivendomi e facendo le ambasciate che gli ordinerò a Palazzo et altrove, nella qual forma Sua Maestà e Vostra Eminenza sarranno servite conforme sempre desidereranno, altrimenti venendo altra persona con tittolo di secretario, gli è impossibile accordarsi, perchè subito [...] entrano nelle prettensioni et non si può caminar bene, havendone sofferto per amore di Vostra Eminenza di quelle da non pottersi inghiottire, che tutto ho fatto per aquistare maggior merito appo Sua Maestà ».[6] In attesa di istruzioni in merito, Giannettino utilizzò per il suo lavoro i personaggi di cui poteva disporre: « per fare le ambasciate a Palazzo mi servo di un tal Dreuet, mastro di casa del signor d’Amontot, che è ottimo, et per scrivere in francese d’un altro giovine mercante di professione, ma di molta habilità, come si può remarcare nelle lettere che scrivo al signor conte di Brienne ».[7] Ancora non l’aveva manifestata chiaramente a Mazzarino, ma l’idea di farsi affidare la carica di residente della Francia presso la Repubblica – come avrebbe poi riferito al governo genovese Gio Batta Pallavicino [8] – non solo si era fatta strada nella sua testa, ma aveva cominciato a circolare a Corte con l’appoggio di due autorevoli Grimaldi, il cardinale Girolamo ed il principe Onorato, senza per altro suscitare grandi consensi. Ad un certo punto però anche Mazzarino si era convinto dell’opportunità di affidare a Giannettino la carica di residente. Nel luglio del ‘47 scriveva al cardinale Grimaldi: « Dovendosi fare l’elettione di persona che risieda appresso cotesta Republica per gli affari di questa Corona io ho consigliata la Regina d’appoggiarla al signor Giannettino Giustiniani, con supposto che il Re ne sia per ricevere buon servitio, e perchè venghino ancora riconosciute le sue fatiche e zelo con quest’impiego, che oltre l’honorevolezza porta seco l’utile di quattromila scudi l’anno di provisione, li quali congiunti con la sua pensione di 5000 franchi possono ben supplire al mantenimento della sua casa. Ma pare che possino concorrere molte considerationi nella di lei persona non solo per quello tocca al servitio di Sua Maestà, ma anco per quello che riguarda la di lui soddisfattione, havendomi fatto precisa istanza di questa carità, ho perciò giudicato di mandare l’inclusa mia lettera, con le spedittioni necessarie in mano di Vostra Eminenza, acciò non ritrovando ella inconveniente alcuno, ed assicurandosi che quest’impiego sia ricevuto da lui con quella stima che si conviene alla confidenza, alla riputazione ed all’utile che porta seco, Vostra Eminenza si compiaccia presentarli il dispaccio e moderare, anco con una amorevole ammonitione, quelli spiriti troppo vehementi da quali si lascia portare ad una continua, e sto per dire una noiosa, esageratione delle proprie lodi, e del suo merito infinito con questa Corona ».[9] In agosto il cardinale, di passaggio a Genova, riferì la notizia a Giannettino e questi si affrettò a ringraziare Mazzarino: « Havendomi il suddetto signor cardinale Grimaldi significato il suo gusto perchè habbi a servire Sua Maestà nella carrica di suo gentilhuomo ressidente appo di questa Republica, con stipendio di dodecimila franchi l’anno, oltre delli cinque annui delle mie pensioni, le ho risposto quel che ho detto per lo passato, et dirrò eternamente a quanto mi verrà proposto per parte di Vostra Eminenza, cioè che non haverò mai altro volere del suo, et che sarrò sempre morbidissima cera per ricevere tutte le impressioni e forme de suoi minimi cenni. Le ho rappresentato che mi rittrovo qualche debito, al quale conviene di sodisfatione, che da tre anni in qua a tittolo delle mie pensioni non ho ricevuto nulla, che mi rittrovo cinque figli, et in stato d’haverne altretanti, che qui le spese sono grandi, et essere io constituito in non così leggiera, et havere necessità d’essere anticipatamente sovenuto e proveduto ».[10] Giustiniani, fiducioso più del dovuto, tentò di farsi pagare anticipatamente gli emolumenti di residente, ma Mazzarino (che forse non aspettava altro) mostrò di non gradire la richiesta e di voler ritornare sulla sua decisione: « Nel pensiero che mi venne di fare appoggiare a Vostra Signoria la residenza di questa Corona nella città di Genova, io mi lasciai portare da desiderio che ho de suoi vantaggi, ma havendo io poi fatta riflessione a quello che ella mi scrive dell’accrescimento di spesa che questo le apporterebbe et al bisogno c’havrebbe non solo di una puntuale, ma ancora anticipata paga delle sue provisioni, io trovo che sarebbe difficile che ciò potesse riuscire fra le spese immense delle quali sono caricate queste finanze, ond’io che desidero di portarle sollevamento, e non peso maggiore di quello che ella habbia, non mi arrischio d’impegnarla in queste necessità che ella mi rappresenta; sarà dunque meglio che differiamo questa risolutione ad altro miglior tempo e che aspettiamo occasioni di maggior suo comodo, poichè ella, che ha ad ogni modo la comunicatione degli affari di questa Corona, non ha bisogno d’altre apparenze ».[11] A sua volta Giannettino, che desiderava ardentemente il titolo, ancor più, forse, delle remunerazioni, si vide costretto a ritornare sui suoi passi e proporre un accomodamento: « Circa la ressidenza, hora che non solo il cardinale Grimaldi l’ha publicata, ma generalmente anchora è stata scritta di Francia, sarrebbe con pregiuditio della mia reputatione se non venisse confirmata dalle lettere e breve reggio, tanto più che l’altro hieri il Doge [12] mi disse che erano necessarie, et che si esprimesse nominatamente in quelle la mia persona, mentre dovevo continuare a trattare gl’interessi e negotii della Corona, come per fare li passaporti al barcareccio di queste riviere, et al potter trattare con li ministri di Spagna per la liberatione di molti Francesi che si rittrovano anchora nelle loro galere, come perchè la mia casa godi d’alcuni pochi privileggi, che sono di non pagare gabella per le cose commestibili, l’uso dell’armi a servitori, e simili, che si concedono alli ministri delle Corone, e circa poi il soldo delli dodeci mila franchi annui oltre delle mie pensioni, per quanto il signor cardinale Grimaldi mi dicesse che non vi sarrebbe stata difficoltà in che mi fossero pagati d’un anno anticipatamente, Vostra Eminenza me li farrà pagare di sei in sei mesi, ben certo che Sua Maestà non vuole essere servita senza premio, né Vostra Eminenza vuol lasciare li suoi veri servi della mia sorte senza della sua efficace prottetione ».[13] Ma la retribuzione non era il solo ostacolo alla sua nomina e le difficoltà non venivano solo da Parigi. In un primo tempo il Doge aveva accettato che Giannettino svolgesse, temporaneamente, le funzioni del residente,[14] ma quando si parlò di un incarico ufficiale e stabile, il governo di Genova oppose un rifiuto nettissimo, facendo appello ad una legge che vietava ai cittadini della Repubblica di servire principi stranieri.[15] A detta di Giannettino, però, il rifiuto del governo genovese di accettare la sua nomina era frutto di un complotto dei filospagnoli, per i quali era « di troppo pregiuditio che esserci[tasse] ministerio per la Francia un gentilhuomo troppo informato di tutti gl’interessi della Republica ».[16] Il rifiuto della Repubblica contrariò enormemente Mazzarino, che iniziò con essa un pericoloso braccio di ferro. Da Genova Giannettino insisteva: « So bene che quando Sua Maestà vorrà persistere nell’ellettione [...] la Republica cederà ».[17] « Hora », gli scriveva Giannettino da Genova, « [...] circa l’honore che mi fa di dirle ciò che mi pare debba Vostra Eminenza respondere alla Republica sopra la lettera che gli ha scritto intorno la ressidenza nella mia persona, nel che come in ogn’altra prattica non devo venire inanzi a Vostra Eminenza che con la verità, e già, se non vado errato, le scrissi che quanto la Republica le ha rappresentato nella lettera inviatagli, le doveva supporre, perchè qui la fattione spagnola che prevale non può soffrire che cittadino alcuno si avanzi per mezzo del servitio della Francia. Nel resto gli supplico che gli dico la verità. La nostra Republica non ha constitutione alcuna la quale prohibischi a suoi cittadini di non potter essere ministro apresso di lei di principe forastiere, e cento volte hora il principe Doria, hora il duca di Tursi, et ultimamente anche il marchese Spinola, quando non vi sono stati ambasciatori nationali spagnoli per il Re cattolico, loro hanno trattato gli affari di quella Corona e Maestà con questa Republica per mesi et per anni, ma come che quelli erano assai grandi naturalmente, non pareva che la qualità di ministro le aggiungesse maggior apparente grandezza. Con tutto ciò mentre Vostra Eminenza mi comanda di dirle il mio parere, sotto la correttione del suo prudentissimo, non responderei ad alcun punto della lettera in particolare, e credami Vostra Eminenza ch’io conosco le mie pecore, et che so lasceranno correre, ma in genere le farrei una risposta d’un somigliante tenore, disteso con le buone forme de suoi secretarii: ‘Dalla lettera che Vostra Serenità si è compiacciuta di scrivermi intorno la carrica conferita da Sua Maestà di suo ressidente appo cottesta Serenissima Republica nella persona del signor Giannetino Giustiniani loro cittadino, confesso d’essermi giunti assai novi gl’impedimenti rappresentati, mentre massime sono anni ch’egli tratta gli affari di questa Corona con reciproca sodisfattione di Sua Maesta et della medesima Republica, et io non sapendo come dare né più certo né più sicuro pegno dell’ottima mia volontà verso di essa Republica, confesso d’havervi cooperato grandemente. Hora sopra delle instanze di Vostra Serenità et dell’Eccellenze loro non lascerò di procurare per tutte le loro sodisfattioni, però sino a tanto che si provegga, si doveranno compiacere di lasciare che tratti gli affari di questa Corona et di riconoscere per servitore e ministro di Sua Maestà appo della Republica il suddetto signor Giannettino, dal quale non pottranno che ricevere se non ogni gusto’. La sostanza della suddetta risposta mi pare quel mezzo termine con il quale Vostra Eminenza pottrà servirsi di me sin che le piaccia, e qui la Republica con la speranza di che doverà esser inviato un’altro non haverà che replicare ».[19] Mazzarino scrisse alla Repubblica nei termini suggeriti da Giustiniani [20] e nel marzo del 1648 le parti riuscirono infine a giungere ad un compromesso dignitoso per tutti: « È venuto più d’un gentilhuomo a rittrovarmi in casa », narrava Giannettino, « et a significarmi che il nostro Senato serenissimo desidererebbe quanto in appo, cioè che Sua Maestà, intese da me per più lettere le ragioni della Republica di non ammettere suoi gentilhuomini, né suoi sudditi che trattino seco interessi di principi forestieri, e supplicata anche da me di consolare la medesima Republica di questa gratia, si è compiacciuta che d’hora inanzi presti fede in quanto le verrà richiesto a suo nome al portatore della presente (il quale haveranno a caro che dipenda da me purchè non sii suddito), et che se in riguardo della mia persona vorrà Sua Maestà nella medesima lettera dire che per la servitù fedele resagli da me nel corso di tant’anni m’ha elletto suo ministro per trattare gli affari suoi con altri principi in Italia, che tutto gradirà, e che tanto senza disturbo delle cose publiche pottrà passare il tutto per le mie mani, et apparirà ch’io ha fatto buon’officio, che è quel che si desidera singolarmente, a confusione de Spagnoli contrarii. Il che non ho pottuto a meno di non rappresentare a Vostra Eminenza perché habbi sempre libera l’ellettione di servirsi di me, e nella mia patria, e fuori di essa, come l’ho supplicata ».[21] La cosa parve fattibile anche a Mazzarino [22] e toccò a François De La Fuye, un mercante di cui Giannettino si era servito qualche volta per scrivere in francese, portare in Senato le prime pratiche.[23] Ma anche questa situazione dovette presto dispiacere a Giannettino: « Sotto li 10 del corrente », scriveva al Brienne nel maggio 1648, « mi son dato l’honore di scrivere a Vostra Eccellenza quello che mi occorreva intorno alla mia residenza et al servire sotto di me monsieur De La Fuye, hora le aggiungerò che essendosi ciò publicato per la città non è stato ben ricevuto, ne’ approvato c’habbi a parlare degl’affari di Sua Maestà una persona, oltre le ragioni più importanti scritte da me a Vostra Eccellenza, la quale per i suoi traffichi, et li suoi negotii habbi tutto giorno grandemente di bisogno di questa Republica e de suoi magistrati, dicendosi da tutti che colui il quale deve parlare degl’affari di Sua Maestà non deve havere alcun’altro minimo interesse che quello del Re, perciò resta sempre più necessario che Vostra Eccellenza invii il secretario che le ho proposto, e si confermi che in me non vive né altro desiderio, né altro rispetto che il buon servitio della Corona, e quello di Vostra Eccellenza ».[24] Oltre a ciò, De La Fuye aveva, secondo Giannettino, molti compromettenti contatti con gli Spagnoli. « È stata buona sorte che il piego del signor conte di Brienne per monsignor La Fuye mi sii pervenuto nelli mazzi delle lettere di Vostra Eminenza, perché ho pottuto fare per il servitio di Sua Maestà (come mi sono tenuto obligato) quello ch’ho stimato necessario, lasciando anche il campo libero costì di fare quello meglio le parrà. Questa persona non deve essere conosciuta. Io doppo la morte di monsignor Du Mesnil pensai di servirmene, et infatti me ne servii alcuni giorni per scrivere in francese al signor conte di Brienne et ad altri, avertito poi che trattava dalla mattina alla sera con i più spagnolardi della città, me ne sbrigai. Gli ultimi giorni di carnevale prossimo passato, essendo egli ugonotto si fece cattolico per maritarsi, come fece, con una arteggiana figlia de più spagnolardi d’Italia quali servono il signor Pier Maria Gentile, de più interessati e sviscerati per la Spagna di questa Republica. Con essi conversa di continuo et ha con loro li negotii communi. Essendo egli publico mercante, et havendo inviato ben tre navi se non quattro alli Spagnoli di Napoli per contratto fatto con l’ambasciatore di Spagna, carriche di grano, il quale ha havuto modo d’havere di Languedoca con barche, essendone a lui solo venute più di 25 come credo d’haverlo accennato con mie precedenti a Vostra Eminenza, non sognando tampoco che vi pottess’essere pensiero di servirsi di lui. A me nulla importa che Sua Maestà si serva più d’uno che d’un altro, mentre si compiace (come Vostra Eminenza mi ha scritto) ch’io habbi l’essenza et la direttione della ressidenza, ma m’importa bensì che il suo real servitio, e quello di Vostra Eminenza, venga fatto con ogni fedeltà, di che non mi pottrei mai assicurare con havere a communicare (per le ragioni suddette) con La Fuye, né viverei mai quieto che li spacci del Re et di Vostra Eminenza andassero nelle sue mani ».[25] L’importante per Giannettino era che « mentre Vostra Eminenza ha più volte assicurato che il mondo conoscerà sempre ch’io sono il vero ressidente, tutto che non habbi il tittolo appresso la Republica, [...] che questa cognitione sii evidente e manifesta, ordinandosi che dipenda da me in tutto e per tutto chiunque verrà a servire, e specialmente facendo Vostra Eminenza comandare al signor Du Lieu a Lione che indirizzi a me (come è seguito sin’hora) tutti gli ordinarii, e tutti li corrieri straordinari, essendo questo troppo importante se devo respondere della fedeltà del servitio del Re, et di Vostra Eminenza, come perché apparischi in me la confidenza ».[26] Mazzarino incaricò un certo monsieur Thevenot e Giannettino parve gradire la nomina.[27] Ma in effetti, forse anche con l’appoggio del cardinal Grimaldi, riuscì ad impedirne la partenza per Genova.[28] A Giannettino Giustiniani, insomma, non venne mai affiancato nessuno, ed egli continuò a svolgere di fatto il ruolo di residente francese a Genova ricorrendo agli stessi espedienti con cui aveva iniziato.[29] [1] Luca Giustiniani fu Doge dal 1644 al 1646. La parentela di Giannettino con il Doge Luca Giustiniani – ramo Longo – non è provata da nessuno dei repertori genealogici consultati, ma un legame fra i due effettivamente esisteva; Giannettino nel giugno 1650 scriveva al cardinale d’Este: « L’eccellentissimo signor Luca Giustiniani, stato Doge della Republica Serenissima et il più riverito padrone ch’io habbi in questa città, ha una caosa dinanzi monsignor Baranzone, luogotenente di monsignor Auditore della Camera, suddito del serenissimo signor Duca mio signore, fratello di Vostra Eminenza, contro l’heredità del fu signor cardinale Orazio Giustiniani, e temendosi che la giustitia da favori contrarii non possa ricevere qualche pregiuditio a danno del suddetto eccellentissimo signor Luca, supplico humilissimamente quanto più posso Vostra Eminenza di raddoppiarmi tutte le obbligationi che gli professo in questa gratia di voler con la sua autorità operare che il detto monsignore non solo pregiudichi alle chiare e pottentisime raggioni del signor Luca, ma che in gratia di Vostra Eminenza e lo favorischi d’una pronta speditione e d’ogni libertà del suo arbitrio, ch’io riceverò fatto a me medesimo dalla protettione di Vostra Eminenza la terminazione di questa caosa conforme richiede la giustitia del personaggio per cui intercedo » (ASM, CA, b. 5, Genova, 25 giugno 1560). [2] Si veda, ad esempio, AAE, CP, Gênes 4, cc. 406-409, 7 agosto 1645. Nel giugno del ‘46 Giannettino, sprovvisto come al solito di un qualunque ruolo ufficiale, aveva avuto il compito di farsi concedere una galera per Donna Anna Barberini, di passaggio a Genova. In quell’occasione Luca Giustiniani si era espresso a favore della concessione e Giannettino non aveva trascurato, come era costume, di sollecitare personalmente tutti i membri del Minor Consiglio: « Il serenissimo Doge mio cugino », scriveva Giannettino, « l’ha fatta come desideravo, congregò subito il minor conseglio, et io mi posi alle porte del palazzo, et supplicai tutti li consiglieri (quali, inclusi li collegi senatorii, furono quel giorno centododeci) ad uno ad uno per la galera che richiedeva Sua Maestà a favore della signora Donna Anna, ingiungendo a tutti la premura di Vostra Eminenza nel servitio di questa principessa, et di centododeci voti se ne riportarono novantotto favorevoli, di che li Spagnoli (cioè del numero sì grande de voti) hanno strepitato alle stelle, come della parlata che fece il Doge a favore della proposta, scusando che non era venuta lettera particolare perchè costì non si sapeva che tale fosse lo stile » (AAE, CP, Gênes 5, cc. 120-125, 11 giugno 1646). [3] AAE, CP, Gênes 6, cc. 137-141, 12 novembre 1646. [4] AAE, CP, Gênes 6, cc. 158-160, 7 dicembre 1646. [5] AAE, CP, Gênes 6, cc. 189-192, 20 gennaio 1647. [6] AAE, CP, Gênes 6, cc. 297-298, 18 giugno 1647. [7] AAE, CP, Gênes 6, cc. 329-333, 2 luglio 1647 [8] ASG, AS, 2182, Gio Batta Pallavicino alla Repubblica, 11 settembre 1648: « Ho saputo dal signor di Monaco, che qui s’adoprava in servitio del Gioannettino Giustiniano che l’istesso Gioannettino Giustiniano è stato il promotore di essere eletto per residente costì, e che da ministri gli fu opposto dicendole che havrebbe meglio servito il Re persona privata come per il passato haveva fatto che ministro, ad ogni modo lui s’oppose dicendo che le sarebbe portato rispetto mentre che per esser costì tutti li cittadini di fattione spagnoli, non li concedevano ne meno licenza di potere parlare ». [9] Trascrivo, per comodità, dalla copia conservata in BCB, BS, ms 46, c. 523, Mazzarino al Cardinale Grimaldi, Amiens 26 luglio 1647. Copia della stessa lettera, con varianti di poca importanza, in altre raccolte e per es. in BL, ADD 8746, cc. 270-273. [10] AAE, CP, Gênes 6, cc. 374-375, 8 agosto 1647. [11] Ricci, pp. 77-78, 30 agosto 1647. [12] Gio Batta Lomellini. [13] AAE, CP, Gênes 6, cc. 392-395, 16 settembre 1647. [14] Il Doge aveva detto a Giannettino che non avrebbe più potuto ascoltarlo « se non facev[a] venire le lettere di credenza nelle quali Sua Maestà dicesse che desiderava trattass[e] li suoi negotii come ressidente sin’a tanto che ne inviasse un altro » (AAE, CP, Gênes 6, cc. 398-401, 23 settembre 1647). Nelle sue lettere Mazzarino evitava infatti di essere troppo esplicito, nominando Giannetino genericamente “servitore” e mai ministro: « Qui la persegutione secreta contro di me è passata sì inanzi che nel minor conseglio, dove si discutono queste prattiche, si è trattato di bandirmi per discolo, tanto li partiali della Corona di Spagna hanno sentito ch’io possa havere posto ostaculo alla compra di Pontremoli, et impedito in conseguenza l’aggiuto del denaro che ne haverebbero ricevuto in sì urgente occasione il governatore di Milano et gli capi di guerra che servono in Lombardia. Per lo che può Vostra Eminenza considerare la necessità che vi è ch’io venghi assicurato con il breve di ministro di Sua Maestà, e con le lettere credentiali alla Republica perchè mi riconoschi per tale, non havendo ella obligatione sin’hora di farlo, perchè Sua Maestà, per quanto mi habbi dichiarato suo servitore non mi ha dichiarato suo ministro acciò mi si presti fede a quanto rappresenterò per parte sua, dicendole tutto ciò perchè il servitio di Sua Maestà et il suo non riceva pregiuditio, che peraltro le risolutioni che prenderà mi saranno sempre le più grate » (AAE, CP, Gênes 6, cc. 420-422, Genova, 22 ottobre 1647). [15] ASG, AS, 1655, mazzo 9, Relazione degli cancellieri residenti in Palazzo circa quei cittadini che fanno instanze in nome de Prencipi esteri, e decreto di proibizione con ordine a cancellieri d’ogni magistrato che all’occorenza debbano presentare il contenuto di detto decreto, 15 luglio 1643. [16] AAE, CP, Gênes 6, cc. 414-415, 11 ottobre 1647. [17] AAE, CP, Gênes 6, cc. 423-425, 27 ottobre 1647. [18] La corrispondenza relativa è conservata, in copia, in ASG, AS, 2748, Ristretto in cui si contiene tutto quello successe quando del 1647 il Re Christianissimo elesse per suo Residente appo della Repubblica Serenissima il Magnifico Giannettino Giustiniani, al quale, perchè da essa Repubblica non venne accettato, diede ordine Sua Maestà che dovesse astenersi da essercitare la carica, che pubblico in appendice. [19] AAE, CP, Gênes 6, cc. 510-512, 30 gennaio 1648. [20] Mazzarino nella lettera alla Repubblica del 28 febbraio 1648 usa le stesse parole del genovese (cfr. Ristretto, in appendice). [21] AAE, CP, Gênes 6, cc. 550-553, 24 marzo 1648. [22] Ricci, pp. 92-95, 30 aprile 1648. [23] AAE, CP, Gênes 6, cc. 445-447, 29 novembre 1647. Sul De La Fuye: Grendi 1996. [24] BNP, Clair., 415, cc. 132-134, Giannettino al conte di Brienne, 12 maggio 1648. [25] AAE, CP, Gênes 7, cc. 36-38, 10 maggio 1648. Fu con una certa soddisfazione che un anno dopo Giannettino potè comunicare la rovina del mercante: « Quel furbo De La Fuye, che si spacciava per gran mercante, se n’è fuggito con havere fallito, abbandonato la moglie per la quale in apparenza si dichiarò cattolico, et è rittornato al calvinismo, del quale era predicante; ha però intaccato alcuni spagnolardi di questa Republica (con mio gusto), havendole fatto pagare cari gli avisi che gli dava del continuo di sempre più accese turbolenze in cottesto Regno, contro di quello publicavo io » (AAE, CP, Gênes 7, cc. 292-294, 6 luglio 1649). [26] AAE, CP Gênes 7, cc. 36-38, 10 maggio 1648. [27] Ricci, pp. 99-100. La risposta di Giannettino in AAE, CP, Gênes 7, cc. 76-79, 23 giugno 1648. [28] Thevenot venne a Genova solo nell’ottobre 1652 per una breve missione diplomatica, di cui, come sempre, Giannettino riferì a Mazzarino: AAE, CP, Gênes 8, cc. 290-291, Genova, 22 ottobre 1652 e cc.292-293, 29 ottobre 1652. Ancora un anno dopo, nell’aprile del 1649, Gio Batta Pallavicino, che su indicazione del governo di Genova cercava di favorire Thevenot, scriveva: « Io credevo che prima della partenza di San Germano si dovesse dare speditione a Monsieur di Tevenò, come mi havevan detto il signor Cardinale, Conte di Brienne e Monsu di Lione, a quali ne ho parlato come da me con motivo particolare, et anco per far piacere al stesso Tevenò che invero mi ha pregato vogli in questa speditione agiutarlo. Tanto più che mi ha detto che il cardinale Grimaldo non li rende troppo buoni ufficii a cagione di favorire il Giannetino Giustiniano, acciò darli più che può nella diretione di qualche faccenda in coteste parti. Ciò mi ha dato qualche fastidio, essendo il negotio della stessa natura ch’era il mio » (ASG, AS, 2182, Gio Batta Pallavicino a Repubblica di Genova, Parigi, 30 aprile 1649). [29] « Mi servo sempre d’un forestiere per far presentare alla mia presenza le lettere reggie in ordine alle formule della Republica, e ben spesso da chi fa per il console, non ve n’essendo hora di console, ma questi non parlano mai, né fanno che posare sopra d’un tavolino del Doge la lettera » (AAE, CP, Gênes 9, cc. 181-184, 24 dicembre 1653). Ancora nel 1664 Giannettino spiegava a Lionne il suo modo di trattare: « Io non ho alcuna obligatione di servirmi più d’uno che d’un altro, e non solo è habile ogni francese, ma chionque non sia suddito della Republica, e la forma è questa che gli descrivo: conduco meco quello dal quale voglio che si presenti la lettera al serenissimo Doge, gliela faccio presentare in mia presenza, e fatto ritirare chi l’ha presentata espongo al Doge ciò che contiene, et immediatamente comincio a negotiare » (AAE, CP, Gênes 11, cc. 341-343, Giannettino a Lionne, Genova, 18 settembre 1664). |
Barbara Marinelli Un corrispondente genovese di Mazzarino * Indice Abbreviazioni Criteri di edizione Indice dei nomi Opere citate Genealogia Giannettino Giustiniani 1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1j 1k 1l 1m APPENDICI 2. Il Ristretto 3 Le lettere 3a. Introduzione 3b. 1647-1654 3c. 1655-1656 3d. 1657-1660 * * quaderni.net |