Giannettino Giustiniani, 1a, 1b, 1c, 1d, 1e, 1f, 1g, 1h, 1i, 1j, 1k, 1l, 1m

L’impresa dei Presidi





Legata alla vicenda dei Barberini fu anche l’impresa dei Presidi, nella quale Giannettino giocò sicuramente un ruolo di rilievo. Agli inizi del 1646 Mazzarino si era lasciato convincere dal cardinale Grimaldi a tentare una mossa d’armi contro le basi spagnole in Toscana, allo scopo – tra gli altri – di intimidire ed isolare diplomaticamente Innocenzo X.[1] A Giannettino, in previsione dell’impresa, fu affidato il compito di affiancare e sostenere il segretario Dumesnil [2] nei rapporti con la Repubblica (ad esempio per ottenere il passo per l’armata), e poi di assistere il principe Tommaso di Savoia a cui era stato affidato il comando della spedizione.[3] Gli Spagnoli tentarono di convincere il governo genovese a negare il passo, suggerendo che la spedizione fosse in realtà diretta contro Savona, e, per ogni evenienza, Giannettino venne fatto severamente ammonire dal governo a non prestar mano ad azioni che potessero risultare di danno alla Repubblica:

« m’hanno fatto ripigliare da personaggio grande sotto prettesto di zelo et d’affetto, ammonendomi di pensare a casi proprii, perchè quando ciò seguisse non si potrebbe riparare alla disgratia che mi succederebbe da un’impetuoso tumulto. Prometto però a Vostra Eminenza che gli lavai il capo tutto che grande si fosse: le risposi che il provedere le piazze, quando si ha la guerra vicina, è prudenza, ma che di temere sopra dei possibili, et non sopra de probabili era manifesta scioccheria, che la Francia non haveva mai sostenuto la giustitia come nel presente governo, che haveva occasione di protteggerci, et non d’opprimerci, per il publico ossequio verso delle loro Maestà, e ministri, et che per le instanze del signor principe Tomasso (perchè tutto addossano alla mala volontà che quel principe possa havere contro la nostra Republica) quel conseglio non si move ad imprese contro ragione in pregiuditio de loro amici, et de termini del dovere et della giustitia, contro poi tante protteste replicate dalle Loro Maestà dell’ottima volontà loro verso di questa Republica. In ordine poi alla mia persona, che quando per giuste cause vi fosse un tal dissegno, meco non sarebbe mai stato communicato, et in ogni caso doveva sempre la mia persona essere riverita come sacrosanta, mentre che ha l’honore et carattere di servitore attuale delle Loro Maestà. Et si lasciammo. Hor consideri Vostra Eminenza in quali cimenti ci hanno posto, di che tutto mi son parso tenuto di raguagliarla, et humilissimamente supplicarla insieme, che non per questa occasione, ben certo non ve n’essere alcun minimo fumo di remotissima suspicione, ma per ogni qualunque altro accidente, affine d’essere armato contro della malignità, che vogli far scrivere una lettera da Sua Maestà, quando più le parrà, alla Republica, nella quale dichiari volere che sii riconosciuto per suo servitore attuale et faciente le cose di suo servitio, mentre massime non vi è ressidente, che questa mi salverà da ogni incontro ».[4]

Il principe Tommaso arrivò a Vado il 17 aprile, in anticipo sul previsto, e Giannettino – probabilmente per il timore di nuovi rimproveri da parte del suo governo – ne fu assai contrariato. Anche l’incontro fra i due non andò nel migliore dei modi. Risentito per il tono altero del Principe, Giannettino ne scrisse a Mazzarino in termini poco lusinghieri:

« Non lascio di dire a Vostra Eminenza che usando poca cortesia [il principe Tommaso] alienerà molti dal trattare con Sua Altezza, perchè egli non mi fece cuoprire, né per quanto stesse anch’esso scuoperto, io non intendo d’essere trattato in sì fatta maniera. Per altro restò sodisfattissimo et obligato del mio zelo, alli miei concetti et alla mia puntualità: non lasciai però di dirle che haverei veduto più volontieri che Sua Altezza non si fosse mosso di Piemonte, che prima non havesse havuto aviso della partenza da Tolone dell’armata di mare, mi addusse qualche scusa sopra de calculi fatti, et appuntamenti presi, quali non gli ammisi, con quel rispetto et riverenza però che dovevo ».[5]

I principi italiani – il Papa in primo luogo – aspettavano con il fiato sospeso di vedere dove tante forze si sarebbero dirette. Alla fine di aprile, finalmente, la flotta francese, capitanata dal duca di Brezé, arrivò a Vado, dove prese a bordo il principe Tommaso e le sue truppe.[6] Proseguì poi per la Toscana e si impadronì con facilità dei porti di Santo Stefano e di Talamone. Il principe Tommaso si portò poi con il grosso delle truppe sotto Orbetello, la cui caduta parve imminente. Ma la piazza, sotto la direzione di Carlo Della Gatta, resistette meglio del previsto e riuscì a ricevere i rinforzi necessari per vincere i francesi; il principe Tommaso fu costretto a levare l’assedio.
Giannettino, che aveva seguito da vicino e con apprensione crescente l’impresa,[7] che aveva sollecitato rinforzi e si era incontrato a Genova con il maresciallo du Plessis incaricato di organizzare i soccorsi,[8] alla fine, fallita la spedizione, prese le difese del principe Tommaso, contro il quale, soprattutto da parte francese, si andavano sollevando ogni sorta di sospetti:

« Sento che il mondo » scriveva a Mazzarino, « senza discussione di causa condanna il signor principe Tommaso del mal successo d’Orbitello, per il quale mi rittrovo il più afflitto di tutti gli huomini, et non mi fa cuore se non la fissa speranza che ho in Vostra Eminenza, la quale non permetterà che si rimaniamo con questa mortificatione. Devo però dirle due cose verissime, rimettendomi nel rimanente alle relationi dei suoi servitori fedeli che haveva al campo: io non so se nel principio dell’assedio possi havere havuto colpa Sua Altezza, so bene che nell’ultimo il più corraggioso dell’humanità non potteva fare quello che ha fatto lui. Si querela dell’armata navale, e con ragione, perchè giunta la seconda volta, prende il principe concerto con il commendatore Delle Gutte che non si allontani dalla vista di Santo Steffano et di Porto Ercole per impedire all’armata spagnola la resolutione di sbarcare tutta la gente che haveva, et egli non solo si trattiene, ma s’allontana in modo che la stessa armata spagnola la quale navigò con essa un giorno et una notte intiera la perdette di vista ».[9]

Mazzarino mostrò di non dare alla sconfitta eccessiva importanza:

« L’impresa d’Orbitello è stata un’aggiunta a questa campagna e fuori dal filo principale de’ nostri dissegni, e mentre ci siamo ritirati con l’armata e con l’essercito intiero dopo haver battuto più volte i Spagnuoli, non habbiamo perduto se non il tempo, e potrebbe essere che questo successo, se non si farà la pace quest’inverno, ci farà risolvere di far conoscere agli partiali di Spagna che per havere in Italia le stesse felicità ch’hanno l’armi del Re in ogni altro luogo, non ci manca se non il volere e l’applicare ».[10]

Contemporaneamente però cominciò ad organizzare una seconda spedizione, perchè, scrive Della Torre,

« non si poteva soffrire in quella Corte irritata fuor di modo contro Papa Innocenzo per la dichiarazione a favore de suoi nemici, che invece di prender vantaggio sopra di questi in Italia con l’acquisto di quelle fortezze, e mettere a quello uno stecco nell’occhio con le medesime, situate a confini dello Stato ecclesiastico, con la perdita vergognosa di quell’esercito ravivata vi havesse l’autorità quasi estinta del Re di Spagna, et alla stessa misura accresciuta la baldanza di Papa Innocenzo ».[11]

La scelta dell’obiettivo di questa seconda spedizione, affidata alla direzione dei marescialli Plessis-Praslin e La Meilleraye, era stata rimessa da Mazzarino ai due comandanti, e, pare, anche a Giannettino.

« Erano rissolute », narra Della Torre in accordo con Capriata,[12] « ma tanto incerte le commissioni intorno l’impresa, che i generali non pure, ma neanche la Regenza medesima era determinata quale essere si dovesse, rimessa alla rissoluzione da prendersene da generali, pervenuti che fossero in Italia, con l’intervento di Gioanettino Giustiniano cittadino genovese. Strano in vero, e non mai più per lo addietro sentito argomento di subitezza francese: inviare hostilmente un esercito reale in paese straniero, permessi gli arbitrii di scieglier l’impresa, prima deliberata che conosciuta, fra due generali di consumata esperienza, poco conformi ad un cittadino forastiero, inesperto nell’armi ».[13]

Raffaele Della Torre motiva così la decisione di Mazzarino:

« Havendolo per longo uso nella corte di Roma conosciuto d’ingegno pronto e svegliato, e di buon giudicio, prattico de gli interessi d’Italia, e fra gli altri della corte di Roma alli quali da questi giorni Mazzarino rivolte haveva le cure più sollecite, eletto lo haveva a deliberare (strana confidenza, e quasi incredibile in un estraneo) quale fosse l’impresa più provittevole alla Corona di Francia da effettuarsi in Italia in queste contingenze e gliene scrisse lettere da me vedute, piene d’ogni maggior stima e confidenza ».[14]

Giannettino verso la metà di settembre, partì alla volta di Oneglia dove incontrò i due comandanti francesi.[15] I due avevano opinioni diverse: il maresciallo Plessis-Praslin « Voleva [...] che si ritornasse sotto Orbitello, et acquistatolo a forza d’assalti senza risparmio di sangue ricoverare in esso la riputazione dell’armi francesi lasciatavi da un italiano di dubbia fede ».[16] La Meilleraye non era d’accordo. Raffaele Della Torre, nelle sue Historie, gli attribuisce le seguenti parole, che si può supporre gli siano state riferite dallo stesso Giannettino:

« Gran vergogna, nol niego, che le nostre armi sempre vittoriose da un nimico sempre e da per tutto battuto, siano state constrette con forza aperta a levarsi dall’oppugnazione di Orbitello, ma non mancano delle raggioni (siansi di giustificazione o di scusa) da sminuirla. Ma che direbbe Italia, e Roma, teatro dell’universo, quando tornatevi la seconda volta con una armata padrona del mare, constrette fossero a levarsene un’altra volta? Qual giustificazione, o scusa ne rimarebbe? Non è la prima volta che l’armi nostre si sian levate sotto una piazza assalita, ma sarebbe ben questa la prima volta che ritornatevi per emendare lo errore commesso, maggiore si facesse, o meno scusabile. Nè io per me posso concepire gran confidenza di vittoria nella lontananza de galeoni spagnuoli, essendo assai palese il soccorso ad Orbitello vanamente tentato dall’armata di mare, esservi gionto per via di terra dal regno di Napoli, inesausto d’huomini e d’armi che vi perseverano tuttavia, accresciuti di baldanza per la fresca vittoria ».[17]

Sembra (a stare alla ricostruzione di Della Torre) che La Meilleraye proponesse, invece di Orbetello, Gaeta:

« Quanto sarebbe meglio andare all’espugnazione di Gaeta, piazza nobilissima e di gran conseguenza, dotata di porto capace e sicuro, niente men di terreno che sotto cielo felicissimo, tutto all’opposto di Orbitello, sproveduta all’incontro di munizioni, di presidio e di fortificazioni alla moderna, non si tosto assalita che conquistata, può agevolmente, meglio da noi proveduta e fortificata con vantaggio con l’armata padrona del mare, schernire non pure tutti i sforzi del regno di Napoli ma con raggioni meglio fondate aspirarne alla intiera signoria ».[18]

Giannettino, infine, si sarebbe espresso più o meno in questi termini:

« Ammirare ugualmente i generosi et uniformi sentimenti delle eccellenze loro di emendare i danni intorno la fama delle armi di Francia in Italia patiti sotto Orbitello con acquisto grande ugualmente, e glorioso, ne luoghi medesimi, e come intendesse niente usato nel mestiero dell’armi, havere poca capacità in riconoscere per quale via una grande impresa conseguir si potesse più speditamente, ad ogni modo restar pienamente persuaso dalle prudentissime raggioni dall’uno e dall’altro apportate, essere molto efficace la considerazione di anteponere quella di esse intorno la quale più certe fossero le speranze di ottenerla prima dell’invernata, quella cioè nella quale ritrovar si dovesse minor resistenza e minor confidenza ne soccorsi del Regno di Napoli. A questi sentimenti delle eccellenze loro sottomettere i proprii, et havere la stessa disposizione intorno l’elezzione del luogo tanto delli proposti di Orbitello e di Gaeta, quanto di quelli che sovenir loro potessero in maggior numero, fra quali domandare licenza alle eccellenze loro di raccordare un altro più vicino, assai più facile in riguardo di speranza di essere soccorso e di acquisto (se io non erro) avantaggioso ».[19]

Giannettino, memore di un consiglio che il fratello Gio Batta gli aveva dato mesi prima,[20] proponeva infatti la presa di Piombino per assicurare alle truppe una piazza in terraferma ed in seguito quella di Porto Longone, nell’isola d’Elba:

« Nella stessa navigazione verso Oriente, nelli stessi lidi di Maremma prima di giongere a Monte Argentaro, si ritrova in distanza di qualche miglia il promontorio già detto di Populonia. Vicino alla sommità dello stretto, appresso il mare, giace la terra assai nobile di Piombino, unica fra quelle contrade di dominio imperiale (piccoli avanzi della fazzion gibellina) posseduta in feudo per opera de Spagnuoli dal prencipe Ludovisio, nipote di Papa Innocenzo. In faccia di questa terra, verso mezzo giorno, in distanza di poche miglia, sorge dal mare l’Isola dell’Elba, che apre verso tramontana in faccia a Piombino, porto capacissimo, il quale, dallo insinuarsi per lungo tratto fra rupi discoscese, nell’isola vien detto: ‘Longone’, che accoglie nell’ultimo seno piccola et ignobil terra dello stesso nome: signoreggiate sono ugualmente il porto e la terra da una fortezza reale su quelle eminenze con presidio spagnuolo. Lo acquistar Piombino, terra senza presidio, è lo stesso come approdarvi con questa armata, ne molto diversamente Porto Longone, però che la resistenza di quella fortezza, assalita da tante armi all’improviso non può essere durevole o pertinace, atteso massimamente il tenerle tutte ordinariamente i Spagnuoli mal provedute, quando non sieno di gran gelosia. Ma quando il fosse assai maggiore dell’aspettazione, alla per fine li converrà cadere, venendole agevolmente dal nostro numeroso naviglio chiusa la strada al soccorso maritimo, non li rimanendo altra strada di haverlo che per l’aria a volo. Un tale acquisto, tanto sicuro quando poi dalla nostra sollicitudine stabilito fosse con fortificazioni reali alla moderna, niente meno intorno a Piombino che alla fortezza del porto, provedutasi l’uno e l’altra di giusto presidio, non riman dubbio che riuscirebbe altretanto sicuro quanto importante e glorioso al Re nostro Signore, non potendo perdersi senza l’impegno d’armata doppia da terra e da mare senza poterle mai da questa parte chiudere i soccorsi, laonde, mantenuto che fosse alla corona di Francia, li custodirebbe il dominio di questi mari dovuto a Porto Longone, a cui è dovuto unicamente in quelle parti il vanto di porto. Avenga che Porto Ercole giace esposto alle violenze de venti e flutti orientali niente meno di quello di San Stefano alli occidentali, l’uno e l’altro a tutti gli altri che a destra et a sinistra dimezzano tra li quattro, a quali soli la rozza antichità divise l’ampio giro del nostro emisfero, et ha saputo la nautica de nostri giorni con la moltiplicazione di più minuta divisione accrescere alle altre quattro aggiontevi dalli men rozzi, e render più caota ne temuti pericoli del mare l’audace perizia de marinari. La dove Longone, cinto tutto all’intorno d’altissime rupi apre solo l’entrata verso il terreno per poco tratto di mare, non esposto ad altra traversia che del maestrale, non in modo però che punto pregiudichi alla sicurezza del porto, avenga che, quantonque prenda il nome dalla maggiore lunghezza, non è perciò passate le prime angustie dell’entrata che grandemente non si dilati anche per largo dall’una parte e dall’altra egualmente in forma d’archi, che congionti insieme nell’ultimo seno, ove è la fortezza, danno figura al porto d’un grande ovato. Quindi può bene il vento maestrale inalzare l’onde del mare, e quasi di fianco spingerle impetuosissime nel porto con impedire assolutamente l’uscita, e parimente l’entrata da parti orientali, ad ogni modo non può entrare con tanta furia il mare per le bocche del porto che non vada a deponere le ire e l’orgoglio con frangersi nelle rupi opposte dalla parte del seno, che riguarda il ponente, con lasciare imperturbata l’altra parte, che riguarda l’oriente, ne diversamente l’ultimo seno custodito dalla fortezza nella quale è riposta la totale sicurezza del porto, non pervenendovi l’aque se non tranquille del tutto, certamente placate. Onde Porto Longone può contendere di capacità e di sicurezza con qual’altro più famoso vi habbia l’Europa, et acquistato nell’umbilico dell’Italia dal valore delle eccellenze vostre al Christianissimo, può far riponere nelli acquisti le perdite accadute sotto Orbitello ».[21]

I marescialli approvarono il piano del genovese, decisero di attuarlo, ed inviarono a Parigi un gentiluomo per informarne la Corte. Verso la fine di settembre Giannettino rientrò a Genova,[22] mentre i due comandanti diressero nuovamente la flotta francese verso la Toscana. La conquista di Piombino richiese pochi giorni ed indusse gli Spagnoli, convinti che i nemici volessero tentare un secondo attacco ad Orbetello, a concentrare tutte le loro forze a difesa di quella piazza, lasciando le altre sguarnite. I Francesi si diressero allora, inaspettati, verso l’isola d’Elba, dove in poco meno di un mese riuscirono ad occupare Porto Longone.[23] Il 28 ottobre Giannettino, annunciandone l’avvenuta conquista, non mancò di sottolineare quanto importante fosse stato nella fortunata vicenda il suo apporto:

« Tutto il merito dell’acquisto debba singolarmente attribuirsi alla mia persona, essendo che l’impresa è stato (quanto all’essegutione) puro parto delle mie persuasioni ed indirizzamenti, come doverà haver scritto il signor della Migliaré, giuro a Vostra Eminenza che se si arresta il corso della bella impresa, non proseguendo in terra ferma a gli acquisti del Monte Argentaro et di Porto Ercole, che non sarrò contento, perchè la congiuntura è troppo opportuna per le tante circonstanze che concorrono a favore della Francia ».[24]

Ma se l’idea di attaccare Porto Longone era stata davvero « puro parto » delle sue persuasioni, non altrettanto si può dire di quella di proseguire l’impresa. Già nell’ottobre del 1646 Ondedei aveva scritto a Giannettino:

« L’impresa di Porto Longone è stata stimata ed approvata in questo Consiglio non ordinariamente, essendo in effetto necessarissimo a questa Corona l’havere un porto sicuro e capace in cotesti mari. L’acquisto di Piombino non può essere più opportuno per la comodità de viveri e per potere aver quel traghetto dal mare alla terra ferma [...]. Qua non si dubita che Orbitello non sia perfettamente munito o provvisto, ma con un esercito di dieci o ottomila huomini effettivi se ne può far acquisto, e quando si giudicasse l’impresa impossibile o troppo difficile, non pare che possi havere le medesime difficoltà quella di Porto Hercole, che non può haver ricevuto accrescimenti e fortificationi perchè non ne è capace, e così facendo vista di gettarsi sopra Orbitello per tirarvi dentro tutte le forze, si potrebbe poi voltarsi contro Porto Hercole, che non può fare gran resistenza, et havendo noi quel posto, con fare un forte nello stretto della gola (per così dire) del monte Argentaro, rendiamo Orbitello inutile e che da se stesso caderà con il tempo nelle nostre mani. Il cardinale ha havuto per bene ch’io facci questo discorso a V.S.Ill.ma, perchè sapendo quanto credito habbino in lei li signori marescialli, i suoi consigli, avvisi et impulsi e le facilità che da lei si potranno apportare, havranno gran forza per far risolvere quei signori a tentar qualche altra cosa avanti di ritirarsi, senza però ch’ella mostri che di qua le siano stato insinuati questi sentimenti ».[25]

Giannettino, comprensibilmente, tendeva a sopravvalutare l’importanza del possesso di Piombino e Porto Longone nella strategia complessiva della Francia. Quando, nell’estate del 1650, le due piazze tornarono in mano spagnola, Giannettino espresse grande amarezza.[26]




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[1] Sull’impresa dei presidii vedi Ademollo, Cappelletti, Tornetta, Costantini 1998 pp. 170 e segg.

[2] Dumesnil fu segretario del signor d’Amontot fino al 1644. Quando il residente fu richiamato in Francia, continuò il suo servizio agli ordini di Giannettino Giustiniani fino alla morte, che avvenne nel 1647.

[3] « Ho voluto scrivervi questa lettera », aveva scritto il Re a Giannettino, « [...] per dirvi che mi sarà grato che voi assistiate a quanto incarico il secretario Du Mesnil di fare in mio nome appo alla vostra Repubblica di Genova, [...]. Inoltre vi dico che mi sarà gratissimo che voi vi abbocchiate con mio cugino il principe Tomaso, o in sua assenza con mio cugino il duca di Breze » (ASG, AS, 1655, mazzo 9, Luigi XIV a Giannettino, Parigi, 24 marzo 1646). Giannettino assistette il Principe Tommaso dal 19 aprile al 17 giugno 1646, con una spesa di 361 doppie, come risulta da Nota di spese fatte per servitio di Sua Maestà sopra del comandamento impostomi con sua real lettera li 20 marzo 1646 d’asistere alli signori principe Tommaso e duca di Brezé suoi generali in terra et in mare, et d’esseguire gl’ordini loro (AAE, CP, Gênes 6, cc. 126-127). Cfr. Ricci, pp. 27-28, 24 marzo 1646.

[4] AAE, CP, Gênes 5, cc. 64-68, 16 aprile 1646.

[5] AAE, CP, Gênes 5, cc. 74-77, 23 aprile 1646.

[6] AAE, CP, Gênes 5, c. 80, Savona, 29 aprile 1646. Sull’episodio cfr. Capriata, pp. 243-267, e Siri, tomo VIII (vol.9), pp. 112 e segg.

[7] AAE, CP, Gênes 5, cc. 95-96, 98-101, 105-106, 109-113, 120-125, 128-133, 143-144, 15, 25 e 28 maggio e 14, 11 e 18 giugno 1646; Gênes 6, cc. 7-10, 11-16, 17-19, 3 e 6 luglio 1646.

[8] Cfr. Plessis Praslin, pp. 236 e segg.

[9] AAE, CP, Gênes 6, cc. 43-48, 31 luglio 1646. Il Principe, aveva scritto Giannettino il 16 dello stesso mese, « non sarà mai abastanza lodato » (ivi, cc. 23-26).

[10] Ricci, pp. 41-42, 10 agosto 1646; l’originale della lettera, dal quale trascrivo, è in ASC, ms 049, doc. n. 26.

[11] Della Torre, p. 1316.

[12] Capriata, pp. 243 e segg.

[13] Della Torre, p. 1316. L’imprese dei Presidi è raccontata a pp. 1295-1324. A proposito della conduzione dell’impresa Raffaele Della Torre commette un altro errore. Scrive infatti: « ne elessero Generali Condottieri due marescialli del Regno, Bresse e Plessis Pralin ». Si corregge però nel corso del racconto, scrivendo La Meilleraye. Le istruzioni date da Mazzarino ai due generali furono, secondo Vittorio Siri, che non accenna minimamente a Giannettino, del seguente tenore: « Proponevasi lo sbarco à Porto Sanstefano, e che co’ vascelli ad un tempo si attaccasse Talomone per investire poi Monte Filippo, e Porthercole; e se lo comportasse la stagione, e lo stato in cui si trovarebbe orbitello cimentare etiandio quell’impresa. E comparendi l’armata nemica per impedire lo sbarco combatterla in ogni maniera. Che se ne posti di Monte Argentaro si trovassero alla difesa sopra duemila homini, e non vi potessero così facilemte sbarcare andassero ad investire Portolongone nell’isola dell’Elba, o il Finale nella costa di Genova. Che se non potessero cimentare con fidanza di prosperità i posti suddetti, e che scorgessero riuscibile qualche altra intrapresa nelle coste d’italia il re si contentasse, che si attaccassero per preferenza a quello, che si potrebbe afferrare ne’ Mari d’Italia altrimenti facessero uno sbarco a Minorica per assalire quei luoghi che loro si offerirebbono: o andassero in altra parte de’ Mari di Spagna secondo stimassero meglio » (Siri, tomo VIII, pp. 485-486).

[14] Della Torre, p. 1319. Non ho trovato le lettere di cui parla Della Torre, ma il 30 novembre, Mazzarino scrivendo a Giannettino riconosceva: « Ella ha havuto tanta parte nell’acquisto di Piombino e Porto Longone » (Ricci, pp. 55-56, 30 novembre 1646).

[15] AAE, CP, Gênes 6, cc. 86-90, 18 settembre 1646.

[16] Della Torre, p. 1319. L’incontro di Oneglia è raccontato a pp. 1319-1324.

[17] Della Torre, pp. 1320-21.

[18] Della Torre, p. 1321.

[19] Della Torre, pp. 1321-22.

[20] Giannettino aveva provato ad introdurre a Corte il fratello Gio Batta l’anno precedente: « La nostra Republica », aveva scritto nel settembre 1645, « invia Gio Batta mio fratello al comando di tre galere rinforzate a misura del desiderio a girar l’isole et costeggiar l’Africa, in busca di qualche corsaro turco, et io prendo l’occasione d’offerirlo di novo a Vostra Eminenza, pottendole dire con verità a giudicio di chionque si compiacerà Vostra Eminenza di prenderne informatione, che è hoggidì il primo marinaro e soldato che habbi l’Italia » (AAE, CP, Gênes 4 cc. 441-446, 18 settembre 1645). L’opinione di Gio Batta sull’impresa dei Presidii era stata comunicata a Mazzarino nel marzo 1646: « Mio fratello », aveva scritto Giannettino, « [...] dice che da Piombino al Monte Argentaro per lo tratto di sopra cinquanta miglia, non si può prohibire a niuna piccola armata né il scendere in terra, né il fortificarsi, con sicurezza poi anche (attacata ciò, e presa terra ferma) d’impadronirsi con facilità dell’isola dell’Elba, et perchè si mormora che l’armata di Provenza possa havere qualche pensiero in suddette parti, che sarrebbe l’unico freno a Spagnoli, al Papa, et al Granduca, affacilitando anche le cose nel Milanese, stima mio fratello necessario prendere prima porto in terra ferma, et Vostra Eminenza non si rida che adduchi l’autorità di mio fratello, perchè senza passione, da vero e fedelissimo suo servo, non conosco niuno più capace di lui, e come conosce che l’impresa non puole havere difficoltà, così stima necessarissimo doversi principiare da terra ferma, e quindi sbarcare qualche cavalleria, essendo quel paese, per l’abbondanza de foraggi et di biade, capace da sostenerne delle migliara de cavalli, come Porto Santo Steffano d’alloggiare ogni grande armata navale » (AAE, CP, Gênes 5, cc. 46-48, 20 marzo 1646).

[21] Della Torre, pp. 1322-24.

[22] AAE, CP, Gênes 6, cc. 91-94, 25 settembre 1646: « È stato il mio viaggio d’Oneglia di grand utile al servitio di Sua Maestà et di Vostra Eminenza, perché oltre alli lumi che ricevettero dalle mie notitie li signori marescialli, operai con il governatore di Diano, terra presso quattro miglia ad Oneglia della nostra Republica, dove una notte andammo a piede con il signor maresciallo di Plessis per balze strepitose nonstante che non vi fosse la permissione della Republica perché non si era richiesta che consentisse si pottesse andare a fornire d’imbarcare il resto di 500 fanti et alcuni cavalli che non era stato possibile d’imbarcare alla spiaggia d’Oneglia, il qual governatore dette ogni facilità e commodità perché ci accomodò subito di dieci [coraline] con le quali domenica li 23 si fornì d’imbarcare con il signor maresciallo di Plessis tutto il rimanente. Io mi trattenni quel giorno in longa conferenza nell’Ammiraglio con ambidue li generali, aggiunsi al loro coraggio et ardore tutti li stimoli immaginabili doppo la discussione dell’impresa da intraprendere, e pregato da loro di rittornare per avertirli di quel di più era sovvenuto doppo la mia partenza da Genova, mi licentiai lo stesso giorno dello 23 ».

[23] AAE, CP, Gênes 6, cc. 102-104, 6 ottobre 1646: « Spagnoli sono affatto storditi dall’attacco di Porto Longone, vedendo che assicurate stabilmente le armate marittime di Sua Maestà nel cuore dell’Italia (come io ho sempre battuto con li signori marescialli della Migliarè e Plessis che si doveva procurare prima d’ogni altra cosa) non possono reggere contro la potenza francese ».

[24] AAE, CP, Gênes 6, cc. 122-124, 28 ottobre 1646. Giannettino non sarebbe contento di sapere che in un repertorio del Novecento la sua impresa è stata attribuita ad un tal Gian Giorgio Giustiniani: Valori, pp. 169-170, che riprende l’errore di Giorgetti, I, p. 492.

[25] Ricci, pp. 50-51, 24 ottobre 1646; l’originale della lettera, dal quale trascrivo, è in ASC, ms 049, doc. n.32. Le parole dell’Ondedei sono ricordate da Giannettino in una lettera del 24 maggio 1661 al Lionne che cito più avanti e in cui si legge tra l’altro: « desiderando egli [Mazzarino] dalli marescialli della Migliarè e Plessis Pralin qualche operatione di più dopo la conquista di Longone seguita solamente dal mio consiglio, perché il primo desiderava andar a Gaeta, et il secondo rittornare ad Orbitello, come consultammo noi tre soli in Oneglia dove mi transferii per commandamenti espressi di Sua Maestà, mi pregò con una longa lettera sotto li 24 ottobre 1646 che sapendo quanto credito havevano in me detti signori, quanto credevano a miei consigli, avisi et impulsi (parole della medesima lettera) che ve li persuadessi senza mostrare d’haverne avuto alcun motivo dalla Corte »(AAE, CP, Gênes 11, c. 14 segg., Genova, 24 maggio 1661).

[26] AAE, CP, Gênes 8, cc. 30-31, 69-72, 28 giugno e 16 agosto 1650. Giannettino, che, come ho detto, tra le sue mansioni aveva quella di reclutare letterati per il servizio della Francia, pensò a Capriata come allo storico che svrebbe potuto chiarire le responsabilità nella perdita della piazza: « Il dottore Capriata narrerà nel racconto della ricuperatione fatta da Spagnoli di Longone quanto Vostra Eminenza ha speso di proprio per conservarlo alla Francia, e quanto poco vi contribuì quel governatore a non provvederlo d’acqua quanto bisognava, et anche il più che da me le sarrà suggerito » (AAE, CP, Gênes 8, cc. 143-144, 21 febbraio 1651). Nelle sue Historie Capriata non scrisse nulla contro il governatore, anzi ne esaltò la fedeltà ed il coraggio, preferendo evidentemente l’offerta fattagli da parte spagnola. Il 17 gennaio 1651 Giannetino aveva infatti scritto al Mazzarino: « Da un tal frate de minimi di S Francesco di Paola di famiglia De Negri gentilhuomo di questa Republica è stata data alle stampe ‘La ricuperatione di Longone da Spagnoli’, con dissegno di riportarne un vescovato in premio, ma il conte d’Ognatte non l’ha gradita (e vaglia il vero è una scioccheria) onde ha fatto pagare qui due giorni sono cinquecento scudi d’oro al dottor Capriata perché la scriva lui da Felice Mari, il quale ne ha voluto ricevuta per mano di notaro, che è stato Gio Gregorio Ferro. Il buon dottore, che è bisognoso, ha ricevuto a gran fortuna il regalo, tuttavia è stato a rittrovarmi per ricevere da me il modo di contenersi: le ho risposto che potteva scrivere la verità, però che ne haverei fatto motto a Vostra Eminenza, la quale occorendole alcuna cosa potrà comandarmi quello doverò dirle »: AAE, CP, Gênes 7, cc. 405-408, Genova, 17 gennaio 1651.




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Barbara Marinelli

Un corrispondente genovese di Mazzarino


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Indice
Abbreviazioni
Criteri di edizione
Indice dei nomi
Opere citate
Genealogia


Giannettino Giustiniani
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1j 1k 1l 1m

APPENDICI

2. Il Ristretto

3 Le lettere
3a. Introduzione
3b. 1647-1654
3c. 1655-1656
3d. 1657-1660


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