Sicurezza Sociale


L'Ufficio dei servizi sociali (Social Security Office) si trova in East Liberty (i nomi, che ironia in America!), una zona in cui ti sconsigliano vivamente di andare ad abitare. Ti sconsigliano anche di passarci la notte. Però non ti possono sconsigliare di andarci la mattina, perché fare la tessera del Social Security (come dire, il nostro codice fiscale) è un obbligo. Bene o male, tutti devono essere digeriti dal grande processore.
Così una mattina una studentessa italiana di nome Monica, appena arrivata dall'Inghilterra, s'inoltra in questo quartiere cattivo. Gli edifici sono grandi e rarefatti, di un indistinto color carne bruciata; le macchine sollevano polvere (o è un fotogramma di qualche vecchio film che si sovrappone alla realtà?); ci sono dei negozi dall'aria scapestrata; in giro, solo afroamericani.
Monica entra nell'ufficio, che all'interno si presenta nuovo e luccicante, quasi la sala d'attesa di un dentista, e sedute ad aspettare il proprio turno stanno una quindicina di persone, quasi tutti afroamericani.
Monica si siede e attende. A fianco a lei stanno sedute altre persone, tra cui una nonna d'ebano con nipotina di due anni. La nonna è una sfinge: siede immobile appoggiando il volto girato di tre quarti sulla mano, ieratica. La bambina invece scorazza per l'ufficio. Di fronte a Monica un'altra fila di persone sedute. Esattamente davanti a lei un uomo. Questo si muove e guarda in modo strano, o forse è solo un'impressione (magari un altro fotogramma di film passati). L'uomo tira fuori una specie di forbice-tenaglia-tirachiodi e comincia a tagliarsi le unghie. Nell'ufficio c'è silenzio. Ognuno aspetta il suo turno. L'uomo dice qualcosa, indossa anche un walkman. Guarda la bambina che si avvicina. Posa la forbice e si apre la cerniera dei pantaloni. Monica vede, realizza e in un secondo è in piedi, fra l'uomo e la bambina, e le parla, alla piccola. La nonna si torce di 25 gradi e senza muovere ruga la munifica di uno sguardo di gelo. Monica resta interdetta e torna al suo posto. Quando si risiede vede che il tipo ha continuato imperterrito quello che aveva iniziato e sta sventolando a destra e a manca quello che i rinascimentali chiamavano il pestello. La bambina è rimasta lì, a un metro, a guardare basita. Chissà cosa pensa. La nonna è tornata nella sua posizione statuaria e non batte ciglio. Nessuno fiata. Per alcuni lunghissimi minuti nessuno fiata. A quattro metri c'è il banco con le signorine dell'ufficio. A quindici metri, svoltato l'angolo, c'è una guardia. Monica non ce la fa più, si alza, scoppia a piangere e va in bagno.
Quando torna tutto è come prima, salvo che il tipo se n'è andato. La chiamano al bancone, è il suo turno. Finalmente sbotta. Urla che è uno schifo, che non è possibile, che solo in America possono accadere certe cose, che lei in quell'ufficio non ci tornerà più, che gliela spediscano a casa la tessera, e se no che se la tengano, che se no se ne torna in Europa, lei. Le impiegate cadono dalle nuvole. Ma come? Un maniaco? E perché non l'ha detto subito? Chiamano la polizia, domande, risposte, scuse, deposizione scritta. Ci dispiace che la cosa l'abbia tanto scossa, le dicono, alla fine, con impercettibile ironia. Scossa? Ma non è solo per me, urla, cosa credete, che non abbia mai visto un cazzo in vita mia? E alla bambina, alla bambina non ci pensate? È piccola, dimenticherà.


Carola Frediani

Lettere pittsburghesi

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Indice
Prefazione

1. 2. 3. 4. 5. 6.
7. 8. 9.10. 11.
12. 13. 14. 15.
16. 17. 18. 19.
20. 21. 22. 23.
24. 25. 26. 27.
28. 29. 30. 31.



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