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Capitalism served fresh every day

Arrivarci all'alba in bus (nei mitici Greyhound bus che collegano le città americane e sono il vero mezzo di trasporto di chi ha pochi soldi o è senza macchina, e che fanno inorridire gli americani bene, per i quali sono corriere della droga) significa essere esposti immediatamente alla monumentalità holliwoodiana dei grattacieli inondati di luce. E immediatamente s'inserisce una catena di meccanismi associativi, di immagini del passato, di canzoni, di aspettative: con l'occhio si cerca subito lei, la Statua, mentre nella testa riecheggia la voce di Frank Sinatra. New York, New York... il capitalismo servito fresco ogni giorno, recita una scritta elettronica in Time Square, ed in effetti qui nessuno si vergogna di vivere nel capitalismo, anzi, c'è una fierezza assai contigua allo snobismo che contrassegna, come il logo di una marca, chiunque abiti qui.
Midtown, il cuore commerciale di Manhattan, pulsante di turisti e cartelloni pubblicitari, di taxi e venditori di hot dog, sembra convogliare le energie umane e post-industriali della città, e da subito ti elettrizza, ti connette con tutte le altre centinaia di passanti, con i negozi e le insegne e i motori e i tombini che sbuffano fumate calde e rilasciano i suoni cupi della metropolitana. Naturalmente il materiale conduttore sono soldi e carte di credito, di cui tutti devono essere perennemente muniti in quantità, visto che in tutta Manhattan, perfino nel financial district, è difficile trovare un semplice bancomat.
Chi vive a New York, ma anche chi solo la visita, subisce questo elettrizzante sentimento di inclusione: io ci vivo, io ci sono stato, io faccio parte di questa comunità di persone che vive a ritmi frenetici in mezzo a flussi di denaro e di energia ed è sempre la prima in tutto, l'avanguardia del capitalismo. Ecco, c'è un sentimento di avanguardia, di rivoluzione permanente a New York, anche nello spazzino che salta giù da un camion e sa che la sua porzione di lavoro s'inserisce come un miracolo in mezzo ad altre milioni di porzioni, e tutto sta nel tenere i tempi e fare il proprio lavoro, perché solo allora la città si tiene, con il contributo frenetico di tutti. Ognuno per se stesso, s'intende. In questo senso New York è la più grande e spettacolare comunità di autarchici che sia mai esistita. E il miracolo consiste nel fatto che malgrado ciò, funziona. Adam Smith qui si prende la sua rivincita, qui esiste la mano invisibile dell'interesse personale.
E allora bisogna pagarlo il tributo, entrare nei negozi, farsi accarezzare dalla tentazione di comprare. I negozi qui fanno parte dello spettacolo: nel negozio Diesel, per esempio, moda per giovani, le superfici laccate riflettono giovani rigorosamente sotto i trenta - donne in gonne colorate e foulard, uomini in magliette attillate e borse aerodinamiche, capelli al gel - che veleggiano tra le ultime novità al ritmo della techno. Sono tutti dei bellissimi narcisi. Sembrano sapere esattamente quello che vogliono. In questo negozio metà tempio e metà disco è difficile non farsi prendere la mano e con un colpo di carta di credito (la mia è di debito, per essere precisi) buttare, oltre che centinaia di lire, anni di consumo critico e solidale.
- New York è un carrozzone su cui tutti vorrebbero saltare, è una grande macchina in movimento, che gira e rigira, all'inizio ti spaventa, ma tutto sta a saltarci sopra; dopo ti metti a correre e girare anche tu, ed è difficile risaltare fuori. -
Parole sacrosante di Alessia, una genovese scatenata che vive da un anno ad Harlem e racconta come sia difficile coltivare amicizie a New York, dove tutti pensano (volontariamente o forzosamente) al lavoro e ai soldi, dove tutti sono stressati e stanchi o non hanno mai tempo.
- D'altra parte New York è come una droga: ti tiene su e ti fa andare avanti nonostante tutto. -


Harlem

Alessia vive nella 146esima strada, che, tanto per rendere l'idea, usciva fuori dalla mia mappa di Manhattan. Quando abbiamo preso la metropolitana per andare a casa sua la scritta della destinazione finale diceva Bronx. Anche qui, è sempre una questione di referenze e immaginario.Lo sai benissimo che scenderai prima, ad Harlem, ma tant'è quella scritta basta a creare un po'di tensione,di sottile nervosismo. Harlem, invece, ha la bellezza dei quartieri poveri. Degradata e sporca, pullula di vita, negozietti, barbieri, bambini. Se dalle vie principali si prendono quelle laterali, seduti sui gradini delle case stanno i fumatori di crack mezzo addormentati. La prima sera che siamo rientrati più tardi, io Alessia e un mio amico, era di sabato. Le strade erano piene di gente e di musica latina che usciva dai negozi ancora aperti o dalle macchine posteggiate. C'era un'aria di festa. Io camminavo contenta, contenta del posto ma anche di poter essere scambiata per "ispanica". Il mio amico, invece, che è uno wasp stampato,si è passato dieci brutti minuti a ricevere e sfuggire occhiatacce da tutte le parti.Il caseggiato di Alessia è grande e squallido, di quello squallore che proviene dalla sporcizia,dai muri scrostati e dalla poca luce. Nell'ascensore troviamo sacchi di spazzatura; su un pianerottolo c'è un frigo abbandonato. Alessia saluta una donna nera dall'età indefinibile, fatta di crack. Infine arriviamo nella sua stanza, in un appartamento con altre tre persone. Dalla scala antincendio che passa fuori dalla sua finestra (e che infatti andrebbe bloccata con un inferriata mobile ogni volta che si lascia la casa) si può comodamente fumare una sigaretta mentre sotto, in strada, i bambini stanno appollaiati sulle macchine, o mentre degli uomini si mettono a litigare spaccando bottiglie di vetro.
- Qui sono tutti neri o ispanici. Gira tanto crack. I bianchi, è vero, risaltano - dice Alessia - però non è pericoloso, assolutamente. - Si sentono delle urla provenire da una strada laterale. - Certo se sei bianco non sono molto gentili-. Penso all'incontro di poco prima in ascensore con una donna sudamericana e bambina. Alessia saluta calorosamente, la donna non risponde. Alessia dice qualcosa alla donna, questa fa finta di niente. Alla fine le due escono dall'ascensore: - Bye - grida Alessia, - Bye - rispondono infine.
- Io saluto sempre, hi e bye, hi e bye, giorno dopo giorno,goccia dopo goccia. Alla fine si sbloccano - asserisce fiduciosa. - Oppure uno di questi giorni mi beccherò una pallottola a furia di hi e bye - aggiunge ridendo, ma si vede che non ci crede. Non so se avete capito che Alessia è una pazza fenomenale.


To be or not to be?

Notte ad Harlem, 146esima strada, musica e casino, urla, liti, arriva la polizia. Il tipo urla qualcosa, forse abbozzi di giustificazioni, il poliziotto gli urla di rimando : - Non me ne frega un cazzo di quello che dici. Questa è New York! -
Mattina: battello che sta tornando dalla Statua della Libertà e fa tappa a un'isola prima di tornare nel porto in città. Lo speaker annuncia: - Siamo arrivati a Connie Island. Prossima fermata New York. Questa è Connie Island. Questa NON è New York! -
Grazie, non avevamo notato i grattacieli all'orizzonte. Per gli americani, la stupidità è scontata quanto i McDonald's.


Puzzle(d)

Broadway Avenue, centotreesima strada: una donna di mezza età con un lungo cappotto e tre bambini tenuti per mano come un fascio di guinzagli indugia davanti all'ingresso delle scale per la metropolitana; un uomo di colore a un metro da lei sta spazzando un rettangolo di marciapiede con colpi secchi e veloci.
- Scusi, sa dirmi l'ora per favore? - fa lei con voce piagnucolosa, i bambini che la tirano, il viso, anche quello, tirato, dei pacchetti e delle borse che le pendono dall'altra mano bianca e affusolata ingoffendola. Il tipo continua a spazzare il rettangolo senza sollevare la testa, con l'accanimento serafico dello zelo. - Scusi - continua lei con voce ancora più piagnucolosa, viso imbronciato, - Sa dirmi l'ora per favore? -
Passano secondi a suon di spazzolate, io m'intrufolo in quel mentre nella metropolitana e faccio scivolare verso la donna un - Sono le sette e mezzo -
- Grazie - dice lei con voce assente, stupefatta.
Il tipo solleva appena la testa, - Ho da fare - bofonchia, continuando a spazzare una mattonella più in là.


A spasso con Tina…

Sono dappertutto: nella city, nelle vie commerciali, nel "village", nella parte centrale e nord di Manhattan. Sono invisibili: si confondono tra la folla, i passanti, i turisti, e se li distingui non è tanto per l'aspetto trasandato (a volte) o per il colore scuro della pelle (spesso) ma perché rallentano il ritmo vertiginoso newyorkese col loro appostarsi indolente o con la loro camminata indolenzita. Sono gli spigolatori(trici) di spiccioli, li raccolgono dai passanti che indugiano, dai turisti distratti, dalle facce rilassate, da chiunque non abbia messo in quel momento la maschera dura del - C'io da fare! - Sono senzatetto, ma più che altro senza lavoro, senza orario, senza luogo, senza pudore, a metà fra il tradizionale barbone e l'artista di strada, dotati di intuito femminile e di vista da falco, e di un repertorio ampio e flessibile. In questo senso, del resto, s'inseriscono bene nelle bande fluttuanti della new economy.
C'è quello che ti affianca perché sei in coppia, e mentre mangia tranquillo la sua minestrina dentro una vaschetta di plastica gioca di rimbalzo fra l'uomo e la donna della coppia, ripassando anche per le vie sicure del - Non rubo e non mi drogo, chiedo solo un piccolo aiuto -, e intanto cammina insieme a te lungo la strada. Alcuni sembrano intenzionati a farsi dei chilometri al tuo fianco, specie se le vie non sono affollate ed ignorarli mimetizzandosi nella mischia è più difficile.
Altri sviluppano tecniche più raffinate. Tina Turner ad esempio, la prima volta che l'ho incontrata stava davanti al Kentucky Fried Chicken vicino al mio albergo. Io avevo indugiato davanti alla porta a guardare i prezzi e le foto del pollo strizzato dentro il panino, quando ho fatto per entrare, e lei, con uno scatto, mi ha aperto la porta sorridendomi un -Scusa, ma non sapevo se saresti entrata o no -. Io lì per lì sono rimasta un po' spiazzata e solo all'uscita, quando mi ha riaperto la porta, ho capito che lei stava lì, ad aprire e chiudere la porta ai vari clienti. Inutile dire che mi sono sentita obbligata a darle qualcosa, in fondo non stava forse svolgendo una prestazione?
La seconda volta che l'ho incontrata stavo tornando la notte con un amico, e lei, individuatami dall'altra parte dell'avenue, si è buttata attraverso la strada, mi ha affiancato con le sue treccine e il suo piercing all'altezza delle mie spalle, e si è messa a cantare a squarciagola "What love has to do with it". Per un attimo ho pure avuto l'illusione che volesse solo una compagna di canti, poi la solita frase, - Se mi puoi aiutare - seguito da un - Grazie sorella - dopo aver ricevuto l'obolo.
- Di niente, Tina. -
Molto più inquietante è il tipo che vediamo sempre alla stessa fermata della metro, nei sotterranei, proprio sullo stesso binario. Sta lì sempre, un gigante di due metri quadrati, di sesso indefinibile, colore nero, occhiali, berretto, coperte buttate addosso a mo' di poncho a coprire l'infinita circonferenza, caviglie come tronchi dentro le scarpe sfasciate. Se ne sta presso alcuni sedili in un angolo a cui nessuno si avvicina, quei sedili e vari sacchetti di plastica essendo la sua casa. A volte sta seduto immobile, altre volte sta in piedi e scruta l'orizzonte dei passeggeri in attesa sul binario, poi si posiziona davanti a uno dei sedili, prende la mira e con immensa fatica si siede, per sempre.


Happy Upper Middle Class

New York è una città di quartieri, in cui la domenica mattina ci si gode il proprio quartiere. Se si scende verso il "village" la parte yuppy e hippy, le due cose essendo molto più vicine di quanto di solito non si creda, esistono strade alberate fra le tipiche abitazioni in mattoni rossobruciato e le finestre lunghe e strette, in cui il sole risplende sulle macchine posteggiate, si sentono gli uccellini, e le ragazze escono a portare a spasso il cane, con solo una maglietta quando tu ancora ti chiuderesti nella giaccavento. Cani e padroni (o padroncine) gironzolano, giochicchiano, s'incontrano e davvero il numero di persone a spasso coi cani, spesso cani non loro, è ragguardevole. Ognuno con guinzaglio, cellulare, e busta di plastica, naturalmente, perché New York è una città pulita.


Il buongiorno si vede…

Ore 9 di mattina, metropolitana di New York. Du-dum, du-dum, du-dum… nel lungo tragitto che da nord dell'isola di Manhattan procede verso la city la cadenza della metro e la sua luce bianca ipnotizzano i passeggeri nell'immobilità marmorea delle statue. Solo una donna si muove: sta finendo di mangiare una brioche avendo cura di spolverarsi continuamente il completo nero, da ufficio. Poi tira fuori dalla borsetta uno specchietto e un lucidalabbra; se lo dà con piccoli tocchi, mentre, seduta di fronte a lei, un'altra donna la osserva senza guardarla, gli occhi indifferenti assorbiti da un punto sopra la sua testa.
Dopo il rossetto la donna prende il mascara, che si dà a scatti veloci, sfiorando l'occhio con precisione chirurgica; quindi lo ripone nella borsetta, si aggiusta con una mano la pettinatura, l'altra sempre davanti al viso a tenere lo specchio, rimette infine anche questo nella borsa, si tira la giacca in avanti con un colpo secco delle mani, rinfila queste nella borsa, estrae una bustina di plastica, uno di quei campioncini di crema che ti regalano in profumeria, ma già aperta e apparentemente vuota, e premendo con le dita i due lati appuntiti in modo da aprirlo a imbuto ci infila il naso e fa un lungo tiro sonoro. Per un attimo tutti le lanciano uno sguardo, poi ripiombano nelle loro facce impassibili. Ha inizio la giornata.


Carola Frediani

Lettere pittsburghesi

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Indice
Prefazione

1. 2. 3. 4. 5. 6.
7. 8. 9.10. 11.
12. 13. 14. 15.
16. 17. 18. 19.
20. 21. 22. 23.
24. 25. 26. 27.
28. 29. 30. 31.



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