Messaggi dal Nuovo Mondo


Sono seduta alla fermata dell'autobus. È sera tardi, ma gruppi di studentelli universitari (che qui sembrano veramente ginnasiali) schiamazzano in corse e gridolini, immuni al freddo dentro le loro magliette a strisce. Portano pantaloni larghi e bassi, così bassi che mi chiedo come facciano a non inciamparsi nel cavallo; magliette a strati; i ragazzi berrettini a visiera, le ragazze piercing. Insomma tutto quello che qui è mero conformismo americano e che a casa nostra ancora si spaccia per 'arternativo'.
Ad ogni modo, io me ne sto a questa fermata, sola, nella zona universitaria, quando si siede sulla panca un ragazzetto afroamericano e mi chiede l'ora. Io gli rispondo senza guardarlo negli occhi, perché la mia socievolezza è inversamente proporzionale all'ora e all'oscurità, e anche se il ragazzo dimostrava solo 18 anni mi sembrava che avesse bevuto. E poi, chiamatelo pure intuito, ma ci avrei giurato che quella non sarebbe stata la sua prima e ultima domanda.
E infatti questo parte a raffica, per niente scoraggiato dalle mie risposte lapidarie: ma sei croata? russa? ucraina? finché alla fine ci ha dato e non ho potuto negare questo bit di informazione sul mio conto, voglio dire, italiana. Bene: e italiana di dove? Roma? Venezia? E il suo procedimento era lo stesso che uso io per far parlare i miei studenti, le domande a scelta obbligata, o è sì o è no, anche se io continuavo crudelmente a fissare la strada in cui sarebbe dovuta apparire la mia salvezza.
Ma lui, dopo aver individuato e situato la mia provenienza nella città di Colombo, scodella una rassegna di personaggi italiani che mi lascia più ammutolita di prima: passino Cavour, Toscanini, Puccini e compagnia bella, ma Vittorio Emanuele Orlando, dico Vittorio Emanuele Orlando, che non sono sicura nemmeno io del suo nome e della sua esistenza! Quando ha nominato Foscolo sono saltata sulla panca, ma il colpo di fioretto è stato quando, citando il fascismo e Mussolini e il re, mi infila pure Farinacci. Farinacci? Ma si può sapere questo diciottenne afroamericano di Pittsburgh in maglietta Nike e bicchiere di Pepsi in mano, e che vive in Friendship, un quartiere popolare nero, nel 1999, come diavolo conosce anche solo il nome di Farinacci?
Non posso resistere e controbatto: ma com'è che sai tutte queste cose? Le hai studiate a scuola? A scuola? Si mette a ridere, nooo. Hai origini italiane? Gli chiedo io soffocando un sottile senso di ridicolo per l'improbabilità della domanda. Noooo, mi dice lui vittorioso, io sono un po' italiano, un po' tedesco, un po' americano, io sono un po' di tutto. Capito? in (inconsapevole?) vendetta, ora che io mi struggevo di curiosità lui diventava più impermeabile di un'ostrica. Ci sei mai stata in Sicilia? Mi chiede. Purtroppo no. Eh, dovresti andarci. Ma in quel momento arriva il mio autobus. L'Italia ha una grande cultura, non dovrebbe farsi contaminare dall'America, mi viatica negli ultimi secondi. Io lo saluto calorosamente da dentro il bus, lui seduto ancora alla fermata. Mi resta un senso di mistero e l'impressione di dare troppe cose per scontate. O forse è stato un messaggio?


Carola Frediani

Lettere pittsburghesi

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Indice
Prefazione

1. 2. 3. 4. 5. 6.
7. 8. 9.10. 11.
12. 13. 14. 15.
16. 17. 18. 19.
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