Fine di pontificato: 1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Dissensi tra comandanti

«Questo esercito», scriveva Francesco Barberini a Taddeo  alla fine di marzo del 1643, «ha bisogno d’un capo, sia Vostra Eccellenza, o un Maestro di Campo generale, sia il Baly di Valenzé o altri».[1] Il problema non era però di facile soluzione e non tanto per la mancanza di buoni soldati, quanto perché in una guerra in cui i monsignori contavano più dei militari anche l’assegnazione dei comandi e la distribuzione degli effettivi e dei denari, in definitiva l’andamento delle operazioni, seguiva logiche di Curia. L’inconsistente personalità di Taddeo, capo naturale dell’esercito pontificio, aggiungeva qualche difficoltà in più esponendolo senza costrutto a ogni sorta di brutte figure e facendolo oggetto di irriverenti giudizi e di palesi prevaricazioni da parte dei suoi collaboratori o subordinati. [2] Federico Imperiale, militare di buona fama, «chiamato per mezzo di mons. suo fratello Chierico di Camera» [3] e per ordine di Antonio inviato sul fronte di Perugia ad affiancare i fratelli nello sforzo di contenere la pressione dei Toscani, parve per un po’ il soggetto adatto al ruolo che Francesco Barberini giudicava, a ragione, indispensabile coprire. Ma proprio con Francesco sorse il contrasto che avrebbe indotto alla fine l’Imperiale ad abbandonare il comando e a tornarsene a Genova.

«La cagione di così subita e inaspettata partenza», scrive il Capriata, «fu giudicata la disparità de’ genii fra il Cardinale ed esso regnante: essendo il Cardinale di natura ardente e l’Imperiale, ancorché non men d’esso fervente, ad ogni modo colla maestria militare e col non essere da tanti stimoli quanto il Cardinale componto, era più di esso atto al moderarsi».[4]

La verità è che neppure Francesco voleva davvero un capo. Semplicemente, con l’aiuto dell’Imperiale, contava di ripetere contro i Toscani i successi - non strepitosi, ma assai apprezzati dal Papa - ottenuti da Antonio e dal Valençay sul fronte veneto-emiliano. In più, sapendo di non poter respingere le proposte di pace di cui era portatore dalla Francia il Cardinale Bichi, voleva che questi successi si verificassero subito e cioè prima che le trattative di pace procedessero troppo oltre. Non li ottenne né con l’Imperiale, che rifiutava di subordinare le ragioni e i tempi della guerra a quelli della diplomazia, né col Mattei, che prese il posto dell’Imperiale senza però dimostrarsi più di lui capace di far miracoli.
D’altra parte l’arrivo dell’Imperiale non aveva fatto che esasperare quel viluppo di gelosie e di rivalità tra alti ufficiali, militari e amministrativi, che, alimentato anche dalla confusione delle gerarchie e dalla sovrapposizione delle competenze, minacciava di paralizzare l’azione dei papalini. Sentendosi scavalcato dall’Imperiale, Luigi Mattei aveva sdegnosamente abbandonato il campo e solo a fatica era stato convinto a farvi ritorno. Nel frattempo aveva litigato con il Cardinale Antonio e non smetteva di minacciare di «andar a prender servitio fori d’Italia non volendo (come lui dice) esser più coglionato da preti».[5] Non diverso il comportamento del duca Savelli, che pure cercava di argomentare il suo scontento:

«Son hoggi stato a vedere il Signor duca Savelli», scriveva Rapaccioli il 23 settembre 1643, «che trovasi aspramente travagliato da suoi dolori di stomaco e mi ha costantemente detto che quando anche stasse bene non può tornar con sua riputazione a quel campo che doppo l’arrivo del Mastro di Campo generale ha fatto sempre il contrario di quel che ha detto lui e conta cinque o sei cose fatte contro il suo parere e doppo che seco si era restato di non le fare [...]. V’aggiunge non potersi pratticare che un campo habbia il Generale, il Tenente generale e il Mastro di Campo generale e che tocca sempre l’andarvi di mezzo al Tenente».[6]

Rivalità e colleganze al campo ripetevano le divisioni dei partiti in Curia. Era il caso dell’antagonismo tra Cornelio Malvasia, comandante della cavalleria, protetto di Sacchetti, e Luigi Mattei, protetto del Cardinale dello stesso nome, nemico di Sacchetti. Ma era il caso, anche, del conflitto tra Luigi Mattei e il Cardinale Antonio o di quello tra Cornelio Malvasia e il principe Taddeo. Il più importante di tutti - non solo per il rango degli interessati, ma per le divergenze politiche che vi si esprimevano - era quello tra i fratelli Barberini, Antonio da una parte, Francesco e Taddeo dall’altra, inasprito dal fatto che il primo stava crescendo nella considerazione di Urbano e gli altri due calando.
Ad Antonio Francesco rimproverava l’inutile agitarsi, le spese eccessive, anche e soprattutto quelle personali, e tendeva ad addossargli la responsabilità di gran parte del disordine esistente nei conti della guerra:

«parlò nella sua partenza di non voler più di tre mila scudi il mese», si lamentava con Taddeo il 24 gennaio del ‘43, «e quando usciva in campagna cinque mila. A conto dei tre mila si contentava di 1500 delle rendite delle Legationi. Adesso il suo Maestro di Casa vuol ch’il mese del viaggio siano 5000 e che la Camera pensi a riscuotersi i 1500 quali dipendono dalla gratia o giustitia del legato e così veda come la povera Camera possa riscuoterli [...]. Io non so che mi dire. Ci è chi stima meglio l’offendere, chi sta sulla difesa, chi haver molta gente, chi puoca ma buona, però ogni libro dice che il denaro è il nervo della guerra et l’economia e l’ordine nello spenderlo. Sua Eminenza dice che le spese fuori delle sue private passano per mano di Vostra Eccellenza, [...] intanto senza che si vedano lettere di Vostra Eccellenza si spediscono corrieri non per altro che per dimandar denari et delle patenti si pubblicano quando non si sa che genti si habbino o almeno non si mandano i conti. Sia ringratiato Dio che hanno eletto un buon Collaterale».[7]

Il problema però, dal punto di vista di Antonio, non era di far economie sulle spese di casa. Era, semmai, di non farle sulle spese di guerra, come invece Francesco, frastornato da un turbine di conti da pagare, ma anche da sempre poco convinto che i problemi si potessero risolvere con le armi, sembrava propenso a fare.




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[1] BAV, Barb.lat. 8816, c. 77r, Francesco a Taddeo, 28 marzo 1643. Francesco tornava a parlarne a Taddeo nell’agosto 1643: BAV, Barb.lat.8817, cc. 58-62, 80-81, 85-86.

[2] Poco convinto del carisma del fratello, il Card. Francesco gli aveva sin dall'inizio affiancato un suo uomo di fiducia, Malatesta Albani, perché lo aiutasse a sostenere con dignità il ruolo di comandante supremo. Nel settembre del '41 scriveva a Malatesta: «Torno a dire a Vostra Signoria che nelle risolutioni militari di gratia faccino capo al Sig. Prefetto et a lui dimandino quello che devono dimandare come a Generale di Santa Chiesa e non li faccino innovationi senza dargliene la dovuta parte. Ma di gratia egli non sappia che io scrivo questi ricordi perché Vostra Signoria conosce la sua modestia» (BAV, Barb. lat. 7369, c. 10r). La preoccupazione di nascondere a Taddeo la scarsa considerazione in cui era tenuto quale condottiero era generale. Il Buratti, nell'agosto del '42, quando a Taddeo era stato mandato, in vista dell'imminente possibile conflitto, Paolo Frenfanelli, ad evitare che il Prefetto immaginasse che il compito assegnatogli fosse - come in effetti era - di «coadiuvare a la sua diretione», ossia di esautorarlo se se ne fosse presentata la necessità, consigliava una Eminenza - credo il Card. Antonio - di rassicurarlo in proposito con un biglietto. Andrea Nicoletti (IX, c. 606r) con la sua consueta garbata cautela scrive che «Il Principe Prefetto [era] soverchiamente mite» e, nel tentativo di sminuirne le responsabilità, aggiunge che era in tutto «governato dal Maestro di Campo Federico Imperiale». Il guaio è che non si trattava solo di Federico Imperiale. Cornelio Malvasia, ad esempio, pare che ignorasse che il Principe era, dopo tutto, un suo superiore. Il Card. Francesco scrivendone a Taddeo lo invitava a una maggiore fermezza, almeno per salvare le forme: «mi rallegro [...del]l’attenzione con la quale Vostra Eccellenza sta al tutto, compatendola per le bizarrie de i soldati; et in vero mi pare che Vostra Eccellenza habbia havuto una gran patienza con il Signor Malvasia, del quale son molto scandalizato. Vostra Eccellenza non si lasci perdere il rispetto [...]. Non dico che Vostra Eccellenza non habbia fatto atto prudente a condonare qualcosa alla passione et alla natura collerica, ma è d’avvertire che né meno l’indulgenza sia soverchia» (BAV, Barb.lat. 8820, cc.51v-52r, Francesco a Taddeo, 9 ottobre 1643).

[3] Della Torre Historie,II, p. 840. Lorenzo Imperiale, chierico della Camera e futuro cardinale, era stato vicelegato di Bologna nel 1639-40 (sue lettere in BAV, Barb.lat. 8982), governatore di Fano nel 1640-42 (BAV, Barb.lat. 9029, cc. 56-92), governatore di Ascoli nel 1642-43 (BAV, Barb.lat. 8964, cc. 73-88), vicelegato di Ferrara tra il giugno e l’ottobre del 1643 (BAV, Barb.lat. 9041, cc.1-76) e, negli ultimi mesi della guerra di Castro, governatore e commissario delle armi a Viterbo (BAV, Barb.lat. 9247 e 9248).

[4] Capriata, Historia, 1663, p. 185 (sull’Imperiale pp. 174, 178, 182 sgg). Nicoletti, IX, c. 606r: «havendo conosciuto che l’Imperiali riusciva troppo languido nelle operationi e più tosto atto a consigli che all’essecutione, [il Cardinale Francesco] havea seco condotto il marchese Luigi Mattei». Era la tesi ufficiale di Palazzo, formulata, tra gli altri, dal Morone, c. 34v), che s’ingegnava di costruire una improbabile fama di condottiero per Francesco (così come, in altre circostanze, aveva cercato, in mancanza di meglio, di allontanare da Taddeo le accuse di codardia e inerzia). Sullo scontro tra Francesco Barberini e Federico Imperiale cfr. anche Brusoni 1661, p. 408 (che sbaglia il nome dell’Imperiale) e soprattutto Della Torre Historie, II, pp. 840-849, che si valeva della testimonianza di «persona intelligente del mestier militare che era sul fatto, appresso di me dignissimo d’ogni fede»: non escludo che potesse trattarsi di Tobia Pallavicini, che era al campo con l’Imperiale e che ebbe anche modo di scontrarsi con lui.

[5] BAV, Barb. lat. 8820, c. 49, copia di lettera di Antonio a Francesco Barberini, Bologna, 5 ottobre 1643. La corrispondenza di Luigi Mattei con i Barberini tra il 1641 e il 1644 è in BAV, Barb.lat. 9655. Cfr. sulla rivalità tra l’Imperiale e Luigi Mattei Nicoletti, IX, cc. 588, 606. Dello scambio di accuse tra il Mattei e il Della Marra ho già detto. Sulle gelosie tra Mattei e Valençay vedi la testimonianza resa da Girolamo Romiti, un ufficiale dell’esercito ecclesiastico, a Vittorio Siri per il Mercurio in BPP, CS, cas. 143. Ma delle gare e dei litigi tra comandanti e tra responsabili militari e amministrativi sono piene le corrispondenze del tempo: quelle dei fratelli Barberini (BAV, Barb. lat. 8815-8821), del legato Rapaccioli  (BAV, Barb. lat. 8743-8744), di Malatesta Albani (BAV, Barb. lat. 7369-40), ecc.

[6] BAV, Barb.lat. 8744, c. 153.

[7] BAV, Barb.lat. 8816, cc. 31-32.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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