Ritorno in armi: 3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

Una questione privata

Il cardinale Girolamo Grimaldi, che era stato il principale organizzatore della fuga dei Barberini fu anche, dopo la fuga, il loro principale agente in Roma. Tra le sue mansioni c’era naturalmente quella di informare Francesco sulla vita di Palazzo, a cominciare dalle reazioni alla «prudentissima e laudatissima risolutione» dei Barberini di lasciare Roma. La sua prima comunicazione è del 20 gennaio e, poiché a Roma non si sapeva ancora nulla della sorte toccata ai fuggitivi, la lettera era indirizzata a Genova, dove i Barberini avrebbero dovuto fare tappa se una tempesta non li avesse sospinti addirittura in Provenza.
A Palazzo, raccontava Grimaldi, alla notizia della fuga, sulle prime, erano rimasti allibiti. Il Papa «esagerò d’esser mal servito» e aveva minacciato di cacciare il Governatore di Roma, Gio Girolamo Lomellini. Ma non se ne era fatto nulla ed anzi

«si è poi cominciato a dir che Sua Santità poteva impedir e far ritener Vostra Eminenza, che non lo volse fare e che non habbia disgusto di questa risolutione, onde si argomenta che sia per usar moderatione. Ben presto se ne chiariremo».

Una settimana più tardi Grimaldi aveva ancora l’impressione che il Papa volesse seguire una linea di moderazione «conoscendo hormai in qual’impegno ha posto se stesso e la Francia». Anche sulla faccenda della revisione dei conti sembrava voler fare qualche passo indietro; gli aveva detto infatti «che si era posta troppa carne al fuocho». In effetti, mentre «i nemici et i spagnolizzanti» andavano strepitando in Palazzo «che bisogna citar i Signori cardinali Barberini e privarli del capello figurandosi ridicolosamente di escluderli dal futuro conclave», dal Papa continuavano a venire (ma in lui non era una novità) segnali contraddittori. Per esempio, con stupore di tutti e con aperta indignazione dei Medici, non solo aveva fatto finta di ignorare il ruolo svolto dal cardinale Grimaldi in quanto era avvenuto, ma non aveva neppure sollevato difficoltà al rientro in Roma di Francesco Grimaldi, fratello del cardinale, che aveva partecipato personalmente alla fuga e ne era ritenuto il più diretto responsabile.[1]
Ancora il 3 febbraio Grimaldi tornava a esprimere un certo ottimismo. Che i Barberini avessero portato in Francia i figli di Taddeo era stato interpretato da Innocenzo come una grave offesa, un tentativo di diffamarlo di fronte al mondo.[2] Il Papa se ne mostrava comprensibilmente irritato, ma

«nel resto», scriveva Grimaldi, «io mi sono confermato nel credere che Sua Santità havesse cara la partenza di Vostra Eminenza e dell’Eccellentissimo Prefetto et io dissi questa mia opinione al Papa per provar che non haveva occasione di interpretar male la fuga del Principe».[3]

Grimaldi però si sbagliava. A Roma l'atmosfera si faceva sempre più minacciosa. La pubblicistica antibarberiniana, che aveva avuto largo modo di esercitarsi ai tempi della guerra dei Principi contro Roma e poi, alla morte di Urbano, in Roma stessa, aveva trovato nelle clamorose fughe prima di Antonio e poi di Francesco e Taddeo magnifiche occasioni per scatenarsi di nuovo col favore delle autorità. Dal palazzo del Principe Ludovisi pare che fosse uscito nel novembre uno dei più violenti libelli della serie, la Malconsigliata fuga del Cardinale Antonio, a cui avrebbe duramente risposto, per conto di Mazzarino e dei Barberini e sulla scorta di una pericolosa documentazione di prima mano, Raffaele Della Torre. Sempre in ambienti vicini alla Corte stava maturando la Giusta statera de’ Porporati, una sorta di “satira” volgare e maldicente, ma ben costruita e bene informata, che, apparsa nel maggio del ’46, avrebbe avuto larga fortuna e innumerevoli rifacimenti, alimentando però sentimenti genericamente antiromaneschi più che specificamente antibarberiniani e cioè ritorcendosi alla lunga contro la stessa Corte pontificia e contro l’intero Sacro Collegio.[4]
Anna Colonna, la moglie di Taddeo, che era rimasta sola in Roma a far fronte ai nemici della Casa,  protetta dal suo stesso nome, ma, in verità, da non molto più che questo, aveva dovuto esercitare tutta la sua energia per bloccare «le pratiche che si facevano in Campidoglio da alcuni» contro i beni di Taddeo «per applauder a sentimenti del Palazzo» [5]; pratiche sostenute da moti di piazza, a detta di Alvise Contarini, provocati ad arte:

«In Campidoglio si è fatto studiosamente venir il popolo in gran numero avanti il Magistrato offerendosi di farli levar in nome di Sua Santità una delle gabelle poste da papa Urbano. Molti hanno gridato che si levi quella della farina e l’impegno che ne ha fatto il medesimo Urbano sii riscosso sopra le faccoltà de Barberini. Donna Anna, moglie di Don Tadeo, ha fatto capitar avanti il sudetto Magistrato un Avocato acciò sian sentite le sue ragioni. È nato quasi un tumulto contro di lei, che è stato procurato di placare dal cardinale Collona frattello, scusando che come donna non habbi bene consigliate le cose sue».[6]

«Qui si procura di ressuscitar i morti perché combattino la Casa Barberina» doveva ormai riconoscere Girolamo Grimaldi: «il duca Savelli parla temerariamente. I Signori Orsini non si comportano come dovrebbero, ma il timor d’esser rovinati dal Papa mediante i debiti che hanno li può in parte render men colpevoli».[7]
A Roma le fortune dei Barberini andavano di conserva con l’opinione che si aveva a Palazzo della stabilità del governo di Mazzarino in Francia e cioè di male in peggio. Qui, scriveva ancora Grimaldi «si lasciano persuadere che il Signor cardinale Mazzarino stia pocho sicuro nel posto che sta et in fine che la Francia non permetterà si passi oltre nelle rotture con la Corte romana per gl’interessi d’una Casa privata».[8] Il Papa, confermava all’inizio di aprile, quando i preparativi per la spedizione contro Orbetello erano già in fase avanzata,

«vien assicurato da soliti suoi consiglieri e corrispondenti che la Francia non risolverà mai di violentarlo, né di rompere seco, come dobbiamo tutti procurare, ma che non si premerà più che tanto negli interessi loro [dei Barberini], onde non sarebbe forse inutile far inserire nelle propositioni in Munster per le soddisfattioni della Corona di Francia [il] ristabilimento de Signori Barberini»[9].

Che la questione dei Barberini potesse finire al tavolo della pace era un’ipotesi molto fastidiosa per Innocenzo. «Non sa come voglino in Francia che l’accomodamento de Barberini debbi andar a Munster», disse nell’agosto quando quell’ipotesi sembrava prossima a realizzarsi. «Non haver che fare un negotio con l’altro: l’uno essere publico, l’altro privato e questo cominciato molto doppo».[10] In verità tra i primi a fare una gran confusione tra pubblico e privato, anche in relazione ai peculiari confini che quei termini stavano allora a definire, era stato proprio Innocenzo. «Insomma, questi disgusti son nati finalmente da private passioni!», aveva detto Panciroli nel giugno del ‘45 ad Angelo Contarini. «Forse in Francia non si stimano affetti privati...», aveva replicato Contarini.[11]
Ricondurre il problema a una dimensione meramente personale, familiare e privata era naturalmente un espediente dialettico. È difficile però sfuggire all’impressione che Innocenzo e i suoi più vicini collaboratori fossero davvero incapaci di percepire gli eventi del loro tempo se non riportandoli alle dinamiche di quel mondo curiale e romanesco in cui vivevano pigramente e stizzosamente immersi. In questo mondo anche il conflitto tra Francia e Spagna poteva scadere (o elevarsi, a seconda dei gusti) al livello di una sanguinosa ripicca tra cardinali.




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[1] BAV, Barb.lat. 8723, Lettere di Girolamo Grimaldi a Francesco Barberini, cc. 37, 47-48, 49, 20 e 29 gennaio e 3 febbraio 1646. All’arrivo di Francesco Grimaldi a Roma il Papa si era limitato a mandare al cardinale «un’ambasciata mista» (come la definiva Grimaldi, e cioè un avvertimento a mezza via tra l’amichevole e il minaccioso) per dirgli che «subito gionto [Francesco] il populo prese ammiratione che però confidando nella mia prudenza ha voluto farmene avvisato». Quanto ai Medici, come riferiva lo stesso Grimaldi l’11 marzo, «il Granduca parlando di mio fratello con alcuni gentilhuomini genovesi in Livorno gli disse che si meravigliava del Papa che lo soffrisse perché lui non comportarebbe questa licenza nel suo Stato, né crede che si sarebbe tollerato in Genova» (ivi, c. 66). «Non potrebbe immaginarsi», scriveva ancora a Francesco Barberini due settimane più tardi, «quanto habbi dato fastidio a gl’emuli maggiori di Vostra Eminenza il ritorno qui di mio fratello» (ivi, cc. 68-69).

[2] Non era solo il Papa a intenderla così. Alvise Contarini aveva subito giudicato «grand’artificio il condur via li figlioli per voler dare ad intendere al mondo che temevano non solo di se stessi, ma delle proprie creature innocenti» (ASVe, DAS, Roma 123, 180v, Alvise Contarini, 20 gennaio 1646).

[3] BAV, Barb.lat. 8723, c. 50r.

[4]  Sulla Giusta statera vedi l'appendice che le è dedicata. Che la Malconsigliata uscisse dal palazzo del Principe Ludovisi è detto da Linage 1678, p. 69. Sul Della Torre e la sua Fuga del cardinal Antonio male interpretata e peggio caluniata, Perugia [ma stampata in Francia], 1646, in risposta alla Malconsigliata vedi Marinelli  1995. Tra le scritture dedicate alla fuga dei Barberini ricordo G.B. Piacente, Discorso politico di G.B.P. sopra la fuga da Roma de Barberini nel 1645, (inc: “Gl'accidenti della vita humana…”). Fuggendo da Roma sia Antonio, sia Francesco avevano diffuso una serie di lettere giustificatorie dirette al Papa o a diversi membri della Corte e del Sacro Collegio. Di quelle di Antonio ho fatto cenno a suo luogo. Tra quelle di Francesco c’è una Lettera lasciata dal Sig. Cardinale Barberino per il Sig. Cardinale Grimaldi da communicarsi a Cardinali suoi amorevoli (incipit: “Ne' tempi di bisogno...”) che leggo in BAV, Chigi O.I.7 c.295 (ma ne esistono altrove diverse copie) dove c’è anche, a cc. 323-334, la Risposta alla lettera lasciata al Sacro Collegio dal Sig. Cardinale Barberino nella sua partenza seguita a gli 16 Gennaro 1646 (incipit: “La carta di V.E. con la quale ha pensato colorando...”), datata 28 gennaio 1646, che respingeva il tentativo di Francesco di distinguere le responsabilità del Papa (e dei suoi familiari) da quelle dei suoi cattivi consiglieri, nemici di Casa Barberini, che lo raggiravano («Non sa V.E. che il personaggio nacque fra di noi e fra di noi visse sino agli anni canuti? » e se “i malevoli” non sono il Papa e i suoi familiari «quali saranno per cortesia? ») e la Risposta suppositiva del Cardinale N. alla lettera lasciata dal Sig. Cardinale Barberino al Sacro Collegio nella sua partenza di Roma con le osservazioni a tutti li paragrafi fatte da Monsieur di Largim (incipit: “La vicissitudine delle cose...”) in confutazione della precedente e cioè in difesa dei Barberini. Molto materiale relativo alle fughe dei Barberini, in BAV, Arch.Barb., Indice IV, 220: tra le altre scritture le Considerationi sopra la bolla fatta per l’assenza de’ Signori cardinali dallo Stato Ecclesiastico (incipit: “Questa bolla è uscita in conformità dell’instanza fatta da’ Spagnuoli con una scrittura che comincia: Contro li cardinali assenti et ha per fine d’escludere li cardinali Barberini dal futuro conclave...”) e il Discorso fatto alla S.M. di Papa Innocentio X a favore de’ Signori Barberini (incipit: “Non ha il discorso humano...”), nel quale, prima ancora di affrontare sulla base delle norme e dei precedenti il tema della liceità della partenza dei cardinali da Roma senza l’autorizzazione del Papa, si giustifica la fuga dei Barberini con l’allarme in essi suscitato dal ripetersi di atti persecutori nei confronti di Antonio e dei suoi familiari (l’arresto dell’abate Braccesi vi è espressamente richiamato) e dagli ingiusti favori fatti ai nemici della Casa. ASM, SC, 125, è un codice tutto dedicato a scritture relative alla fuga dei Barberini

[5] BAV, Barb.lat., 8723, c 55, Girolamo Grimaldi a Francesco Barberini, 16 febbraio 1646. «La Signora Anna», aveva scritto il 3 febbraio, «merita di esser una regina. Io assisto ad ogni suo comando, ma il suo valor, virtù e prudenza si dimostrano in quest’occasioni superiori al sesso» (ivi, c. 50). Sull’episodio cfr. Ciampi, pp. 106-107 e Pastor, XIV, I, p. 44. «Donna Anna», avrebbe raccontato il Papa all’abate di Saint Nicolas, «ha fatto qui la povera con mostrar alla presenza de fratti, mangiando in piati di terra con semplice tovagliolo, di essere ridotta in miseria e pure si sa che ha in casa 200 barilli d’argento e che nel partire ha dispensato gioie e denari in gran quantità» (ASVe, DAS, Roma 124, c. 16r, Alvise Contarini, 16 giugno 1646. L’invettiva del Papa contro i Barberini e Donna Anna anche in Siri, Mercurio, VII, 1667, I, pp. 208-211).

[6] ASVe, DAS, Roma 123, c. 221v, 24 febbraio 1646; cfr. Gigli, pp. 276-277. Copia del memoriale di Anna ai Conservatori (incipit: “Non si devono sprezzare gli avvisi...”) e di altre carte relative allo stesso episodio (tra cui la Proposta […] dopo la fuga de SS.ri Barberini, incipit: “Lor Signori sanno quanto è aggravato…”) in BAR, ms. 1653, I, cc. 101-104, BAV, Barb.lat., 3206, cc. 312 sgg. e BAV, Chig. O.I.7 cc. 351 sgg.; qui in particolare, a cc. 380-402, la violenta Risposta dell’Ill.mo Mons. Cesarini alla supplica della Signora D. Anna Colonna... (incipit: “Il giubilo che sentì questa città...”). Copie delle scritture relative all’episodio anche in BAV, Chig. I. III. 87, cc. 531-547; BNR, FVE 1317, cc. 158 sgg., Memoriale ecc. [contro la gabella della Macina], cc. 162 sgg., Supplica [...] Anna Colonna [...], e cc. 166 sgg., Risposta alla supplica della Signora Donna Anna Colonna Barberini; BUB, ms. 1042 (1662) cc. 415 sgg. e 451 sgg.; ASV, Fondo Bolognetti 203, ecc.).

[7] BAV, Barb.lat. 8723, c. 62, 5 marzo 1646.

[8] BAV, Barb. lat. 8723, c. 68r-v, 26 marzo 1646. Secondo Alvise Contarini era soprattutto il Duca di Parma «quello che assicura [...] che il cardinale Mazzarini non stia bene col Parlamento né con li Grandi del Regno, onde poco durabile si rendi la sua privanza. Queste cose, come grate all’orecchie, facilmente si credono a Palazzo» (ASVe, DAS, Roma 123, c. 163r, 6 gennaio 1646).

[9] BAV, Barb.lat., 8723, c. 72.

[10] ASVe, DAS, Roma 124, c. 90v.

[11] ASVe, DAS, Roma 122, c. 316r.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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