A colpi di conclavi: f1 f2 f3 f4 f5 f6

La vendetta

Quando, nel gennaio del ’55, Papa Innocenzo morì, l’inimicizia tra Rapaccioli e Spada era più viva che mai.

«L’età fresca potea assicurar il Card. Spada che il suo avversario non era in questo Conclave per ottenere il Papato», si legge nella relazione di Conclave sopra citata. «Dall’altra parte compensavano il mancamento de gl’anni l’indispositioni continue dell’urina, il concetto della bontà de i costumi e delle scienze facea precorrere a gl’anni le speranze di Rapaccioli, l’affetto de Barberini guadagnato con una gratitudine inalterabile nelle loro calamità gl’acquistava un partito tanto potente, l’haver egli havuto da Innocentio il vescovato di Terni con dimostratione non mai cessata di molta benevolenza li guadagnava l’affetto di quelle creature panfiliane che più ostentavano di dover essere a loro creato[re] grato».[1]

A detta di Padre Virgilio, che nel lavorare alla progettata biografia del fratello ne raccoglieva e utilizzava le carte (documenti, note e diari) il cardinale Spada, ancor prima della morte di Innocenzo, parlando con altri cardinali, aveva previsto che il futuro Conclave si sarebbe giocato tra Sacchetti, Rapaccioli e Chigi. Poiché al primo ostava l’esclusiva di Spagna e all’ultimo quella di Francia, il più probabile gli appariva proprio Rapaccioli.[2] In effetti il Conclave, dopo aver a lungo e vanamente giostrato col nome di Sacchetti, si diede a cercare candidati “veri” e Barberino, capo della fazione più numerosa, mise in campo Rapaccioli, subito seguito dai volanti e dallo stesso Card. Antonio, che pure, proprio perché Rapaccioli gli appariva troppo legato al fratello e probabile ispiratore della sua rottura con Mazzarino, ne aveva sollecitato e ottenuto dalla Corte di Francia l’esclusione.
Nonostante le resistenze dei suoi conclavisti, Gio Antonio Costa e Francesco Buti, che gli erano stati assegnati da Mazzarino perché frenassero le sue imprevedibili iniziative e che pare che in questa occasione minacciassero addirittura di abbandonarlo in Conclave, Antonio si era deciso a chiedere in Francia, pare per il tramite di Braccesi, che vi si trovava, la revoca dell’esclusione di Rapaccioli.[3] A questo punto Spada si spaventò davvero e lasciò bruscamente il Conclave col pretesto di una indisposizione, ma con lo scopo manifesto di «fare la contromina alle mine di Rapaccioli» ossia di ottenere dagli Spagnoli, convincendo prima i Medici, la revoca dell’esclusiva data a Sacchetti e dai Francesi, per il tramite di Lionne, la conferma di quella a Rapaccioli. «Il solo odore delle rape», pare abbia commentato il Card. Montalto, «se ha cagionato l’infermità al Cardinale Spada, che male patirebbe egli se le mangiasse?»[4]
Oltre a prendere i contatti che riteneva utili ad ostacolare l’elezione di Rapaccioli, Spada approfittò dell’uscita dal Conclave per mettersi per quanto possibile al riparo dai pericoli che vedeva connessi all’eventuale successo del suo avversario. Racconta il Padre Virgilio che,

«come il Card. Spada nel timore prendeva sempre i partiti fisici come più sicuri che i morali, quando durante il Conclave se ne uscì a titolo di poca sanità, fece levare dal Sacro Monte della Pietà scudi 30 mila che volse contanti presso di sé, crediamo certo per ritirarsi subito in luogo sicuro quando fosse succeduto il caso dell’essaltatione del Card. Rapaccioli e non haverebbe guardato all’azzardare la berretta che haveva in capo né lo sgombiglio di tutta la sua Casa per assicurare la propria persona, né si sarebbe al certo sodisfatto di altro ripiego, non istimando cosa alcuna equivalente al pericolo della propria vita».[5]

Ma Spada contro la possibilità dell’elezione di Rapaccioli si era premunito per tempo anche in altri e meno onorevoli modi: aveva cioè raccolto sul suo conto una documentazione che, fatta circolare in Conclave al momento opportuno avrebbe dovuto rovinarne la fama di prudenza e di sapere.

«Accadde che da soggetto di gran credito, cioè dal Generale de Carmelitani Scalzi venne riferito un fatto del detto Cardinale Rapaccioli così publico e così scandaloso nella dottrina che senza scrupolo anzi a titolo di zelo ecclesiastico hebbe il Card. Spada il modo di screditare l’avversario così per rendere meno credibili le cose dette da quello in pregiuditio suo, come per tener lontano il pericolo che quello potesse divenir un giorno papa e fare a lui et alla sua Casa danno maggiore».[6]

Come siano andate le cose in Conclave lo racconta l’ignoto cardinale della cui relazione mi sono già servito:

«Poco doppo il primo cominciamento del Conclave [il Card. Spada] diè fuora una scrittura che si diffuse per mano de cardinali, in cui si studiò d’abbattere il concetto buono che si potesse havere di Rapaccioli particolarmente nella letteratura, di renderlo disprezzabile per altri rispetti, che di buona voglia consegno al silentio. In quello che appartiene al sapere disse di Rapaccioli che egli nella sua diocesi di Terni haveva fatto pregare il Sig.re Iddio che volesse perdonare i suoi falli ad un spirito maligno che haveva invaso il corpo di un suo diocesano. Il caso è degno d’essere raccontato. Era in Terni un indemoniato e per tale il faceva conoscere il favellare di cose che non potevano attribuirsi se  non al demonio. Volle per curiosità parlargli il Cardinale e li disse tra l’altre cose se egli pativa assai pene. Sono atrocissime (rispose il demonio) le pene che io soffro dovunque mi trovo. Perché dunque (soggiunse il Cardinale) non hai pentimento di quelle colpe d’onde hanno origine le tue pene? Il pentimento è grandissimo (rispose il demonio) ma non mi giova. E se Dio (replicò il Cardinale) ti volesse perdonare accetteresti di buona voglia il perdono? Senza dubbio, rispose il Demonio. All’hora il Cardinale ordinò che si facessero orationi a Dio per indurlo a perdonar al Demonio. Narra questo fatto in tutto diversamente il card. Rapaccioli come si vede da una scrittura fatta in risposta a quella del card. Spada. Tuttavia non ha potuto impedire che molti col crederlo nella maniera contata non habbiano formato concetto di molta ignoranza in lui e di una minerva crassa al pari della crassezza del suo corpo».[7]

Non ho avuto la fortuna di imbattermi nella scrittura di Spada né in quella di Rapaccioli. Tra le carte di Spada raccolte e organizzate dal fratello ci sono però una relazione anonima sui fatti della Chiesa di San Valentino di Terni e una lettera di Rapaccioli al Generale dei Carmelitani Scalzi sugli stessi fatti, che permettono di correggere qualche imprecisione del racconto: non si trattava di un indemoniato, ma di una giovane indemoniata e chi pretendeva di aver convertito il diavolo non era Rapaccioli, ma il Padre che aveva praticato l’esorcismo.[8] In definitiva la responsabilità di Rapaccioli si riduceva al non essersi opposto alla pretesa dell’esorcista e all’essersi, anzi, interessato presso il Generale dei Carmelitani Scalzi affinché «un’opera di tanta carità», come la definiva, non fosse interrotta. Rapaccioli adduceva due motivi: «il travaglio in cui si trova l’indemoniata alla quale troppo mal si fece di sollevarli in seno l’inferno per poi lasciarla così» e «il non poter consentire che questa vada cercando altrove chi suplisca e la liberi dalla pena in cui si trova».
Che cosa pensasse realmente Rapaccioli in fatto di diavoli e di esorcismi non so e poco importa: c’è da credere però che si attenesse alle dottrine ufficiali. Ma visto che alla superstizione non c’era rimedio, si trattasse di povere ragazze o di alti prelati, e che quel che contava era assai più il benessere della giovane che non le imprudenti credenze dell’esorcista, la propensione di Rapaccioli per una politica di tolleranza o, come oggi si direbbe, “di riduzione del danno”, non sembra irragionevole. E in effetti non suscitò scandalo nel Sacro Collegio, salvo, s’intende, per quel tanto che bastò a bruciargli la carriera.




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[1] Conclave doppo la morte d’Innocentio X cit. (incipit: “Quanto è grande la curiosità...”), BAV, Barb.lat. 4670, c. 382.

[2] V.Spada, ASR, SV 463, cap. 31, § 10: «con tutto che non si sapesse da alcuno lo Squadrone formato o da formarsi fra di loro e molto meno i loro disegni, specificò loro per l’appunto i sopradetti tre cardinali».

[3] In ASF, AM 228, cc. 249-350 c’è una Copia d’un capitolo estratto d’una lettera dove a proposito del successo di Chigi si legge: «il debilitarsi ogni giorno il partito per il Card. Sacchetti per varie ragioni e forse le meno convenienti (che sono a dire la debolezza del Card. Antonio, non ostante tutti gl’impegni, comandi e minaccie della Francia e l’imbarcatura del Card. D’Este alle speranze di Rapacciuolo) fece risolvere il Card. Barberino e Squadron Volante». Virgilio Spada, sulla base di un diario del Conclave scritto dal fratello, attribuisce la responsabilità della sconfitta di Sacchetti proprio ad Antonio che stava operando, con più successo di quanto non incontrasse il Card. Francesco, un deciso riavvicinamento ai Medici: V. Spada, 35. Sul ruolo di Costa e Buti cfr. Gérin 1879, 1881.

[4] Conclave doppo la morte d’Innocentio X cit. (incipit: “Quanto è grande la curiosità...”), BAV, Barb.lat. 4670, c. 381r. Il 4 marzo, nel suo palazzo, il card. Spada aveva incontrato il principe Borghese «confidente del Gran Duca» nella speranza «di poter far ordinare al Card. Gio Carlo che desistesse dall’esclusione del Card. Sacchetti». La cosa non gli riuscì, ma con i Francesi Spada «seppe adoperarsi in maniera […] che ne cavò una manifesta esclusione nonostante che il Card. d’Este fosse protettore della Francia et il Card. Antonio suplisse in assenza d’Este alla medesima protettione. […] Per tenerli in freno fece scrivere da monsù di Lione allora dimorante in Roma una gagliarda lettera ad un suo dippendente in Conclave […] la quale in giuditio di chi ha gran prattica dello stile et eruditione del Card. Spada fu di pianta minutata da S. Eminenza»: V.Spada, ASR, SV 463, cap. 31, § 14 e 17. Dell’uscita di Spada parlano anche gli avvisi di Conclave in BAV, Barb.lat, 4592, cc. 390 sgg. che ho già avuto occasione di citare e che registrano tra l’altro la proibizione da parte dei Medici ai cardinali del partito spagnolo di parlare con Spada al suo rientro in Conclave: evidentemente le sue avances a favore di Sacchetti non erano state gradite.

[5] V.Spada, ASR, SV 463, cap. 31, § 39.

[6] V.Spada, ASR, SV 463, cap. 31, § 4.

[7] BAV, Barb.lat. 4670, c. 382v. La pratica di screditare i candidati ostili con scritture diffamatorie e documenti manipolati ad arte (meglio se attinenti presunte opinioni eterodosse dell'avversario), era - diciamo così - "legittimata" da autorevolissimi precedenti: basti pensare all'elezione di Paolo IV. Naturalmente perché una simile documentazione sortisse i migliori effetti era consigliabile conservarla gelosamente nascosta «nella sacchozza» per tirarla poi fuori al momento giusto in Conclave. Poco importa che il ricorso a espedienti di questo tipo si inserisse in autentici conflitti ideologici o in meno nobili rivalità personali: a parte la difficoltà di distinguere questi da quelle, si trattava pur sempre di "colpi bassi". Cfr. in proposito Firpo e Prosperi.

[8] V.Spada, ASR, SV 463, cap. 31, §§ 5-7. L’episodio è ripreso in Karsten 2001, pp. 269 sgg., specialmente p. 276, sempre sulla scorta di V.Spada. Nella relazione si racconta come un esorcista fosse riuscito, con grandi fatiche, a far uscire frotte di diavoli dal corpo della giovane indemoniata: «Una mattina», si legge, «comparve per uscire un capo et essendo interrogato dal Padre che esorcizzava come si chiamava […] questo disse chiamarsi il Conte Marino e disse havere sotto di sé novento milioni di spiriti». Il Conte Marino, esortato dal Padre esorcista e dietro promessa di perdono, si diede da fare per scacciare, in servizio di Dio, i diavoli suoi dipendenti. La cosa durò diversi giorni, con grandi patimenti della ragazza che offriva al dramma il suo corpo come teatro e macchina di scena. A un certo punto il Conte Marino, in presenza del vescovo, ossia di Rapaccioli, decise di convertirsi. Gli presentarono il Santissimo e il diavolo (e, per conto del diavolo, la ragazza) «subito vedutolo si gettò in ginocchioni percotendosi forte il petto, adorandolo e dicendo quelle parole: O Sacrum Convivium baciando la terra due volte e di nuovo percotendosi il petto. Doppo riposto il Santissimo domandò d’uscire da quel corpo per timore di non ricascare in disgratia per l’istigatione che gli facevano gli altri spiriti». Baciato un crocifisso, il diavolo confermò il suo pentimento, «con dire Signore mi contento di stare nel Purgatorio sino al giorno del giuditio e doppo mi contento che mi mandiate all’Inferno per penitenza de miei peccati se così piacerà a Vostra Divina Maestà e subito detto questo il Padre gli disse che facesse una croce in terra con la lingua nel luogo assegnatoli dal Sig. Cardinale per obedienza e poi se ne andarebbe dove Dio comandava et il detto spirito alias Conte Marino si buttò in ginocchioni e fece la croce con la lingua e se ne andò in pace». Vista la relazione, il Generale dei Carmelitani Scalzi chiamò il Padre esorcista e gli impose di smettere di convertire diavoli, anche perché, gli fece osservare, che diavoli sarebbero se si potessero convertire?


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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