Micanzio e le buone penne: b1 b2 b3 b4 b5

Ingegni svegliati

Tra le “buone penne” che la Corte di Roma avrebbe spinto a denigrare i Principi «per premiarl[e] poi essa del male oprato», Micanzio ricordava i fratelli Manzini.[1] Il loro era un episodio apparentemente concluso e in cui la Corte di Roma c’era entrata poco o nulla: c’erano di mezzo, semmai, i Savoia e in particolare il Cardinale Maurizio. Ma il caso dei Manzini fu ugualmente utilizzato dalle autorità veneziane, giusta il suggerimento di Micanzio, per eludere la richiesta del nunzio di punire il Pallavicino, se non per altro, per le offese da lui portate nel Corriero alla Corte pontificia.

«Sopra le maledicenze de Principi», riferiva il nunzio al Cardinale Barberini, «li suoi [del Pallavicino] difensori allegano che in Bologna Gio. Battista Manzini stampasse una lettera contro la Republica et che fu passata onde fanno indutioni che non debba la Republica far conto se in quest’opera si dice male del pontefice, ma rispondo con più ragioni che rendono il caso dissimile».[2]

In verità le contestazioni del governo veneto a proposito dei Manzini avevano colto alla sprovvista mons. Vitelli che ignorava di che cosa precisamente si trattasse. Il testo incriminato era la Copia di una lettera in risposta scritta dal Sig. Gio Battista Manzini ad un cavaliere principalissimo di Venetia, pubblicata nel 1636 – con la data (falsa) di Anversa – in difesa di Luigi Manzini e delsuo Caduceo, apparso l’anno precedente e subito condannato dalla Repubblica e fatto sparire dalla circolazione.[3] Della Lettera neanche il Cardinal Barberini sapeva nulla.[4] Come Vitelli venne poi a sapere, alla Lettera di Giambattista scritta «in escolpatione del monaco olivetano suo fratello per quello che haveva stampato a favore di Savoia sopra il titolo Regio» la Repubblica aveva risposto molto per le spicce: «fu all’hora risoluto», scriveva il nunzio, «di far amazzare Gio. Battista».[5] Di fronte a una tale minaccia, aggiungeva Vitelli, «credo che […] lui stesso procurasse di farla supprimere», il che pare gli fosse riuscito assai bene, visto che per conoscerne il testo il nunzio dovette farsene mandare da Bologna una copia manoscritta «ché de stampati non se ne trovano». Con ciò la questione poteva dirsi chiusa, senonché «adesso se n’è rinovata la memoria con l’occasione del Pallavicino».[6]
Il carattere pretestuoso delle contestazioni veneziane sembrava confermato dal fatto che, se il Caduceo era stato stampato effettivamente a Bologna,[7] la Lettera di Gio Battista, a cui soprattutto le autorità veneziane si appigliavano, pare che fosse stata stampata, invece, proprio a Venezia.[8] Quel che poi irritava sommamente mons. Vitelli era che Luigi Manzini, che ora il governo veneto accusava la Corte di Roma di aver istigato a denigrare la Repubblica, apparteneva alla stessa razza libertina di Ferrante Pallavicino ed aveva trovato in Venezia le stesse protezioni:

«Il monaco olivetano era qua appunto nel concetto del Pallavicino, e se bene nell’Academie diceva cose bruttissime et irreligiose, né stava mai in convento, tuttavia veniva protetto dagl’istessi fautori, che favoriscono questo cattivo, et stampò il Leon coronato [9] in lode della Republica. Domenico Molino, che era il suo Achille principale l’introdusse non solo nella Secretaria a vedere le scritture della Republica, ma gliene diede molte in mano, con pensiero che dovesse scrivere l’Historie della Republica, in cambio di che scrisse a favore della Casa di Savoia e fu creduto che il Molino morisse di disgusto, rimproverato da Senatori».[10]

Al che Barberino rispondeva confermando la sua estraneità alla vicenda dei Manzini e le sue ottime disposizioni verso la Repubblica, «se ben da un canto ho caro», commentava maliziosamente, «che riuscisse male al Domenico de Molino l’essersi alimentato la serpe in seno con havere introdotto il monaco olivetano, il quale trovò poi ricetto appresso al Cardinal di Savoia, ma così egli come la Republica harebbono fatto bene a mandarlo a i chiostri, che si vede dove vanno a scappare questi ingegni svegliati».[11]




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[1] ASVe, CI 46, c. 91r.

[2] BAV, Barb.lat. 7720, c. 30r, 28 settembre 1641.

[3] A proposito della Lettera di Gian Battista, Fantuzzi (V, pp. 209-210), che – ricordo – era erede dei fratelli Manzini, scrive: «Versa questa sopra l’accaduto al Conte Luigi Manzini suo fratello, cioè che il Magistrato de gl’Inquisitori di Stato fece levare e proibire a tutte le librerie di Venezia i panegirici da Don Luigi suo fratello dedicati al serenissimo Principe Cardinale di Savoia, perché in essi chiama il Duca di Savoia col titolo di Re di Cipri, e fa l’apologia del fatto di suo fratello».

[4] Barberino, però, a dimostrazione della sua sollecitudine verso la Repubblica e della sorveglianza che nello Stato Ecclesiastico si cercava di esercitare sulla stampa, citava il caso di un libro offensivo per Venezia sul quale si era intervenuti e di cui inviava a Vitelli una copia, perché se ne servisse con il governo di Venezia. «Io non ho mai visto il libro di Gian Batista Manzini stampato in Bologna nel quale si detragga alla Republica, anzi sono alcuni mesi che uscì [lacuna] imitatione dell’Argenide, che però haveva ingannati i Revisori, ma scopertosi che era maledica disegnando la Republica et persone particolari con delli anagrammatismi, fu trattenuta et impedito che si publicasse. Io non ne [lacuna] scrissi né mandai a Vostra Signoria l’avviso primieramente per voler più presto servir la Republica che millantare i servitii, in secondo luogo perché essendo stata composta l’opera da un sacerdote di religione riformata non volevo costì danneggiarla. Nondimeno ne mando a Vostra Signoria un esemplare et con la seguente li mandarò la contracifra di quanto ho descifrato. La ricavo bene che parlandosi nel libro bene della Casa di Savoia et male della Republica, detta da esso Arida in luoco di Adria et questo non nuoca alla religione della quale è chi la ha fatta, mentre non sarebbe difficile ritrovarlo quando s’indagasse, et non aggiunga dispiaceri tra la Republica et la Casa di Savoia; et a dir la verità a Vostra Signoria, essendosi fatto in modo che il libro è rimasto occulto, ho qualche scrupolo a palesare cosa che possa esser di danno del compositore, benché io non habbia conoscenza di lui, et forse accrescere come ho detto di sopra i dispiaceri» (BAV, Barb.lat. 7763, cc. 4v-5r, 5 ottobre 1641). L’opera in questione era l’Hotrerica di Luca Bertolotti, di cui fu stampato a Roma, da Domenico Marciani, in quello stesso anno il primo libro, dedicato all’allora monsignore Francesco Peretti (dopo la sua promozione, Bertolotti diede alle stampe Franciscus Perettus card. Montaltus, Roma, Manelfi, 1642). «Io vado vedendo l’Hotrerica o Rettorica che Vostra Eminenza mi ha favorito», rispondeva il nunzio, «et l’havrei ben vista se havessi havuta la chiave, ma tuttavia l’ho trovata di molti vocaboli e vado scoprendone tuttavia, et ho visto dove si parla di qua molto male, et come l’haverò considerata ne darò de tocchi per mostrare la differenza che si fa in queste cose» (BAV, Barb.lat. 7720, p. 74v, 19 ottobre 1641). Un tocco, per la verità, Vitelli l’aveva già dato il giorno precedente in Collegio, nel tentativo di farsi consegnare Ferrante Pallavicino: «È venuto a notitia là da noi di uno che ha scritto non so che cosa di questa città, non così sgarbatamente come ha fatto costui [Ferrante] né così male. Si è subito abbolito e disfatto tutto, non si è lasciato passare avanti» (Coci 1986, pp. 321-322).

[5] BAV, Barb.lat. 7720, c. 48r, 12 ottobre 1641.

[6] BAV, Barb. lat. 7719, cc. 37v e 65v, 23 novembre e 7 dicembre 1641.

[7] Presso Clemente Ferrioni nel 1635.

[8] Così almeno risultò, al termine di faticose ricerche, al nunzio. Fantuzzi riconosce la falsità della data indicata (Anversa), ma sembra ignorare dove l’opera fosse effettivamente stampata e da chi.

[9] Il Leon coronato per la Maestà della Republica Veneta. Panegirico di D. Luigi Manzini, Venezia, Sarzina, 1633.

[10] BAV, Barb.lat. 7720, c.48r, 12 ottobre 1641. Su Domenico Molin vedi Foscarini, pp. 93-95.

[11] BAV, Barb.lat. 7763, c. 21r, 19 ottobre 1641: svegliati è scritto su un liberi depennato.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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