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Vittorio Siri storico e spione: c1 c2 c3 c4 Un mercurio poco veridico Come è noto, il primo volume del Mercurio, iniziato a scrivere nel 1641 e terminato in meno di un
anno, uscì a stampa solo nel 1644. La ragione del lungo ritardo, sostiene
l’Affò, stava proprio nel tono violentemente antibarberiniano del libro, che mal si conciliava, vivente papa
Urbano, con le aspirazioni di Siri al titolo di abate e ad una buona rendita ecclesiastica. Nel
giugno del 1643, tuttavia, racconta sempre l’Affò, Vittorio Siri si era deciso
a pubblicare l’opera: «Non voglio», aveva scritto all’abate Valeriano
Castiglioni, «che i Francesi mi possano rimproverare ch’io non mi guadagni quel poco di stipendio che mi danno per
Historiografo di Sua Maestà».[1]
È probabile, per altro, che nella decisione di Siri avesse avuto un peso
determinante l’inizio della guerra tra la Lega e il Papa, che aveva reso
impossibile il doppio gioco in cui si era sino a quel momento cimentato
costringendolo a scegliere da che parte stare. Il confronto tra le sue antiche
e più affidabili relazioni e i recenti, deludenti approcci con i Barberini non
consentivano dubbi su quale dovesse essere la sua parte.
«poiché a pieno instrutto delle circostanze di sì implicato affare, potei con tramandarne le notizie al Mondo et alla Posterità, ugualmente appurar l’uno e l’altra di quei falsi concetti contro la rettitudine delle publiche intenzioni, che le voci universali et una guerra contro la Chiesa accreditavano per verittieri».[2] E infatti il Mercurio
aveva ottenuto senza difficoltà il permesso dei Riformatori. In un secondo
momento, però, quando «non erano a pena tirati otto fogli», la stampa del libro
fu bloccata, per intervento, sembra, di diverse Corti, e il testo inviato per
un nuovo esame a Micanzio e Lonigo. Ne sortì un consulto, come
ebbe a scrivere Siri, «ricco d’encomi dell’opera e
dell’autore per il vantaggio singolarmente che ne ridondava alla Republica», il
che però non impedì ulteriori ritardi. Quando, tra la primavera e l’estate del
1644, il primo volume poté finalmente uscire – a Venezia, presso il Baglioni –
le autorità, per scansare eventuali fastidi con gli altri governi, imposero
l’indicazione di un luogo di stampa (Casale) e di un editore (Cristoforo Della
Casa) falsi.[3]
L’opera,
insomma, forse per l’imbarazzante abbondanza di documenti e scritture che
metteva a disposizione di un largo pubblico, non entusiasmò né il governo
veneziano, né, pare, quello francese, che pure aveva fornito a Siri credito,
materiali e quattrini, e infine neanche il Farnese,
di cui Siri, suddito e agente suo, nel
trattare di Castro aveva sposato sin troppo apertamente le posizioni.[4]
«Anima – Gli successi particolari della
questione del Papa col Duca di Parma non sono stati ancora scritti?
Al Siri, venale e infedele “copista”, l’autore dell’Anima contrapponeva come “storico” uno del suo giro, il Conte Maiolino Bisaccioni – il che però sembrava fatto più che a lode di questo a maggior infamia di quello: «Hen. – V’è il Conte Maiolino Bisaccioni che s’affatica per far veder al Siri come è poco informato e pieno di passione.
Siri un “salariato”, un “copista”, il Mercurio “un empiastro di scritture”[8]: immagini efficaci, insulti non gratuiti, che andavano a segno. «Un colpo mortale» – avrebbe definito lo stesso Siri l’attacco portatogli dall’Anima – «contra la riputatione che l’Autore del Mercurio con le proprie fatiche s’era guadagnata», un colpo suggerito da un «astio velenoso».[9] A quell’astio, quasi a svelarne le ragioni, Siri avrebbe reagito, a distanza di anni, con rabbia e in tono – c’è da dirlo? – delatorio. «Gran divario si ravvisa», scriveva nel Bollo, «tra un’infame scipitissima satira», quale era, secondo lui, l’Anima di Ferrante, «et una lodevole e dotta censura». Ma, aggiungeva a proposito dell’anonimo autore, «non contento costui di favellare non senza fele di varii scrittori, trascorre con eccesso grave ed enorme a calpestare la riverenza dovuta all’Ordine Sacro, a’ Sommi Pontefici et alla Religione; e nell’infelice e deforme spettacolo d’un solennissimo voto d’ignoranza in qual si sia honorata professione, manifesta una sì perversa et empia volontà, che non senza ragione si studia di tener celato il proprio nome, avvegna che se capitasse ne’ luoghi dove il Santo Officio con intera, e non circonscritta libertà esercita le sue lodevoli funzioni, renderebbe avverati nella persona sua quei pronostici, che scioccamente va borbottando et imprecando ad altri, ch’egli connumera fra le cose passate». [1] Affò, V, pp. 208-209. [2] ASP, EP, b. 15, 161, Apologia di Vittorio Siri al governo veneto. [3] Affò , V, p. 210. ASP, EP, b. 15, 161, Apologia. [4] Sulle reazioni delle Corti vedi Affò, V, p. 209-210, Pezzana, VII, p. 797. Sulla parzialità di Vittorio Siri nel raccontare la guerra di Castro vedi Ronchini, p. 381, che riporta in parte la lettera di Siri a Gaufrido del 5 luglio 1642 in ASP, CFE, Venezia 517 (a proposito del Mercurio vi si legge: «dovendo io quanto prima stampare questa mia Historia et havendo da diverse parti ricevuto quelle istruttioni che mi bisognavano, non vorrei o per malitia o per l’altrui trascuraggine nel racconto traviare in cosa alcuna che punto offendesse i miei padroni e Signori…»). Nel settembre del 1642 il Duca di Modena stava leggendo «con molto gusto» una parte del Mercurio che gli era stata inviata da Siri: Testi 1572 (8 settembre 1642). [5] «Tutti i vitii che si biasimavano in Urbano, sono in sommo grado nella persona d’Innocentio»: Anima di Ferrante, II, p. 30. Sulla questione di Castro: «io credo certamente che Urbano avesse qualche ragione di dolersi del Duca di Parma; ma poteva ben farne risentimenti piacevoli da buon padre e pastore e non da tiranno…» (I, p.61). [6] Sappiamo invece dalla Vita del Brusoni che Ferrante conosceva molto bene il suo delatore: forse Loredano (o chi per lui) non ne era al corrente, ma è più probabile che la battuta fosse un modo per ostentare quel disprezzo di cui si parla più avanti. [7] Anima di Ferrante, I, pp. 116-118. [8] Le storie di Siri, «il più celebre fra tutti gli scrittori della Storia di questi tempi», dirà Tiraboschi con immagine non dissimile, «non sono a leggersi molto piacevoli perché sono anzi un tessuto di documenti» (pp. 573, 575; il corsivo, naturalmente, è mio). [9] Siri, Bollo, p. 94. |
Claudio Costantini Fazione Urbana * Indice Premessa Indice dei nomi Criteri di trascrizione Abbreviazioni Opere citate Incipit Fine di pontificato 1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m Caduta e fuga 2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h Ritorno in armi 3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i APPENDICI 1 Guerre di scrittura indici Opposte propagande a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7 Micanzio b1 b2 b3 b4 b5 Vittorino Siri c1 c2 c3 c4 2 Scritture di conclave indici Il maggior negotio... d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7 Scrittori di stadere e1 e2 e3 A colpi di conclavi f1 f2 f3 f4 f5 f6 3 La giusta statera indici Un'impudente satira g1 g2 g3 g4 g5 L'edizione di Amsterdam Biografie mancanti nella stampa 4 Cantiere Urbano indici Lucrezia Barberini h1 h2 Alberto Morone i1 i2a i2b i2c i2d i2e i2f i2g i2h i3 i4 Malatesta Albani l1 l2 * * quaderni.net |