Ritorno in armi: 3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

Una riconciliazione difficile

Gli avversari dei Barberini - gli Spagnoli, il principe Ludovisi, il cardinale Sforza - avevano tentato fino all’ultimo di dissuadere il Papa dal concludere l’accordo «con dirli che havendo publicato tante dichiarationi era cosa ignominiosa l’esequir in contrario, che mostra di cedere per paura stante questa vicina mossa dell’armata francese».[1] A evento compiuto agli Spagnoli non restava che calcolare i danni dell’inutile guerra mossa ai Barberini:

«Ognati dice che non doveva il cardinal Albernoz lasciar di prenderli in protettione con dargline parola per nome del Re quando l’istesso cardinale Francesco gli ne fece apertura, gran pregiudicio havendo ricevuto la Corona di Spagna per essersi posti sotto quella di Francia per li molti adherenti che tengono».[2]

Il 18 settembre il cardinale Grimaldi aveva comunicato a Francesco Barberini che l’accordo col Papa era concluso e pubblicato.[3] Ringraziando Contarini per i buoni uffici prestati nella trattativa, Grimaldi, che era pienamente soddisfatto del risultato, espresse la convinzione che «questo solo fosse il negocio che più si desiderasse dalla Francia. È vero», commentava Contarini, «ch’egli è tanto partiale de medesimi Barberini che si può sospettare non sarà così piena la sodisfatione come la rappresenta». In effetti su altri punti non si fecero progressi e Venezia in particolare non ci guadagnò nulla, continuando Innocenzo a ignorare il problema turco.[4] Ma in rapporto ai Barberini la situazione parve, almeno per qualche tempo, rovesciata: i nemici diventavano amici e (forse) gli amici nemici.
Barberini e Panfili presero a scambiarsi promesse, favori, inedite manifestazioni di gratitudine e di affetto, a condolersi per le incomprensioni passate, a congratularsi per la ritrovata intesa.[5] Con Maccarani Innocenzo al momento di concludere l’accordo aveva voluto riconoscere - quasi a sanare l’ingratitudine di cui era stato accusato - il suo debito nei confronti dei Barberini sia per il cardinalato sia per il pontificato e aveva promesso che se i Barberini si fossero portati bene con lui - «et ne m’esparloient point» - avrebbe fatto in modo di convincerli che per loro Papa Urbano non era morto.[6] A Grimaldi poi, disse un po’ oscuramente di avere nei confronti del cardinale Barberini, oltre quelli noti, «altri oblighi che non si sapevano», assicurandolo «di haverne conservata sempre la gratitudine nell’animo suo, ancorché la sua dignità l’obligasse ad operar diversamente», e anche a lui promise di fare per i Barberini «più di quel che Vostra Eminenza» - e cioè il cardinale Francesco - «potesse sperare». [7]
Immediatamente dopo la conclusione dell’accordo dilagarono per ogni dove tra i vecchi contendenti le reciproche espressioni di compiacimento, di congratulazione, di ringraziamento. I cardinali di parte francese e barberina presenti a Roma, a cominciare dai cardinali d’Este e Grimaldi, si recarono di persona dal Papa, dal cardinale Panfili e naturalmente da Donna Olimpia a manifestare la propria soddisfazione.[8] Il 25 settembre toccò a Rapaccioli visitare il Papa. Era un’udienza delicata, che in un primo momento Innocenzo aveva rifiutato e poi concesso all’improvviso e che assunse subito il carattere di una resa dei conti. Il giorno stesso Rapaccioli ne dava notizia a Francesco, ma senza nulla rivelargli del colloquio: il Papa glielo aveva espressamente proibito.[9] Dell’udienza tuttavia il cardinale Barberini ricevette un’ampia relazione anonima: il cardinale Rapaccioli, scriveva l’estensore, «ha secondata l’intentione di Sua Santità, mentre con questa partecipo io di contrabando quel più che posso per hora»: la fonte era, si capisce, lo stesso Rapaccioli. [10]
Il Papa era da tempo particolarmente arrabbiato con Rapaccioli e aveva motivato la sua collera «coll’ambasciata, co’ la scrittura che non sodisfece al desiderio etc., col libretto della fuga, col Conclave e con altre cose simili» [11] e cioè col ruolo - di mediazione ma insieme di intimidazione - che Rapaccioli aveva in diverse occasioni recitato con lui per conto dei Barberini. Tra i due c’era stata una spiegazione, franca quel tanto che le circostanze e il carattere del Papa permettevano. Sbarazzato preliminarmente il campo da alcuni malintesi di troppo, Rapaccioli aveva potuto ringraziare il Pontefice a nome dei Barberini delle grazie loro accordate e Innocenzo aveva risposto «con replicate commemorationi delle sue obbligationi» verso di loro e assicurando che il suo affetto nei loro confronti non era venuto mai meno, neppure «quando [aveva] creduto dover far per riputatione della Sede Apostolica e sua quel che ha fatto». Il Papa aveva poi passato in rassegna con Rapaccioli 

«tutte le cose accadute non lasciando intatta né pur ogni minima cosa, non che tutte le più gravi, con tutti i motivi e l’instigationi che havea havute e dove ha toccato l’occasioni che li parea d’haver havuto di disgustarsi ha comportato che sopra ognuna potesse quell’Eminenza dir quanto voleva dicendoli più d’una volta et in più d’un luogo che molte cose non havea mai più udite, né mai alterò la serenità con che tutto diceva o sentiva, se non quando, dolendosi che non si fosse andato da lui a dirgli liberamente di mano in mano quel che occorreva».

Alla fine il Papa parve soddisfatto e disse

«che non accadeva disputar più di cosa alcuna, perché di niente facea più caso e se ne voleva scordar affatto, sperando di dover dare a Vostra Eminenza occasione di confidar più e di parlar liberamente e di scordarsi di tutte le cose passate e domandò se veramente Ella se ne sarebbe scordata [...]. Né Vostra Eminenza creda che non si sia discorso fin della causa del Braccesi e di quante cause hebbe il Signor cardinal Antonio per andarsene e mostrandosi in alcune nuovo et intenerito si è solo dolsuto che il Signor cardinal Antonio non gl’andasse a communicar tutto et a sfogar seco, che l’harebbe consolato...»

Come poscritto l’estesore del resoconto annotava: «ha Sua Santità fatto sapere al Signor cardinale Rapacciolo ch’è vescovo di Terni». Un bel regalo per un cardinale povero come Rapaccioli, ma anche, da parte del Papa, un modo spiccio per allontanarlo da Roma.[12]




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[1] ASVe, DAS, Roma 124, cc. 160-161, 22 settembre 1646. A Francesco Barberini Grimaldi scriveva il 24 settembre: «intanto gl’ordini sono andati da per tutto a ministri camerali di non s’ingerir a riscuoter ne levar cos’alcuna spettante a Signori Barberini et il cardinale Sforza che ha sentito dalla bocha del Papa quest’intimatione per gl’emolumenti del Camerlengato sta molto abbattuto. I Signori Spagnuoli non lasciano di tormentar Sua Santità con falsi avvisi persuadendolo a non si fidar delle parole de Francesi, ma se si corrisponde come spero dalla Francia con termini da far animo a Sua Santità voglio creder che le cose procederanno con intiera sodisfattione» (BAV, Barb.lat., 8723, c. 151).

[2] ASVe, DAS, Roma 124, c. 175r, 29 settembre 1646.

[3] BAV, Barb.lat., 8723, cc. 146-148.

[4] ASVe, DAS, Roma 124, c. 160, 22 settembre 1646. Cfr. c. 205, disp. 105 del 6 ottobre.

[5] ASVe, DAS, Roma 124, cc. 211-212, 27 ottobre 1646.

[6] BAV, Barb.lat., 8013, c. 41r, Bidaud a Francesco Barberini, 24 settembre 1646.

[7] BAV, Barb.lat., 8723, c. 152, 1° ottobre, c. 154r, Gerolamo Grimaldi a Francesco Barberini, 15 ottobre 1646.

[8] ASVe, DAS, Roma 124, c. 159r, 22 settembre 1646. Tra le molte lettere di rallegramento arrivate ai Barberini merita di esser riportata quella di Raffaele Della Torre, uno dei protagonisti di queste note (BAV, Barb.lat., 10036, c. 226): «Ben m’avisai, né ‘l tacqui a Vostra Eminenza che l’attroce tempesta patita nella sua partenza da Roma calmata assai presto con ritrovarsi senza avedersene in porto era aviso del Cielo che doppo certo travaglio gli prometteva tranquillità. Ringratio hora Iddio benedetto vedendone averati i presagi e per maggior gloria di Vostra Eminenza per quei stessi espedienti a quali Sacra Divina Maestà è stata solita dar di piglio ne gl’estremi bisogni di Santa Chiesa, ch’altri non sono delle giustissime e potentissime armi del Christianissimo Re di Francia. Mi sono rallegrato di tutto cuore non tanto della conversione delle cose di Vostra Eminenza al stato primiero, poiché da tutti gl’huomini prudenti e dispassionati si havevano per sicure, ma che Vostra Eminenza habbi havuto occasione di manifestarsi nel Teatro del Mondo quello istesso nelle avversità che si era scoverto mentre havea la fortuna nel pugno. Nel che Vostra Eminenza ha questi vantaggi sovra d’ogn’altro, che mai godesse d’una tanta prerogativa, che né pure dalli apassionati li può essere ascritto che havesse dato cagione a simile ingiuria conosciuta svelatamente ne suoi proprii sembianti anche dal volgo, mentre non haveva altri pretesti fuor solo che quel Signor cardinal Barberino il quale nel corso di ventidue anni di Pontificato del zio pratticò con tanta essattezza l’astinenza che rifiutava il donato, nel fine si fosse lasciato condurre a tanta rapacità di espilare la Camera Apostolica in que’ stessi cimenti ne quali per sostenere la riputatione di Santa Chiesa niuno non è che non sappia che haveva impegnato la propria Casa. Io come minimo de servitori di Vostra Eminenza altro non posso che aplaudere a una tanta gloria da eternarsi nelle memorie più illustri de posteri con attestarle in una tanta contingenza la continuatione della mia divotione e riverentemente l’inchino con replicarli ch’io vivo di Vostra Eminenza devotissimo e obligatissimo servitore».

[9] BAV, Barb.lat., 8746, c. 24.

[10] BAV, Barb. lat., 8746, cc. 25-26. Rapaccioli, vi si legge, «m’ha partecipato quanto scrivo e quanto lascio per hora di scrivere». L’estensore impegnava Francesco al segreto; gli consentiva però di comunicare ad Antonio e Taddeo la sostanza di quanto gli veniva riferendo, mentre lui stesso aveva «quasi tutto communicato al Signor cardinale d’Este et al Signor cardinal Grimaldi, c’haranno campo di far particolari riflessioni ad alcune altre cose appartenenti a loro».

[11] Sulle tormentate vicende della relazione di Conclave scritta da Rapaccioli e sulla sua utilizzazione in Della Torre, Fuga (è questo, immagino, il libretto della fuga) vedi in appendice Scritture di Conclave. L’ambasciata è certamente quella con la quale Rapaccioli portò al Papa la notizia del passaggio del cardinal Barberini e della sua Casa sotto la protezione del governo francese. La scrittura che non soddisfece al desiderio è probabilmente quella relativa alle spese della guerra, di cui Rapaccioli scriveva il 20 maggio 1646 al cardinale Francesco e che, invece di costituire un atto di accusa contro i Barberini, denunciava le discutibili procedure seguite dai ministri camerali nella revisione dei conti.

[12] Cfr. BAV, Barb. lat., 8746, cc. 30-31, Rapaccioli a Francesco Barberini, 3 marzo 1647. Nel ‘47 in diversi modi (e anche per il tramite di Francesco Gualengo, agente del Duca di Modena a Roma) Rapaccioli aveva fatto sapere al Papa che desiderava tornare a Corte. Il Papa aveva avuto parole di grande lode nei suoi confronti e aveva anche detto che a Roma avrebbe avuto bisogno di una persona come lui. Ma Panciroli, a quanto pare, vi si opponeva, anche se, come scriveva Rapaccioli l’11 maggio da Roma, dove si trovava per un concistoro, non era chiaro «se questi più che il Papa non mi veda [a Roma] volentieri, non parendomi di poter dar mai gelosia a chi sa molto bene quanto in sostanza pesino tante tenerezze e tanti panegirici di Nostro Signore e quanto poco martello debbano dare a chi ne habbia com’egli la cifra [...]. Sto hora aspettando racchiuso o in casa o in carrozza ciò che Sua Santità voglia far di me, il quale mi persuado di dover alfine ritornare alla mia residenza carico di belle parole [...] quantunque la Corte mi destini (fin qui senza fondamento) vicecamerlengo e cose simili» (ivi, c. 36, 11 maggio 1647; procamerlengo Rapaccioli lo sarebbe diventato solo nel 1655). Un anno più tardi Rapaccioli tornò a lamentarsi del suo esilio, ma anche confermò di non volersi sottrarre all’obbligo della residenza. Innocenzo gli aveva fatto capire che lo avrebbe gradito a Roma, ma che non ve lo avrebbe chiamato di sua iniziativa. Panciroli «decifrandomi i sensi di Sua Santità mi disse che Sua Beatitudine havrebbe voluto in sostanza che mi fosse venuta voglia di stare in Roma e di domandargli proroghe e me lo disse in modo che io mi avvidi che si voleva da me quel che un vescovo timorato di Dio non poteva né pur desiderare» (ivi cc. 43-45, 2 e 24 marzo 1648).


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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