Alberto Morone: i1 i2a i2b i2c i2d i2e i2f i2g i2h i3 i4
Lettere di Alberto Morone dirette al Nunzio di Spagna fatto cardinale in questo tempo (8)
Alberto Morone a Giovanni Giacomo Panciroli, Roma, 24 ottobre 1643.
BEM, Camp. 549, gamma.G.4.30, cc. 32-36.
[c. 32r] Ritorno dalle nostre armate una delle quali sta accampata
vicino a Perugia contro l’essercito del Gran Duca composto di Fiorentini,
Napolitani e Tedeschi. L’altra sta sotto Pittigliano allogiata fino al fosso,
del quale si è impadronita. V. Em.za dalle mie sarà informata della rotta che
hebbe un grosso di 2 mila fanti e 500 cavalli nostri condotti da Fra Vincenzo
della Marra al Mongiovino. Perché non ero così bene informato allora non la
potei riferire con puntualità. Hora, prima di venire alle altre cose, la riferirò.
Stava il nostro essercito a Corciano a fronte del nemico grosso di 7 mila
fanti e 2 mila cavalli quando fu risoluto di ricuperare Città della Pieve
et a questo effetto fu eletto il Sig. Cornelio Malvasia (hoggi fatto e
dichiarato Generale della cavalleria con titolo d’Eccellenza) che doveva
condurre questa gente. La mattina fra Vincenzo della Marra Maestro di
Campo Generale volle andarvi in persona con tutta la resistenza
del Sig. Prefetto e seco condusse un buon numero de’ primari offitiali. Doveva
in un dì arrivare non essendo il viaggio maggiore di 12 miglia, ma per un poco
di pioggetta legerissima si trattenne in S. Martin [32v] de’ Colli
un giorno et una notte, oltre il dì del viaggio del quale molto gli sopravanzò.
Il nemico lasciando il posto della Magione benissimo guernito di gente, per
la parte avversa la notte fece marchiare il grosso vicino al lago e per la più
corta volando si accostò al Marra, il quale non riconoscendolo né credendo
a chi l’haveva riconosciuto persuadendosi che non arrivassero a 2 mila lo disprezzò et uscì
ad incontrarlo con i suoi 2 mila fanti e 500 cavalli e 4 sagri. Già il nemico
con 7 mila e 500 fanti e mille cavalli e 12 cannoni si era
schierato in battaglia et il Marra visto l’avantaggio] nemico sì del numero
come del posto si smarrì: gli ordini suoi e le ordinanze delle genti
riuscirono piene di confusione, la cavalleria non fu disposta al suo luogo,
non furono presi certi fossoni per dove si sfilò il nemico per assaltarci.
V. Em.za si imaginiil resto. Si attaccò la battaglia la quale dalla parte
nostra cominciò con le militie, che ve [1]
n’erano pochissime il che fu l’altro errore, e subito queste
prendendo la fuga furono dalle altre seguitate. Morirono
de nostri pochi non arrivando assolutamente a 50 ma 600 furon
i prigioni. Il Marra in luogo di salvarsi come poteva, e fece il Malvasia,
si ritirò nel Mongiovino e fu seguitato da alcuni offitiali. Dentro non
vi erano viveri né munitioni e questo fu [c. 33r]
il magiore di tutti li errori, onde seguitato da nemici gli convenne rendersi a
discretione. Solo un cattivo incontro hebbero i nemici: nel voler prendere il nostro bagaglio
perché radunatosi un gran numero attorno uno de nostri soldati diede fuoco ad
alcuni barili di polvere che quivi erano e morirono 200 de loro e più e
rimasero moltissimi storpiati. Il Contino Castel Villano
per troppo ardire spintosi avanti et abbandonato dalla codardia di alcuni de
nostri, sempre combattendo e ricusando di voler quartiere hebbe (doppo haver
visto morto il suo contrario, un capitano di corazze alemanno) una muschettata in una
tempia e morì subito essendosi la mattina communicato [2].
Io viddi poscia e piansi la sua casacchina portata da un fuggitivo e riconosciuta da tutti piena
di sangue. Restò percosso da gran timore il nostro essercito per la perdita di molti
che erano fuggiti oltre i prigioni e per la riputatione intaccata. Il Prefetto
non poté e, come dice il Marchese Mattei, né dové andar al soccorso perché era
senza capi affatto, per non ricevere un colpo maggiore. Prima della battaglia
non fu avvisato credendo che già fossero i nostri alla Pieve. Basta fu
providenza di Dio che questo grosso si mantenesse. Il Card. Barberino subito
raddoppiando le dimostrationi del coraggio fece nuove levate di gente, chiamò
offitiale il Mattei da Lombardia e l’ha fatto con applausi Luogotenente
Generale della cavalleria di 3 provincie di qua, essendo di là il Valenzé, e
formato grosso numero di gente e di buoni capi, la divise in due armate,
[c. 33v] una la diede da condurre al Sig.
Cesare degli Oddi fatto Sargente Generale di battaglia, l’altra rimase sotto il Sig.
Prefetto condotta dal Luogotenente [3]
Mattei. Il nemico non fece progresso alcuno né seppe servirsi della
vittoria essendo rimasto fra le vigne di Perugia senza però incendii.
Finalmente doppo aggiustate le cose e girato hor qua hor
là, dieci giorni sono il Sig. Cesare degli Oddi si accampò sotto Pittigliano
ove oltre la soldatesca dello stato sono di presidio 350
Alemanni e Governatore un de Griffoni [4]
huomo di sommo valore come ha dimostrato. Tre sono i posti presi da nostri:
quello de’ Zoccolanti, della Chiesuola e della Vigna Grande. Quivi l’Oddi ha
piantato una batteria di 8 pezzi che ha fatto maravigliosa rovina et al favore
di questi cannoni un reggimento di Avignonesi soldati veterani e di grandissimo
valore sono sboccati nel fosso. Si sta hora per dare l’assalto generale. In
questo tempo il Borri Generale de’ Fiorentini, per divertire, mosse la sua
armata di 8 mila combattenti da Spina verso Perugia per attaccare i nostri che
stavano senza il Mattei che si era portato a vedere e dare alcuni
importantissimi ordini nel Patrimonio. Alcuni primi de’ nostri offitiali
alla mossa del nemico così risoluta e grande stimarono di non cimentare il
nostro essercito et essenre [c. 34r] più sicuro partito ritirarlo in
Perugia. Di questo parere fu il Sig. Federico Imperiale, fratello di Mons. Imperiale,
Mastro di Campo Generale. Ma per buona fortuna in questo punto sopravenne da
Roma per le poste col Sig. Francesco Cesi, il Sig. Card. Barberino e
detestando il timore disse instantemente che voleva che si
uscisse fuori ad incontrare il nemico. Hebbe applauso questa risolutione e
tutti i Perugini ancora comparvero armati per combattere. Il Sig. Card.
Barberino a cavallo si vedeva a far avanzare i squadroni a dar animo e con
le parole e con la presenza et essempio a tutti. A pena preso per posto
Montecorno dissegnato dal Borri per istringere Perugia, ecco il nemico in
battaglia con 12 cannoni grossi e 12 sagri, non havendo noi allora se non 4
colubrine, essendo dalla parte nostra Generale dell’artiglieria il Sig.
Commendatore Valenzé [5],
nipote del Luogotenente Generale, bravissimo soldato. Il Malvasia attaccò
ferocemente uno squadrone di fanteria nemica e perché il
Valenzé giovane detto haveva messe assai innanzi le colubrine nella vanguardia,
cominciando a scaricare fecero mirabilmente traforando da un capo all’altro
l’ordinanze de’ nemici. L’artiglierie del Gran Duca poco o per dir meglio
niente poterono operare per essere state, per assicurarle, dirizzate troppo a
dietro. Il Sig. Card. Barberino sempre a nembi delle moschettate intrepido col grosso della nostra
cavalleria che faceva prodezze stupende. [c. 34v]
Durò la scaramuccia hor qua hor là dalle 18 hore fino a 21 e i nemici furono
costretti a cedere con mortalità di più di 350 e moltissimi feriti. Prigioni
p[?] più di 120. Ma se nella ritirata l’Imperiale havesse spinte alcune maniche
di moschetteria per fianco era distrutto affatto il campo del Gran Duca, come
ogn'uno vidde e i nemici confessano [6].
Questo fatto seguì a 13 di ottobre. Il nemico haveva vicine le trincee un
miglio dove si ricoverò sicuro e la sera il Sig. Card. Barberino chiamati
i capi di guerra a consiglio disse che era conveniente servirsi della vittoria
e che voleva che la mattina si attaccasse il nemico
nei posti istessi dove era trincerato e che non dubitava del loro valore.
Dunque segretamente stabilito la mattina fece ordinare la gente senza tamburi
e senza trombe et egli stesso col Principe Prefetto la condusse contro il nemico
stando sempre alla testa dello squadrone. Brillavano tutti di allegrezza. Si
investì gagliardamente doppo disposta l’artigliaria et fulminava con tanto
valore che in meno di due hore parte [7]
aperte le trincee parte salite da nostri et entrati dentro disloggiarono il nemico
che prese la fuga con qualche disordine. Non poterono i nostri molto innanzi
seguitarli per una grande imboscata posta fra due monti stretti per dove non poteva
entrare più di tre per fronte e vi havevano cannoni
pieni di palle di moschetto. La mortalità qui fu maggiore della prima massime
di molti offitiali come anche la prigionia arrivando a 400 [c. 35r]
prigioni. Quasi nello stesso tempo, cioè pochi dì prima il Sig. Card. Antonio
mandò 2 mila fanti e 700 cavalli sotto Pistoia e se la guida non
havesse errato in condur la nostra gente ad una porta terrapienata ove non si
poté operare il pettardo, sorprendevano Pistoia. Diedero però il sacco a quelle
ville e si accostarono fino vicino 5 miglia a Firenze con tanto terrore de
Fiorentini che pensavano vi fosse il grosso, che per tre dì stette Fiorenza con
le porte murate levatane una. Si armò tutto il popolo ma ripieno di disordine e
spavento. I nostri però essendo pochi doppo scorso il paese e venuto aiuto da
Venetiani al Gran Duca [8]
si sono ritirati alla montagna, ma però nello stato del Gran Duca, alla
Sambuca, Treppio e Pavano dove si sono fortificati e fanno pure scorrerie. Similmente il Sig. Tobia
Pallavicino nostro Sergente Generale della fanteria con 3 mila fanti e 600
cavalli è entrato nell’Aretino, ha prese molte terre e saccheggiato il paese.
Monterchio in particolare, fortificato dal Gran Duca preso, perso e poi
recuperato, hora lo spianano, come hanno fatto a Cuspaio [9]
perché quindi i nostri ricevevano danno. I Venetiani per le molte rotte havute
nel Polesine e scorrerie fatte da nostri fino sotto Rovigo, per la commodità
della fortezza reale del Lago Oscuro alzata di là da Po, hanno imprigionato il
generalissimo Pesaro come codardo et hanno in suo luogo eletto Marco
Giustiniani il quale [c. 35v] radunate
tutte le forze de Venetiani (come un’altra volta io scrissi a V. Em.za) al
numero di 12 mila fanti, tre mila cavalli, 30 cannoni andò sotto la
nuova fortezza nostra del Lago Oscuro vicino 3 miglia a Ferrara, ma in termine di
sette giorni il nostro general Valenzé gli costrinse con le sortite a disloggiare
veramente con infamia essendosi impegnati in quell’assedio con troppo grandi
dichiarationi fino in istampa. Hebbero una rotta di più di due mila morti e per
non volere la 2a, hebbero per bene di partire e lasciarci intiera
la fortezza. In questo fatto d’armi vi morì il Marchesino Santa Croce di
Camp[idano (?)][10] e Don
Carlo Conti circondato da nemici per non prender quartiere col cavallo si buttò
in Po e si salvò senza alcun danno, mercé, doppo Dio, della bontà
del suo cavallo. Hora hanno havuto un’altra percossa grande in mare, perché
havendo armate 22 galere, 6 galeazze, 8 vascelli ollandesi e cento
barche, si presentarono in faccia di Sinigalia, ma quindi venendo
scaricato un cannone, colpì il Proveditore Contarini e l’uccise subito e poscia
cominciò un temporale così furioso che l’armata in più parti fu trasportata: in
Istria, in Dalmazia et altrove. Alcuni diedero verso Comacchio e quel popolo
fece un buonissimo bottino a Magnavacca e ritornata a Chiozza l’armata
senza vele, senz’arbori, tutta fracassata et inutile per quest’anno.
Finalmente hanno condotto per Generale della loro gente di terra
il Gildas da Germania ma noi habbiamo il nostro Valenzé che per
il valore, [c. 36r] per la sperienza
dei paesi di là e per l’amore sviscerato de’ soldati verso di lui, lo stimiamo
per cento Gildas. La guerra arde più che mai. Il General Mattei di qua, mentre
scrivo questo, mi ha da un suo mandata una lettera di suo pugno nella quale
dice: La mia armata di sette mila fanti e 1500 cavalli si è rinforzata hoggi
con la venuta del Pallavicino et alcune altre compagnie, di 3 mila fanti et 800
cavalli; fra due giorni pensiamo di dar al nemico giornata. V.R. venga con la
commodità della mia carozza che vien qui. Il Sig. Card. Barberino
mentre io scrivo è montato su le poste e se n’è [11]
andato ad assistere all’assalto che vogliono i nostri dare a
Pittigliano, essendo tutte le cose e i fornelli preparati e fatta
sufficiente breccia.
Resta Nostro Signore attonito che da Napoli non si levi in
Vice Re supposto che egli (come è manifestissimo et attestano qui i Cardinali
spagnoli) faccia peggio di qualsisia de Collegati a danni della Chiesa. La
settimana passata ha fatto impiccare un tal Valentini perché haveva mandati
alcuni in servitio del Papa, mentre all’incontro i
Collegati alla scoperta fanno gente contro il Papa nel Regno, anzi il Vice Re
istesso ha cura di farla e mandarla con cavalli, arme, vettovaglie e munitioni.
Basta: la pena la paga S. M. Cattolica perché Trino non sarebbe perduto, né
scorrerebbero i Francesi fino su le porte di Milano, come certo fanno, se in
luogo di mandare [c. 36v] il Vice Re
aiuti alla Lega contro la Chiesa Santa gli mandasse a Milano. Di nuovo ricevo
avviso dal Campo di Perugia come il Mattei con un grosso ha attaccato a
S. Martino in Campo 3 mila fiorentini nel Perugino e gli ha posti in fuga con
mortalità. L’avviso è certo perché egli lo scrive. I particolari
non gli so ancora. Ogni giorno habbiamo nuovità. Questa notte a 6 hore è giunto
avviso al Card. Poli, che governa in absenza dell’Em.mo Padrone, che l’armata
di Francia di 40 vascelli e molte galere era a Corsica. Qual
habbia da essere di questa non si sa. Se son stato troppo lungo V. Em.za mi scusi
con la sua solita benignità e senza più le fo humilissima riverenza. Roma 24 di
ottobre 1643.
Di V. Em.za Rev.ma
Hum.mo e dev.mo servo
Alberto Morone della Compagnia di Giesù.
Hieri notte tentarono i Fiorentini di sfondare le trincee
nostre sotto Pittigliano con Alemanni e Napoletani e furono rotti essendovi il
Prencipe Mattias, che si è ritirato a Radicofani.
[2] Anche Nicoletti (BAV, Barb.lat. 4738, c. 587) ricorda la morte dell' «unico flgliuolo del Conte di Castel Villano di Casa Acquaviva francese, giovane di gran spirito». I Conti di Castelvillano discendevano da Louis d’Adjacet, primo Conte di Chateauvillain, Maestro di Casa del Re di Francia, che nel 1580 aveva sposato Anna Acquaviva d'Aragona, detta “Madame d’Atri”, nipote di Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona, che, Signore di Atri e Conversano, per aver parteggiato per i Francesi, era stato privato dei suoi feudi ed esule in Francia era stato creato Signore del Brie. Il Contino di Castel Villano era allievo di Evangelista Torricelli, il quale il 27 aprile 1641, ne scriveva a Galilei: «credo che ella haverà inteso dal P. Abbate un legame che egli mi lasciò qui nel suo partire, se bene per poco tempo, cioè fino al suo ritorno. Questo è la promessa di servire il figlio del Conte di Castel Villano con una lettione di geometria e fortificatione; e l' istesso obbligo si è da me ratificato al Conte suo padre in 10 questi ultimi giorni, mentre egli, essendo di partenza per Perugia, dove si è inviato, ha voluto lasciare il figlio qui in Roma quasi a posta per questo effetto» (Le opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale a cura di Antonio Favaro, Firenze, Barbera Editore, Prima Edizione 1890-1907, Vol. XVIII, pp. 326-327).
[3] Segue ripetuto: Tenente.
[4] Il maestro di campo Pietro Grifoni era figlio di Francesco e fratello di Ugolino, cavaliere di Malta.
[5] Henry d’Estampes de Valençay.
[8] al Gran Duca in sopralinea.
[9] Cospaia nel comune di San Giustino.
[10] La morte del Marchesino Prospero Santacroce è registrata nei diari del Gigli sotto l'8 settembre 1643 (p. 236).
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