Caduta e fuga: 2a, 2b, 2c, 2d, 2e, 2f, 2g, 2h

Scisma

Il governo genovese era stato informato da Raffaele Della Torre della fuga di Antonio.[1] Della Torre era assai preoccupato delle possibili ripercussioni di un’aperta rottura tra i Barberini e il Papa: «questa novità», scriveva il 2 ottobre, «produrrà senza dubbio de gravi accidenti, non solo in questa Corte, ma forse in tutto il Christianesimo». E una settimana più tardi

«è forse da dubitare», scriveva, «che questa non sia l’origine di qualche gran scandalo, perché se questa Casa [i Barberini] si scuopre e dichiara mal sodisfatta, attese le cose seguite nel conclave e la mala dispositione della Francia verso questo Pontificato e la passata del Signor Cardinale Antonio in quella Corte, non ha dubbio esservi gran dispositione alle turbolenze più da temersi d’ogn’altre nel Christianesimo».[2]

A Palazzo alla fuga di Antonio si reagì con rabbia. Nei confronti di Antonio, riferiva il nuovo ambasciatore di Venezia, Alvise Contarini, che era giunto a Roma proprio in quei giorni, il Papa aveva lasciato intendere «di voler fare le solite ammonitioni perché dovesse ritornar alla Corte et ubidisse e non lo facendo di privarlo di tutte le abbatie e beneficii che gode minacciandosi di proseguire anco contro tutta la Casa per affatto rovinarla».[3] A prevenire danni maggiori il 18 ottobre i Barberini alzarono sopra le porte dei loro palazzi le insegne del re di Francia, mettendosi con ciò ufficialmente sotto la sua protezione.
Il pronunciamento dei Barberini per la Francia sembrò annunciare un ritorno alla grande del partito francese a Roma.[4] Non si trattava di un’operazione facile, ma, osservava l’ambasciatore Contarini,

«non si lascia di rimarcare che sia partito di qua il Cardinale Firenzuola tutto dipendente da Francesi, senza sapersi con qual oggetto e di altri si è discorso siano per aggiustarsi con quella natione. Del Cardinale d’Este molto si ragiona che sii per poner lui ancora le armi del Christianissimo e perciò le gelosie vanno circondando d’ogni parte l’animo del Pontefice».[5]

Il 22 ottobre Raffaele Della Torre, il cui timore era sempre che si potesse arrivare a una pubblica accusa di simonia contro il Papa e magari a uno scisma, mandava a Genova una lunga relazione su quel che era accaduto negli ultimi giorni a Palazzo.

«Sabato della settimana passata verso la sera si sparse voce per la Corte che il lunedì all’hora prossimo sarebbe stato concistoro, il che, vero o falso che fusse, diede occasione al Signor Cardinale Barberino, dubioso di qualche strana risolutione contro il fratello, di dichiararsi con tutta la Casa servitore della Corona di Francia, perché fosse di ostacolo, e di esporne per testimonianza l’arme regie, et mandò la domenica mattina da Sua Santità a chiedere udienza per farnela prima consapevole. Ma non havendo potuto ottenerla con fondamento che fosse stata conceduta ad altro cardinale, tentò di fare la stessa preventione per mezzo di biglietto; il che non riuscitoli, l’essequì per mezzo del Signor Cardinale Rapaccioli, al quale quella mattina era stata conceduta udienza.[6] Questo Signor Cardinale doppo le sue espositioni, si fece cadere in proposito l’ambasciata commessali, la quale fu tanto nuova et inaspettata al Papa, che hebbe a risponderli che nol credeva e che erano dei soliti artificii del Cardinale Barberino. Replicò il Cardinale che tutto poteva essere, ma che non intendeva come non potesse essere quello che dovea chiarirsi fra poche hore, e per qual cagione, essendo falso, il Signor Cardinale Barberino n’havesse voluto far fare ambasciata per mezzo di cardinale, e che quanto a lui l’haveva per indubitato, atteso massime che questo era l’effetto di ciò che restò concertato in conclave. Alla qual replica il Papa amutì».

La fonte del Della Torre era lo stesso Cardinale Rapaccioli che, fedelissimo dei Barberini, era tornato a svolgere, come al tempo del conclave, ma in condizioni molto diverse e con mansioni ben più rischiose, il ruolo di intermediario con Panfili.

«Et questa narrativa io l’ho per bocca dello stesso Signor Cardinale Rapaccioli, il quale non credo che con questa fontione e risposte si sarà avanzato molto nella gratia del Papa, poiché il concerto del conclave di sopra accennato abbraccia cose troppo aliene dall’animo, dalla direttione e da i pensieri del Papa, e troppo si accorda con i biglietti del marchese Theodoli, che sono autentichi in potere del Cardinale Antonio, i quali piaccia a Dio, che non siano instromento di qualche grave discomponimento».[7]

Per quanto possa apparire singolare, visto che tutti sapevano delle trattative in corso tra i Barberini e Mazzarino e visto che nessuno meglio di Innocenzo doveva conoscere il contenuto dei biglietti del conclave che erano al centro di quelle trattative, il Papa fu sinceramente sorpreso della cosa: non riusciva a credere (e non lo avrebbe creduto neppure più tardi) che la Francia volesse o potesse spingersi contro di lui oltre certi limiti.[8] Incline per temperamento a ignorare le realtà che lo infastidivano, questa volta Innocenzo si era forse lasciato ingannare anche dalle false istruzioni al Padre Mignozzi, teologo del Cardinale Antonio, messe in circolazione dai Barberini proprio a questo scopo. [9]

«Perché Vostre Signorie Serenissime intendano onde principalmente nascesse la difficoltà del Papa in dar credito a prima gionta all’ambasciata del Cardinale Rapaccioli, hanno a sapere che li giorni passati pervenne a Palazzo una instruttione data dal Signor Cardinale Barberino ad un frate, inviato da lui alla Corte di Francia, della quale ho havuto modo di haver copia estesa, nella quale si ordinava dal detto Signor Cardinale al frate come havesse a maneggiarsi in quella Corte intorno gl’interessi di questa Casa, e fra l’altre cose più principali si scorgeva in essa che poca unione fosse fra i tre fratelli Barberini, se non ne i fini, al certo ne i mezzi di promuovere i loro interessi, non senza qualche ripugnanza fra di loro, et in oltre come detto Signor Cardinale Barberino escludeva affatto il matrimonio tra il primogenito del Principe Prefetto suo fratello et una nipote del Signor Cardinale Mazzarini, desiderato e proposto da questo. Questa instruttione era pervenuta in mano del Padre Ridolfi domenicano e questi, come inimico della Casa Barberina, l’haveva con gran giattanza fatta pervenire non solo nelle mani del Papa, ma inviatala a Napoli et in Spagna.[10] E da questa bastantemente si raccoglieva che la reconciliatione de Barberini con Francia o fosse disperata, o per lo meno molto lontana, e da questa persuasiva il Papa era più animoso in stringere i panni addosso al Cardinale Antonio mentre era presente et più risoluto nelle dimostrationi contrarie mentre si è allontanato. Effetti tutti contrarii al suo naturale di persona cauta, tarda nelle deliberationi et inimico di novità. E quindi, anche consapevole altresì delle perplessità ordinarie del Signor Cardinale Barberini, non potea credere che fosse per determinarsi ad una tanta risolutione, atteso massime che non vedeva come havesse potuto farlo, non essendo per ancora niente di maturo in quella Corte. Ma gl’effetti ch’hanno mostrato il contrario hanno parimente chiarito che quella instruttione fu artificio del Signor Cardinale Barberino, con il quale avendo uccellato il Padre Ridolfi, ha condotto il Papa e tutti gl’altri in concetti lontanissimi dal vero per potere al coperto di essi far meglio i fatti suoi senz’essere impedito. Intendeva il Signor Cardinale Barberino con detto artificio adormentare i suoi nemici e tenerli sospesi delle sue deliberationi per infino a tanto che potesse migliorare et assicurare le sue cose in Francia, già preso in protettione con tutta la Casa da quella Corona. Ma avedutosi di haver ottenuto più di quello pretendeva con simile artificio, e che anzi sopra simil credenza si faceva breccia alla Casa con battere il Cardinale Antonio, dubioso ogni giorno di peggio, per impedirlo ha passato il Rubicone con dichiararsi sotto la detta protettione, come potea fare molto prima. A tal che chiaro si conosce la cagione per la quale tanto il Papa quanto il Signor Cardinale Barberini, operando ciascheduno contro il loro naturale, siino condescesi a risolutioni tanto gravi, nelle quali, a creder mio, ciascheduno di essi vorrebbe esser digiuno. Piaccia a Dio che, si come il minor de’ mali sarebbe lo andar per l’avenire più ritenuti, non segua tutto il contrario con qualche grave scomponimento, il che molto è da dubitarsi in consideratione de i stimoli ch’havranno ciascheduno per ciò: il Papa dalla Casa de Medici, la quale altro non tenta maggiormente che irritarlo e farlo irreconciliabile con Barberini e rendersi con questi modi grati a Spagnoli, i quali ben vedono che questa machina trahe seco l’hostilità del Papa con Francesi da loro bramata; il Signor Cardinale Barberino dal trovarsi di già senz’altro riparo che quello di Francia, e questo moderato dal Cardinal Mazzarini, che come alienissimo da Medici e in conseguenza dal Papa, non può non condur le cose a manifesta rottura, la quale piaccia a Dio per sua pietà prohibire, perché questa sola mancherebbe alle tante calamità del Christianesimo».

Innocenzo X parve a un certo punto spaventarsi davvero e in relazione all’accusa di simonia cominciò ad abbozzare una linea di difesa, per altro debolissima e infarcita di ammissioni. Il Papa, scriveva Alvise Contarini,

«considera, per quanto intendo, che se la Francia si impegna da dovero nella protettione de Barberini e che questi provocati diino nella disperatione possino risultar effetti molto pregiuditiali alla Beatitudine Sua, mentre il Cardinal Antonio tiene li viglieti autentici sottoscritti di promesse a’ cardinali nel conclave di abbatie, denari et altro perché concorressero in Pamphilio, onde par atto di simonia l’ellettione del medesimo Pontefice. Li dipendenti nondimeno di Sua Santità attestano di non essere mai concorsi in questa come cosa infame, ma solo nell’ellettione sua et il Pontefice afferma haver sempre detto al Cardinal Panzirolo che guardasse bene non turbarli mai la conscienza, ma che prometteva non sarebbe ingrato a chi lo favorisse».[11]

Ma ad una rottura non pensava nessuno. La minaccia di usare i biglietti del conclave per montare contro il Papa un’accusa di simonia era stata fin dall’inizio nelle mani di Antonio (e continuava ad esserlo in quelle del governo francese) un deterrente formidabile, ma forse eccessivo: si trattava, per così dire, di un’arma sovradimensionata, il cui uso era limitato dalla gravità stessa degli effetti che avrebbe provocato.[12] Antonio era ansioso di evitare altri atti irrevocabili e perciò cercava di scansare in ogni modo l’accusa di disobbedienza o ribellione.[13] Di qui, dopo la fuga da Roma, le ripetute, pubbliche profferte di sottomissione al Papa e l’insistenza con cui egli e i suoi partigiani tentavano di giustificare con lo stato di necessità tutti gli atti che contraddicevano apertamente quelle profferte: erano stati gli intrighi dei suoi nemici che lo avevano costretto ad abbandonare Roma; solo pressanti ragioni di sicurezza gli avevano impedito di preavvertire il Papa della sua intenzione di portarsi in Francia a perorare di persona la sua causa; se non era ancora rientrato a Roma, come riteneva che fosse suo dovere, non era per cattiva volontà, ma perché gli veniva vietato dalla Regina, e così via. [14] Il 2 novembre da San Remo Antonio si rallegrava con Francesco dei presunti segni di distensione provenienti dal Papa e mostrava di sperare nell’azione moderatrice del Cardinal Giustiniani

«La sua de 19 mi porta che il Papa fusse per andar circospetto e però come d’irresoluto se ne dolessero i fiorentini. Voglia Dio che non si proceda da Sua Beatitudine co’ suoi soliti artifici. Io però pregherò Dio, non ostanteogn’accidente, mi mantenga la risolutione di più tosto perire che sconvolgere la Christianità. Basta, Dio sa i pensieri d’ogn’uno, e vede il core di tutti, in che trovo somma consolatione. Ma il Papa dovrebbe pensare un poco di più, et il Sig. Cardinale Giustiniano potrebbe in quest’occasione fare da buon ecclesiastico et amico mio, come voglio sperare che sia per fare».[15]

Innocenzo dopo la sorpresa e la paura iniziali, tornò alla linea dura. La moderazione degli avversari, le prudenze di Antonio, la remissività di Francesco, la pazienza di Mazzarino confermavano le difficoltà di mettere in campo spregiudicatamente un’accusa di simonia. Così, nei confronti dei Barberini ripigliarono le persecuzioni e, nei confronti della Francia, la politica delle buone parole e delle cattive azioni. Al governo francese, anzi, Innocenzo chiese, con un singolare rovesciamento delle istanze formulate meno di un anno prima, che rinunciasse ad accogliere nella sua grazia i Barberini e che non permettesse a un cardinale fuggiasco, quale era Antonio, di metter piede sul suolo di Francia.[16] E poiché dalla Francia non vennero in risposta che velenose paternali, la Repubblica di Venezia fu invitata dal Papa, se voleva sperare in qualche aiuto nella lotta contro il Turco, a premere su quel governo perché non insistesse fuor di misura nella difesa dei Barberini.[17]




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[1] «Quando pure si transfera costì, com’io credo», aveva scritto Raffaele Della Torre il 2 ottobre, quando a Roma non si sapeva ancora dell’arrivo di Antonio in Genova, «posso e devo affermare a Vostre Signorie Serenissime, che tanto da Sua Eminenza quanto dal Signor Cardinale suo fratello Vostre Signorie Serenissime in persona del loro Gentil’huomo hanno ricevuto in questa Corte tutte quelle honorevolezze, che maggiori si potessero desiderare e che detto Signor Cardinale Antonio in particolare si è mostrato sempre in tutte le occorrenze di visite partialissimo della Republica, con pregiarsi in particolare della gratia ottenuta di essere fatto partecipe di cotesta nobiltà» (ASG, AS, 2355, Registro [...] Della Torre, pp. 278-279).

[2] E aggiungeva: «Le speranze migliori de’ successi men pericolosi sono riposte, s’io non erro, nella natura del Papa, di conditione tardo nelle deliberationi, e che molto attribuisce alla dilatione et al tempo [...] Iddio vi metta la sua santa mano, perché non mancheranno persone di grand’autorità appresso il Papa, che lo instigheranno a qualche risolutione per impegnarlo maggiormente al benefitio proprio, il che quando riuscisse sarebbe il peggior de i mali». Il 14 ottobre, a proposito dei provvedimenti adottati dal Papa contro Antonio, ribadiva i suoi timori: «da queste dimostrationi si accresce il dubio non forse questo accidente possa esser cagione di gravi scomponimenti, il che Dio non consenta» (ASG, AS, 2355, Registro [...] Della Torre, pp. 290-291, 294). Non meno preoccupato era Angelo Contarini: «Questa mossa partorirà gravi accidenti, si dubita, onde darà occasione d’affissare la mente per osservarli et d’agguzzare le penne per scriverli» (ASVe, DAS, Roma 122, c. 555v, 7 ottobre 1645: è uno degli ultimi dispacci di Angelo Contarini che si licenziò dal Papa la settimana successiva). Le preoccupazioni crebbero con la seconda fuga dei Barberini, quella di Francesco e Taddeo, nel gennaio del 1646: «La fuga de Signori Barbarini di Roma per Francia», scriveva per esempio da Venezia al Duca di Parma il conte Ferdinando Scotti, «dà indizio delle loro gravi colpe e manifesta l’aborimento che hanno tutti li Principi d’Italia di quella Casa che per salvarsi dal barigello di Roma gli è convenuto andar fori d’Italia. Il negozio presenta però l’impegno in che si pone la Francia e perché il Pontefice sempre più si va inasprendo e multiplica nel disgustare altri cardinali con pericolo manifesto di qualche gran travaglio anco della Chiesa» (ASP, CFE, Venezia 517, 27 gennaio 1646).

[3] ASVe, DAS, Roma 123, cc. 20v-21r, Alvise Contarini, 21 ottobre 1645. Diverse carte (copie e minute) relative alla fuga di Antonio e alle rappresaglie contro di lui ordinate da Innocenzo X (il chirografo relativo è del 20 ottobre 1645) in BAV, Ott.lat. 3267, I, cc. 1-10, 40-41.

[4] Con il loro passaggio al partito di Francia i Barberini si attirarono naturalmente le rappresaglie spagnole: «Il Cardinal Francesco», scriveva Contarini, «ha fatto venire qui da Napoli quindeci milla scudi di sua ragione, sendo sicuro che per havere poste le armi di Francia Spagnoli li faranno sequestrar e perdere tutte le rendite ch’egli tiene nelli Stati di Sua Maestà Cattolica» (ASVe, DAS, Roma 123, cc. 36v-37r, 28 ottobre 1645). I Barberini furono in parte risarciti dalla Francia sulle rendite ecclesiastiche dei paesi conquistati. L’Hermite, Toscane (molto lacunoso e piuttosto pasticciato) annovera senz’altro l’intera famiglia Barberini tra i partigiani di Francia, anche se riserva, com’è ovvio, lo spazio maggiore ad Antonio.

[5] ASVe, DAS, Roma 123, c. 21, Alvise Contarini, 21 ottobre 1645. Delle trattative per il passaggio del Cardinale d’Este al partito di Francia ho già parlato. A Rinaldo solo nel febbraio del 1646 venne consegnato il brevetto della Protezione (datato però 13 dicembre 1645), ma il suo avvicinamento alla Francia era diventato di pubblico dominio quando era intervenuto al concistoro del 2 maggio 1645 per l’assegnazione dei vescovati di Portogallo, disertato dai cardinali di parte asburgica. Il gesto, che confermava una fama di spregiudicato opportunismo (Petruccelli, III, pp. 99-100 cita come esempio di cinismo le lettere con cui Rinaldo durante il conclave si era offerto un po’ a tutti) diede naturalmente luogo a vivaci polemiche. Vedi in proposito BAV, Chig. O.I.7 cc. 25-32, Ragioni per le quali fu mosso il Sig. Cardinale d’Este a non intervenire nelli trattati de’ Spagnoli et essere andato al concistoro nel quale si proposero le Chiese di Portogallo (incipit: “Al punto medesimo ch’io fui promosso alla porpora...”); cc. 33-37 Lettera nella quale si riprova l’andata del Sig. Cardinale d’Este al concistoro (incipit: “Si continua con ogni diligenza...”); cc. 38-52 Risposta al manifesto del Sig. Cardinale d’Este perché fosse andato nel concistoro nel quale si proposero le Chiese di Portogallo (incipit: “La memoria de’ passati benefici...”). Le ragioni esposte da Rinaldo nella prima delle scritture citate (in sostanza l’essere stato sempre tenuto in poco conto dagli Spagnuoli) sono ricordate da Simeoni, pp. 58-62. Copia di queste scritture ed altro materiale relativo alla protettoria di Francia in ASM, DP, 434.

[6] Antonio Rota, segretario del Cardinale Barberini, ha raccontato con ricchezza di particolari come fosse riuscito al suo padrone di rendere debitamente edotto il Papa del passaggio della sua Casa al servizio e sotto la protezione di Francia senza però dargli il tempo di reagire o di opporvisi in qualche modo: BAV, Barb.lat. 4702, cc. 40-43, “Errano facilmente gl’historici...”

[7] ASG, AS, 2355, Registro [...] Della Torre, pp. 299-303. All’ambasciatore Foscarini, nell’aprile del 1646, Innocenzo avrebbe fornito la sua versione dei fatti: «Disse ch’egli [Mazzarino] haveva fatto che essi [i Barberini] fossero presi in prottetione della Francia doppo che egli haveva principiato a ricercarle conto dell’amministratione del denaro passato per le loro mani. Che di questa risolutione havendo dato conto in Francia alla Regina et a quelli Signori del governo con un corriere che arrivò a 29 ottobre passato, sei giorni doppo fu espedito il brevetto di protettione et che subito arrivato in Roma senza intervallo alcuno di tempo una domenica mattina il Cardinale fece metter l’arma di Franza su la sua porta e che havendosi la Santità Sua doluta che lo havesse fatto senza dirgli una parola, fece adur per sua scusa da un Cardinale che havea stimato usare quella celerità acciò che ella non proseguisse contro di lui» (ASVe, DAS, Roma 123, c. 318r, Alvise Contarini, 14 aprile 1646: il Cardinale è evidentemente Rapaccioli).

[8] Cfr. sugli avvenimenti di quei giorni e sulla sorpresa del Papa per il ritorno dei Barberini nei favori del governo francese la già citata lettera di Francesco Mangelli a Gaufrido del 4 novembre 1645 (ASP, CFE, Roma 423).

[9] Si tratta della citata Istruttione data dall’Em.mo Cardinale Barberino al padre Mignozzi... L’istruzione vera e propria (incipit: “Vostra Paternità renderà gratie affettuosissime...”) circolava corredata da un’informazione sulle trattative sino a quel momento condotte (incipit: “Mandai primieramente in Francia...”), da una serie di Ricordi (incipit: “In riguardo de’ miei fratelli io non posso ingerirmi...”) volti principalmente ad allontanare la prospettiva di alleanza matrimoniale tra Barberini e Mazzarino e da un estratto di lettera al Valençay del 1° agosto 1645 (incipit: “Non posso dir altro se non che gli confermo...”) nella quale Francesco tornava a manifestare con forza le sue riserve circa il progettato matrimonio. Cito da BAV, Vat.lat.11734, cc. 298-313, ma il testo dell’istruzione si trova anche in Siri, Mercurio, V, 1655, I, pp. 364 sgg. Tutte queste scritture, invero per lui poco lusinghiere, finirono col venire a conoscenza di Mazzarino, che però, secondo il suo stile, fece mostra di non curarsene: Mazzarino (Chéruel), II, p. 253.

[10] Del Padre Ridolfi e della sua inimicizia per i Barberini ho parlato a proposito della sua deposizione da generale dell’ordine domenicano.

[11] ASVe, DAS, Roma 123, c. 20, Alvise Contarini, 21 ottobre (non agosto come scrive Tornetta, 1941, III-IV, pp. 93-94) 1645. Sul pericolo di uno scisma vedi Pastor, XIV, I, p. 45 e nota.

[12] Già nell’aprile del 1645 Mazzarino aveva escluso con Battista Nani la possibilità di dichiarare invalida l’elezione di Innocenzo e di promuovere uno scisma, anche se di una tale possibilità si era parlato a Corte, negli ambienti del Clero e alla Sorbona e anche se, a detta di Mazzarino, il governo francese aveva «lettere et promesse di cardinali» pronti a uscire da Roma e a gettarsi nell’impresa. Di scisma parlava invece apertamente Brienne (ASVe, DAS, Francia 102, cc. 35r, 118r, 18 aprile e 9 maggio 1645). L’interesse di entrambe le parti a non spingere le cose all’estremo era sottolineato, tra gli altri, da Rinaldo d’Este in una memoria a Francesco I, non datata, ma probabilmente della fine del 1645: «Sono accidenti di grandissima conseguenza e tali che possono dar da pensare non meno a Palazzo ch’ai medesimi Barberini. Et in ordine a ciò deve credersi che, quali si sieno le dimostrazioni esterne, e questi e quegli nell’intrinseco loro desiderino di veder introdotta qualche apertura di negoziato» e alla fine rimosse affatto quelle «torbidezze che minacciano tutti et a tutti perciò dispiacciono». Rinaldo auspicava la sollecita conclusione dei negoziati per la Protettoria di Francia anche in vista dell’opera di mediazione che avrebbe potuto svolgere in qualità di Protettore: chi fosse riuscito a sedare una tale tempesta «che può sconvolgere la quiete della Chiesa di Dio e la tranquillità dell’Italia» non avrebbe avuto difficoltà a strappare grandi vantaggi per sé. Ma anche in caso di rottura aperta tra i due contendenti, osservava Rinaldo, erano prevedibili «commozioni tali che potrebbero [...] cooperare ad utilità della Casa e persona del Protettore». In ogni caso, a suo parere, la cosa più probabile era che per il momento «né si componessero le discordie né si procedesse a rompimento» (ASM, CP, 230).

[13] Un quarto di secolo più tardi Filippo Maria Bonini, uomo dei Barberini e di Mazzarino (una sua succinta biografia in Marré; sui suoi legami con i Barberini e la Francia vedi Marinelli 2000), ne Le Calunnie rintuzzate (Venezia, Heredi di Francesco Storti e Giovanni Maria Pancirutti, 1670, p. 28), tessendo le lodi di Antonio avrebbe ricordato il pericolo di scisma corso dalla Chiesa di Roma ed esaltato la moderazione da lui mostrata in quell’occasione, tale, diceva, da candidarlo addirittura al soglio pontificio: «Era il Cardinale con tutta la sua gran Casa nel più tempestoso di fiera persecutione, quando rumoreggiando nelle Gallie il fremito d’un scisma nascente che haverebbe potuto a lui ed a suoi ricondurre le calme, se gli havesse prestati i ricercati fomenti, Giona incolpato, si contentò di sacrificare se stesso per ritogliere la navicella di S.Pietro da gl’ondeggiamenti d’una fluttuante Marea, onde non sarebbe strano, come tal’uno s’è persuaso, che potesse un giorno esser della medesima navicella il Pilota ed il Nocchiero...». Per la verità, ben poco degli avvenimenti di cui Antonio era protagonista dipendeva dalla sua volontà e la sua prudenza non era certo disinteressata.

[14] Quando era fuggito, Antonio aveva incaricato, tra gli altri, l’abate Vaini, suo familiare, di far arrivare in qualche modo al Papa le sue richieste di perdono. Vaini si era rivolto prima a Panciroli, che, come ho già raccontato, aveva rifiutato di esporsi, poi al Cardinale Cornaro, che, invece, «abbracciando l’occasione di palesare il riconoscimento del debito che professava verso i Barberini» (ma anche, occorre aggiungere, conformandosi alla volontà della Repubblica di Venezia, ormai interessata a un riavvicinamento tra il Papa e la Francia) non solo compì l’ambasciata, ma intervenne anche in seguito e ripetutamente in favore di Antonio (T.Raggi, cc. 70v-71r). Ringraziandolo, Antonio ribadiva da Genova il 17 ottobre le ragioni della sua fuga: «risarcir la mia riputazione con racquistare quel più della gratia di S. M. Christianissima che da me possa desiderarsi [...] et così dare a divedere a miei emoli che l’haver servito alla persona di Sua Santità con tanto servitio della Chiesa non mi conservava quei pregiuditii che loro a tal titolo mi havevano procacciati». Poiché il Papa sembrava muoversi proprio nel senso di una rottura irrimediabile (alla sostituzione di Antonio nella carica di Camerlengo aveva provveduto con un breve che ordinava al Cardinale Federico Sforza «non già di essercitare pro interim il Camerlengato, ma in forma tale che pare sii nuova elettione e ne resti totalmente privo il medesimo Cardinale Antonio»: ASVe, DAS, Roma 123, c. 20v, Alvise Contarini, 21 ottobre 1645), Antonio pregava Cornaro di intercedere per una soluzione di buon senso, che lasciasse tempo e spazio alle trattative: «desidero con estrema ansietà veder rimossa [...] quella figura che mi dimostra contumace appresso di Sua Santità e di permettere a tale effetto che, in vigore delle mie facultà, restituendomele Sua Beatitudine, io possa diputar per me stesso quelli che più vole la Santità Sua» (BAV, Barb.lat. 8800: a cc. 44r-46r le lettere al Cornaro e al Papa del 17 ottobre e la lettera a Francesco che accompagnava le precedenti; un’altra lettera al papa da San Remo dell’11 novembre a c. 56r. Altre lettere giustificatorie di Antonio, tra cui quella a Francesco del 28 settembre e una a Rapaccioli del 17 ottobre 1645, in BAV, Ott.lat. 3267, parte I, cc. 9-10). Lettere di Cornaro ad Antonio in BAV, Barb.lat. 8705: Cornaro era in contatto a Roma con Gio Antonio Costa. L’abate Vaini fu tra gli organizzatori della fuga di Francesco e Taddeo. Sulla famiglia Vaini, imparentata con i Barberini, cfr. BAV, Barb.lat. 8680, cc. 193, 202, Alessandro Bichi a Francesco Buti, 1650, a proposito di uno screzio tra il Colonnello Carlo Vaini e Antonio Barberini (su cui vedi anche BAV, Barb.lat. 8801, c. 60, Antonio Barberini a Anna Colonna, 15 settembre 1649: Antonio parla di «piccole dissentioni» e «bagatelle», ma in realtà finì col licenziarlo dal suo servizio: 8802 cc. 44, 45, 48-49, 51-54, 65). Carlo Vaini aveva servito nella guerra di Castro come comandante di una compagnia di corazze.

[15] Il 20 dicembre, da Torino, in una lettera destinata a circolare, Antonio assicurava che, appena giunto a Parigi avrebbe chiesto ai Reali «per la maggiore di tutte le gratie di lasciarmi al libero arbitrio di Sua Santità [...] facendo mia gloria maggiore l’incontrare anche ogni severo trattamento dal mio principe che il fuggire di rendergli conto di me nella forma che Sua Beatitudine sappia desiderare et io devo dargli. Questi sentimenti se è possibile desidero che si sappia che vivono in me». E aggiungeva di sperare che il Papa acconsentisse a «che siano pubblicate queste poche righe con le quali intendo obligarmi appresso del mondo a tutte quelle sodisfattioni a Sua Santità che Ella sappia desiderar da me» (BAV, Barb.lat. 8800, cc. 46v, 51r, 62-63). Diverse lettere e memoriali, anche a stampa, di Antonio (a Francesco del 28 settembre, al Papa del 4 ottobre, a Rapaccioli del 17 ottobre 1645, tutte da Genova) e Francesco Barberini (al Papa del 18 e del 23 gennaio 1646) in giustificazione della fuga sono raccolti in BAV, Barb.lat. 8782. Vedi altro materiale in BAV, Arch. Barb., Indice IV, 222 e 223.

[16] ASV, Segr. Stato, Francia 92, Cifre del Nunzio Bagni, cc. 305-306, 327, 329, 344, 367-368 dispacci del 25 ottobre, 17 e 24 novembre, 8 e 22 dicembre 1645.

[17] ASVe, DAS, Roma 123, cc. 35-36, Alvise Contarini, 28 ottobre 1645.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

*

Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
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