Ritorno in armi: 3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

Orbetello

Nel frattempo l’arrivo dell’armata in Toscana aveva rincuorato gli amici romani della Francia. Il sanguinoso incidente - una strana battaglia di strada di cui fecero le spese soprattutto passanti e spettatori - provocato il 29 aprile dal cardinale d’Este, Protettore di Francia, tra il proprio armatissimo seguito e quello dell’ambasciatore di Spagna, Juan Enrìquez de Cabrera, Almirante di Castiglia, era stato il segnale del ritorno in forze del partito francese in Roma.[1] Più o meno negli stessi giorni, il cardinale d’Este aveva preso l’iniziativa di raccogliere tra i cardinali adesioni ad un suo memoriale in favore dei Barberini. Il documento fu sottoscritto subito da Cornaro, Rocci, Ginetti e, scriveva Grimaldi, «di mano in mano sottoscrivono gl’altri, ma non tutti, né quelli ugualmente con prontezza».[2] Grimaldi, che aveva saggiato a suo tempo la possibilità che i cardinali creature dei Barberini si dichiarassero per la Francia incontrando molte reticenze e qualche brusco diniego, ora sperava che «col valore della vicinanza dell’armi francesi [...] molti saranno per pigliar vigore e fare quella risolutione che fin qui non hanno ardito di fare».[3] In giugno il cardinale Teodoli, che da qualche mese era stato pubblicamente riammesso nelle grazie del Re, innalzò le insegne di Francia sul suo palazzo e si diceva che lo stesso fossero per fare i cardinali Orsini, Giori e Rapaccioli.[4]
Nelle operazioni sotto Orbetello, però, non tutto andava per il verso giusto. Fin dall’inizio erano emerse difficoltà e lentezze. Sul finire di maggio, suscitando le ire del Papa, il cardinale Grimaldi aveva raggiunto l’armata «per curiosità di vederla», ma anche per studiarne le necessità e organizzare l’invio di aiuti.[5] Il 29 scrivendo a Francesco Barberini da Toscanella prevedeva prossima la caduta della piazza: «se ne spera l’aquisto fra sei o otto giorni». Da Roma il 4 giugno diceva ancora di attenderla «di momento in momento».[6] In realtà fin dal 28 maggio Giannettino Giustiniani, che era in costante contatto con i capi della spedizione, aveva avvertito Mazzarino che l’impresa non sembrava più così facile come all’inizio. A Genova circolavano voci sempre più insistenti circa una possibile lega fra Spagna, il Papa, il Duca di Parma e il Granduca di Toscana, che forse si era pentito di aver concesso ai Francesi la sua neutralità. A metà giugno Giannettino Giustiniani riteneva urgente l’invio di consistenti rinforzi a Orbetello. «Mi fanno languire dal campo sotto Orbitello», scriveva una settimana più tardi, «con le continue differite speranze che mi danno della conquista di quella piazza». Ma il 26 giugno disperava ormai del successo.[7] Negli stessi giorni anche l’ambasciatore veneto prevedeva imminente l’abbandono dell’impresa da parte dei Francesi.
Il cardinale Albornoz aveva chiesto il passo nei domini pontifici per le truppe destinate al soccorso della piazza assediata e il Papa mentre ufficialmente glielo negava, glielo concedeva di fatto. L’arrivo dei rinforzi spagnoli avrebbe reso insostenibile la situazione dei Francesi a meno che anche a questi ne fossero tempestivamente arrivati in misura adeguata[8]. In effetti ai Francesi i rinforzi arrivarono, ma l’azione spagnola partita da Castro costrinse Tomaso a ritirarsi a Talamone o per lo meno gliene fornì il pretesto. E qui fu subito chiaro che i Francesi non avrebbero potuto resistere.

«Il Signor principe Tomaso», scriveva Girolamo Grimaldi il 23 luglio al cardinale Barberini, «quando credevamo dovesse introdursi dentro Orbitello se gli levò di sotto il giorno delli 18 di questo mese nel medemo tempo che l’Armata navale sbarcava 3000 fanti per suo rinforzo. Sua Altezza rappresenterà alla Corte i motivi che l’hanno portato a tale risolutione. In Roma non ha ricevuta niun’aura, anzi se n’è parlato con gran pregiuditio della sua fede verso il buon servitio della Corona e ne sono state dette cose che io non ardisco di riferire».[9]

A Roma si parlava da tempo di un cardinalato offerto al Principe per un suo figlio undicenne, purché avesse rinunciato ad attaccare, come pare che suggerisse di fare il cardinale Grimaldi, lo Stato Ecclesiastico e si diceva che Tomaso avesse fornito ampie assicurazioni in proposito all’inviato del Pontefice.[10] Ma sulle responsabilità della sconfitta i pareri erano diversi e non tutti sfavorevoli a Tomaso. Jacques Bidaud, ad esempio, nominato segretario dell’ambasciata di Francia a Roma, a Siena, dove aveva fatto tappa nel viaggio verso la sua nuova sede, aveva raccolto le confidenze d’un gentiluomo francese apparentemente molto bene informato della situazione sotto Orbetello.

«la verità», riferiva a Francesco Barberini, «è che gli soldati, né meno gli capi, non potendo più soffrire gli mali trattamenti che ricevevano nel vivere et in ogni altra cossa dalli commissari hanno senza combatimento alcuno como desperati abbandonato le trincere».

Parrebbe una buona conferma della tesi sabauda del complotto dei comandanti francesi per eliminare il principe Tommaso, considerato un intruso.

«Il sig. Abbate di San Nicolas», continuava Bidaud, «è andato per risolvere con Sua Altezza che si haverà da fare et informare per quanto stimo di tutto quello si è passato in questo incontro volendo Sua Altezza levarsi il biasimo et l’odio che sin adesso casca tutto sovra di lei per non sapersi la verità».[11]

Chiunque ne avesse il merito o la colpa, la sconfitta francese fu accolta a Roma con esultanza. Il Papa «lontano dalla moderatione», a giudizio di Grimaldi, «ha fatto di questo successo più festa che li Spagnuoli medemi».[12] Viceversa un sentimento di sconforto dilagò tra i seguaci della Francia (e dei Barberini) «restando noi ancora qui», scriveva Grimaldi, «abbandonati alla petulanza et alla villania de nemici».[13]




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[1] BNR, FVE 984, cc. 1-42, Discorso sopra tutte le differenze seguite tra li Signori cardinale d’Este et Almirante di Castiglia col totale aggiustamento. Cfr. le scritture raccolte ivi, 1317 cc. 190 sgg., 204 sgg., 216 sgg., 228 sgg., 242 sgg., in BAV, Chig. O.I.7 e N.III.69, in ASM, CP, 230 e DP, 434 e naturalmente quelle pubblicate in Siri, Mercurio, VII, 1667, I, pp. 74-110. Rapaccioli si rallegrava dell’accaduto con Francesco Barberini il 4 di maggio: «Gli accidenti di Roma danno a me occasione di congratularmene con Vostra Eminenza sì per conto proprio di lei e della sua Eccellentissima Casa, come per quello della Francia». Tutti hanno «fuori d’ogni aspettatione e con meraviglia singolare veduto che il partito francese si è saputo armare in modo che ha potuto con sovranità non che con vantaggio campeggiare e fronteggiare co lo spagnuolo». Il successo era stato tale da permettere che «doppo haver ridotto l’Almirante a partire co le trombe nel sacco» e dopo la pace fatta col suo avversario, il cardinale d’Este ne trionfasse riportandolo a casa nella sua carrozza tra una folla festante e plaudente al grido di "Viva il Cardinal d'Este" (BAV, Barb.lat. 8746 cc. 8-9). Cfr. Pastor, XIV, I, pp. 46-47. Coville, pp. 124-125. Lo strano di questa battaglia è che i due seguiti non entrarono mai davvero in contatto: le sparatorie (e i morti) furono opera del caso, della disorganizzazione o, forse, di agenti provocatori.

[2] «Si scrive dal Signor cardinale d’Este a cardinali creature che sono fuori. Io non ho mandato copia del memoriale al Signor cardinale Mazzarino e resterà nell’arbitrio di Vostra Eminenza farglelo vedere o mandarglelo quando l’Eminenza Vostra sia partita dalla Corte» (BAV, Barb. lat., 8723 cc. 84-85, Girolamo Grimaldi a Francesco Barberini, 21 maggio 1646). Il cardinale Spada, a cui Rinaldo d’Este si era rivolto per primo, rifiutò di firmare dicendo di «haver assai operato nel maturar la durezza del Papa e che però non era servitio di Vostra Eminenza [ossia del cardinal Barberini] che egli facesse cosa di disgusto a Sua Santità, onde ne venisse a perder la tal qual confidenza che gode» (ivi, c. 80, 14 maggio 1646). Aggiunse anche che un’azione collettiva - «l’unione delle creature d’Urbano in supplicare il Pontefice» - come quella proposta da Rinaldo avrebbe avuto sapore di congiura e che «questa era la strada di pregiudicare al negozio» (ASM, CP, 230, Rinaldo d’Este a Francesco I, 11 maggio 1646). Spada firmò più tardi quando fu certo che Innocenzo non se la sarebbe presa a male (la lettera di ringraziamento di Antonio a Spada è in ASV, Fondo Spada, 8, c. 205, Parigi, 28 agosto 1646). Durazzo e Monti firmarono in luglio (BAV, Barb.lat., 8013, c. 6r, Bidaud a Francesco Barberini, Roma 11 luglio 1646) ma le loro firme non compaiono tra quelle riportate in Siri, Mercurio, VII, 1667, I, pp. 182-183. «Il memoriale sottoscritto dalle creature di Urbano», commentava Mazzarino col cardinal Rinaldo il 15 luglio, «per la lunghezza c’ha portato seco il negotio ha perduto assai del suo vigore, mentre il Papa ha havuto tempo di pensarvi e di far credere che ciò si facesse di suo gusto. Ne havremo però sempre cavato questo vantaggio di conoscere la prontezza di ciaschedun cardinale e di far apparire l’unione di questa fattione. Confesso per la verità a V.Em.za ch’io havrei lasciati fuori i cardinali Spada e Pansiroli, né l’havrei dato loro campo di purgarsi, con la sottoscrittione, di quella nota di poca gratitudine nella quale sono incorsi» (ASM, PE, Roma 1393/132).

[3] BAV, Barb. lat., 8723, cc. 82-83 foglio accluso al disp. di Girolamo Grimaldi a Francesco Barberini del 14 maggio (ma cfr. il disp. cifrato del 16 aprile a c. 74): Fausto Poli si era inteso con i Fiorentini e non poteva pronunciarsi per la Francia. Rondinini cercava di sottrarsi a una dichiarazione pubblica affermando per altro che «l’obligava più verso la Francia la protettione vigorosa che questa mostrava a difesa dell’oppressioni della Casa Barberina che se gli havesse dato centomila scudi di pensione». Gabrielli dichiarò a Grimaldi «a lettere di scattola che voleva prima stare a vedere che li Francesi havessero pigliato più vigore in Italia, perché altrimenti a lui non tornava conto il dichiararsi». Da Rossetti, diceva Grimaldi, «non mi pare che possa sperarsi cosa di buono». Solo Giori, che già aveva rifiutato le offerte fattegli dagli Spagnoli, aveva rivendicato la sua libertà e detto «tanto chiaramente» a Grimaldi che «stava risolutissimo di non voler niente da niuno, dicendo d’haver per gratia di Dio tanto dalla Santa Memoria d’Urbano e dalla Casa Barberina che poteva viversene libero da povero cardinale» che, confessava Grimaldi, «mi chiuse l’adito ad insinuarli sensi in contrario».

[4] ASVe, DAS, Roma 124, c. 19, 16 giugno 1646. Quanto a Giori, però, vedi la nota precedente.

[5] ASVe, DAS, Roma 123, c. 397, 26 maggio 1646: il Papa era irritato col cardinale Grimaldi «perché s’habbi condotto con carrozza a sei e molti cavalli all’armata francese oltre altri 150 cavalli che furono condotti alla stessa la settimana passata dal Sig. Francesco suo fratello e per quello che lo tiene troppo interessato con Barberini, de’ quali è commesso e tratta tutte le cose loro». I Barberini in effetti avevano affidato ai Grimaldi l’incarico di arruolare truppe per Orbetello. Il Papa si era lamentato della cosa anche con il cardinale d’Este: AAE, CP, Gênes 5, cc. 109-113, Giannettino Giustiniani a Mazzarino, Genova, 4 giugno 1646.

[6] BAV, Barb.lat., 8723, cc. 86, 29 maggio 1646, e 88, 4 giugno 1646.

[7] AAE, CP, Gênes 5, cc. 109r-113r, 4 giugno, cc. 120r-125r, 11 giugno, cc. 128r-133r, 18 giugno, cc. 143r-144v, 26 giugno 1646 e ivi, Gênes 6, cc. 7r-19r, 3-6 luglio 1646.

[8] ASVe, DAS, Roma 124, cc. 27v, 23 giugno, e 45, 7 luglio 1646. Ancora il 13 luglio Raffaele Della Torre, tornando ad offrire i suoi servizi ai Barberini, giudicava soddisfacente la situazione delle armi francesi. «Mi fu resa da Mons. di Bidau», scriveva a Francesco, «la benignissima lettera di Vostra Eminenza accompagnata dall’espressione di quelle gratie che sono proprie del suo gentilissimo costume. E quanto più ne resto confuso per trovarmi lontanissimo da meritarlo, tanto si fa più ardente il mio desiderio che mi s’apra occasione d’impiegarmi in modo nel servitio di Vostra Eminenza, ch’io possa significarli con i fatti quella mia sincera divotione che non ho parole da spiegarli in questo foglio. Mi rallegro intanto con Vostra Eminenza che l’armi di Sua Maestà Christianissima si trovino in tale stato in Maremma, onde possano sperarsi in breve que’ successi negl’interessi di Vostra Eminenza che tutti buoni stanno avidamente attendendo, nelli quali pare che la disgratiata morte di Mons. di Bressé, per altro dolorosa, habbi ancor essa cooperato mirabilmente poiché oltre haver aperta l’occasione a due tentativi del soccorso di Orbitello, il primo fatto senza forze et il secondo senza consiglio, onde egualmente riuscirono infelici a chi gl’intraprese, ha servito di motivo all’Armata di ritornare in Provenza e condurre il supplemento al principe Tomaso in tempo opportunissimo per la fama della venuta della cavalleria di Napoli, poco per altro da temersi, scompagnata massime da nervo di fanteria, e fuori di possibilità d’ottenerlo dall’Armata di mare per li ricontri havuti con la speranza per aventura della quale si pose in camino. Li avenimenti della guerra, benché varii per dipender da varie cagioni, non mi tengon dubbioso in questo caso salvo per la malignità dell’aria di que’ luoghi in questa stagione, contro la quale non vale impugnar lancia o spada. Iddio ad ogni modo non abandona mai le caose giuste, onde quella di Vostra Eminenza è in sicuro, né può temere d’altro sinistro che di un poco di maggior dilatione, la quale fosse servito d’interponere per sua maggior gloria. Et bene so io che Vostra Eminenza ha petto di sostenerla con ogni tranquillità, degna secondo me di ammiratione più per questo che per le tant’altre prerogative ch’il rendono singolare dell’età nostra» (BAV, Barb.lat., 10036, c. 224).

[9] BAV, Barb. lat., 8723, c. 105, Girolamo Grimaldi a Francesco Barberini, 23 luglio 1646. «Stupiscono li Francesi», scriveva l’ambasciatore veneto il 28 luglio 1646, «come habbi il medesimo Prencipe Tomaso abbandonato l’assedio d’Orbitello, mentre asseriscono che havevano sbarcato tutto il numero della gente che era stata ricercata da lui promettendo d’andar ad incontrare li Spagnoli e di combatterli». Anche Saint Nicolas ebbe in quei giorni a «mostra[r] sentimento di questa partenza» (ASVe, DAS, Roma 124, cc. 79r e 88r). Nella citata nota su Quello si dice haver scritto li cardinali Grimaldo, Este et abbate di S. Nicolas in proposito della resa di Orbetello si attribuiva a Grimaldi, Saint Nicolas e Gueffier una relazione molto dura con il principe Tomaso, accusato di essersi «inteso con Sua Beatitudine» e che Este aveva evitato di sottoscrivere per riguardo allo zio. Sembra che la relazione attribuisse il fallimento dell’impresa, oltre che a Tomaso, agli aiuti in uomini e denaro forniti dal Papa agli Spagnoli (sui quali cfr. tra l’altro Gigli, pp. 366-371). Una scrittura proveniente da Palazzo e probabilmente diretta a Maccarani perché ne riferisse a Mazzarino (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 223, incipit: “Si potrà scrivere che il Papa...”) rispondeva alle accuse rivendicando l’equidistanza mantenuta dal Papa in tutta la vicenda: «Posso assicurare V. S. che si è procurato di fare la diligenza con equalità ma che in ogni caso il maggior vantaggio è stato della Francia» - il riferimento qui è evidentemente agli aiuti rumorosamente raccolti nello Stato Ecclesiastico per gli assedianti dal cardinale Grimaldi e da suo fratello destando le ire del Papa (ASVe, DAS, Roma 124, c. 80r, 28 luglio 1646) - «et V. S. sa quante volte habbiamo hauto occasione di lamentarci di questi ministri di Francia che il tutto hanno fatto tanto scopertamente et con qualche violenza». Il fatto è, concludeva la scrittura, che «quando si è visto che la impresa di Orbetello non è riuscita ogn’uno ha trovato inventioni per scusarsi et è facil cosa che in conformità ne scrivano costà intaccando la neutralità di Nostro Signore». Il che, se era vero per quel che si diceva degli agenti francesi, lo era assai meno per quel che riguardava il Papa.

[10] ASVe, DAS, Roma 124, c. 18, 16 giugno 1646: «Continua qui l’abbate Boschetti mandato espressamente dal Prencipe Tomaso a procurar di giustificare le attioni del Padrone mentre li Francesi molto si lamentano delle sue longhezze [...]. Li Francesi però non lasciano d’havere sospetto delle attioni di lui che cammini con risserve con questa parte e dilunghi l’impresa. La verità è che di qua hanno usato diligenza per trovare soggetto che vadi a parlarli per nome del Papa e del cardinale Panfilio stimando habbi inclinatione grande di far uno de suoi figlioli cardinale onde per eccitarlo a procedere con rispetto si procura di allettarlo e di lusingarlo, mentre il Papa sin hora si è mostrato molto alieno dal compiacerlo». Ivi, c. 71v, 21 luglio: «qui se li è data parola che se il Signor Dio darà vita a Sua Beatitudine farà certo cardinale uno de suoi figlioli quando habbi 15 anni, hora tenendone 11». L’abate Boschetti era arrivato a Roma il 7 giugno. Tra i suoi compiti c’era quello di concordare con Rinaldo d’Este le iniziative che il Duca di Modena avrebbe potuto prendere in favore della Francia, ma la cosa era stata poi affidata al fratello dell’abate, il colonnello Boschetti, inviato direttamente a Modena (ASM, CP, 230, Rinaldo d’Este a Francesco I, 8 giugno 1646). A proposito dell’offerta di un cappello cardinalizio per uno dei figli di Tomaso va ricordato che la voce era già circolata in più occasioni; nell’aprile del 1645, ad esempio, Battista Nani dava per certo che «quando con Spagnoli [Tomaso] haveva a Milano la prattica in piedi, la Santità Sua di moto spontaneo gli fece per li figlioli offerir un capello» (ASVe, DAS, Francia 102, c. 71r, 4 aprile 1645).

[11] BAV, Barb.lat. 8013, cc. 7-8. «Supplico a Vostra Eminenza», aggiungeva Bidaud, «non nominare ad alcuno da chi tiene gli avvisi ch’io le ne dò, né meno scriverlo a M. di Lione e mentre Vostra Eminenza si ricordi Le ho detto altre volte intorno a questa persona che puoco havevo conosciuto amico de forastieri». Sulle accuse di tradimento o incapacità del principe Tomaso vedi tra gli altri Brusoni 1661, p. 177 (su cui Bertelli, p. 216, che parla di «linciaggio morale»), Carignani, pp. 77-78, Tornetta, 1642, II, pp. 100-117. Favorevole a Tomaso anche la testimonianza di Giannettino Giustiniani, che da Genova aveva seguito sin dall’inizio e, si può dire, giorno per giorno l’impresa di Orbetello: vedi Marinelli 2000, p. 19.

[12] BAV, Barb.lat., 8723 c. 104, appunto non datato, ma della fine di luglio, di Girolamo Grimaldi. ASVe, DAS, Roma 124, c. 72, 21 luglio 1646; Arnauld, II, pp. 445 sgg., Saint Nicolas a Mazzarino, 30 luglio 1646.

[13] BAV, Barb.lat., 8723, c. 122, 13 agosto 1646.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

*

Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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