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Micanzio e le buone penne: b1 b2 b3 b4 b5 Il controllo della stampa L’allarmata denuncia di Micanzio non riguardava l’ordinaria censura ecclesiastica né l’ufficio
degli inquisitori,[1] ma qualcosa
di assai diverso e di più intrigante: il controllo informale della stampa in
Italia, e cioè la capacità della Corte pontificia di condizionare in diversi
modi le iniziative di editori e autori. Non sono in grado di dire quanto
l’accusa fosse fondata: di certo non era manifestamente
infondata, anche se, col senno di poi, sembra attagliarsi meglio
all’ambiziosa età dei Barberini appena conclusa, che non a quella,
politicamente e intellettualmente assai più grigia, che stava per iniziare.
«Desidero che Vostra Signoria senza far strepito stia avvertito perché costà non si ristampino i tre tomi dello Spondano che continuano gli Annali del Baronio».[2] Al che Vitelli rispondeva in tono rassicurante: «Non credo vi sia pericolo che un’opera come quella del Spondano si ristampi qua, dove li stampatori non hanno tanto potere, ma tuttavia vi si starà avvertito et crederei ancora che se vi fosse qualche particolarità, quando si ristampasse si potria far levare, se sapessi che cosa fosse. Ancora non capita qua l’opera sudetta».[3] Le parole di Vitelli lasciano intendere una certa
familiarità con questo genere di interventi. Negli anni di cui mi occupo il
nunzio poteva anche giovarsi allo scopo di un collaboratore di eccezione:
Vittorio Siri. La gamma dei servizi che
Siri rendeva al nunzio era piuttosto ampia ma tra gli altri c’era, appunto, anche in
conformità a esplicite e ripetute richieste del Cardinale Barberini,[4]
la segnalazione dei libri che in un modo o nell’altro potessero interessare la
Corte di Roma e che si trovassero in circolazione sul mercato di Venezia o in
approntamento nelle sue tipografie.[5] In fondo anche la faccenda del Corriero svaligiato di Ferrante Pallavicino, in cui Siri ebbe, come vedremo meglio in seguito, la parte del delatore, può
essere considerata una forma un po’ speciale di segnalazione libraria.
«Il Gualdi», scriveva Vitelli il 7 settembre 1641, «con mancamento di quello che promise di correggere la sua opera, quando hebbe ripreso li suoi libri ne fece partito con librai al meglio che ha potuto et se n’è quietamente ritornato a Vicenza […] Per quello che vedo egli non cerca altro con queste stampe che guadagnar qualche lira. […] Ho poi trovato che affermando lui di non havere scritto a Roma sopra l’anotationi che io gli dissi farsi nelle sue Historie di cose non conformi alla verità di fatto, egli è stato dallo stampatore a fare una tagliata, argumentando, che non possa essere venuta da altri che da lui la notitia, che se n’era havuta. Ne ho fatto passare doglianze seco, ma in somma ogni giorno più riesce di minor cervello»[7]. Tra i dispacci di Vitelli c’è la nota delle correzioni da apportare al testo di Gualdo Priorato, che è un piccolo ma significativo esempio del tipo di preoccupazioni nutrite dalla Corte dei Barberini in fatto di storia recente. C’è da osservare in proposito, che le modifiche imposte da Roma miravano, dopo tutto, a fornire, con una migliore immagine della politica pontificia, una migliore informazione ai lettori: «Cose da accomodarsi nel Gualdo Alla metà di settembre Vitelli riferiva a Roma i risultati dei suoi primi interventi: «Mi dolsi con il Conte Gualdo conforme avvisai a Vostra Eminenza; mi rispose haver accomodato il foglio dove racconta il fatto del cavallerizzo di Coure, et dice di haver coretto nel foglio 16 che quello che fu condennato alla galera fusse uno che teneva il gioco sotto l’ombra dell’Ambasciatore Cesareo et di haver meso nel foglio della corettione sotto l’ombra d’alcuni; et poco più sotto dove diceva ad intercessione del detto Ambasciatore di haver coretto ad intercessione di un soggetto et di haver totalmente levato nel foglio 27 ‘benché l’accomodamento si trovasse vicino all’effetto concorde’ et poco più di sotto ‘mentre si trattava l’accordo’; di haver nel foglio delle corettioni coretto Mons. Feragallo segretario delle cifre mentre diceva Mons. Feragallo Cameriere d’honore di Sua Santità, usando la voce che qua si usa di chiamar tutti li preti Monsignore e non so perché non l’habbia nominato famigliare come se gl’era detta. La parola ‘contributione’ nelle margini dice di haverla levata con un bolettino incollato e di haver levato nel foglio 100 ‘in contributioni domestiche’ et detto ‘in contributioni necessarie’ con un bolettino incollato. Il negotio di Lucca non lo altrimente, onde ho preso partito di far trattare da terza persona con li mercanti che hanno comprato li libri di far ristampare alcuni fogli intieramente in nome dell’autore, et hanno detto che lo faranno a sue spese et così si andarà facendo, ma sarebbe meglio che Vostra Eminenza ne facesse mandar subito la corretione de luoghi più importanti; et se non stesse bene la corretione del negotio di Coure, di Lucca e delle contributioni domestiche, et se si vuol altro, che si farebbe più aggiusttamente; che nel ristamparlo poi si potria aggiustar gl’errori minori et il resto. Rimando la copia de gl’avvertimenti che mi fu mandata perché in essa mi si possa ordinare». Alla fine del mese la revisione non era ancora terminata. Siri vi stava lavorando assiduamente, ma l’impresa si presentava più ardua del previsto: «La coretione del Gualdi avvisata a Vostra Eminenza, in un esemplare che ne ho io si vede nel foglio delli errori coretti. Stiamo attorno all’accomodamento del resto, ma vi va della fattura assai e non tralascio alcuna fatica perché si compisca». E visto che si stava ancora lavorando al testo e visti soprattutto gli sviluppi della questione di Castro, «crederei fusse bene», scriveva il 19 ottobre, «che Vostra Eminenza mi mandasse la relatione dal principio sin’hora delle cose di Castro, perché procurariamo di farla stendere in conformità ancora dal Gualdo»[8]. paragrafo precedente * paragrafo successivo * inizio pagina
[1] Su cui invece si soffermavano altri suoi consulti, per esempio quello, occasionato da alcuni decreti della Congregazione dell’Indice, in ASVe, CI 51 b, cc. 199-200 (Barzazi , n. 1234). Micanzio si richiamava al concordato con la Santa Sede del 1596, che stabiliva il diritto dei vescovi e degli inquisitori di proibire libri, limitatamente però a quelli «contrari alla religione, forastieri e con false o finte licenze». Quanto a «quelli che si volessero [proibire] per altra causa non aspettante alla fede o religione non appartiene agl’Ecclesiastici, ma è proprio della potestà secolare, sì come anco il punire gl’errori che non sono contro la Religione o contro l’honestà o contro il ben publico è carico della potestà secolare e non dell’ecclesiastica essendo queste due potestà distinte et havendo cadauna la materia sua propria». In altra occasione, a proposito della Pudicizia schernita e della Rete di Vulcano, Micanzio non aveva esitato a riconoscere nelle opere proibite dal Sant’Uffizio «qualche lascivia non convenevole ai buoni costumi», ma aveva ribadito che «il prohibir per questo titolo non aspetta al Sant’Officio che ha cura della religione»: Barzazi, n. 713, p. 49. [2] BAV, Barb.lat. 7764, cc. 9v, 17v, 91r, 18 e 25 gennaio e 3 maggio 1642. [3] BAV, Barb.lat 7723, c. 36, dal nunzio, 10 maggio 1642. [4] Il 1° febbraio del ‘42, per esempio, Barberino inviava a Vitelli «una nota di libri et scritture che da Venetia sono trascorse in parti lontane e se V.S. giudicherà vi sia cosa degna della mia notitia, mi sarà caro di haver l’opere»: ASV, Segr. Stato, Venezia 66, c. 62v. [5] Della segnalazione di libri e scritture da parte di Siri si parla più volte nei dispacci di Vitelli: per esempio in BAV, Barb.lat. 7720, c. 75, 19 ottobre 1641 («l’opera del padre Abbate Gaetano, che già scrissi faceva stampar l’Olmo, me la diede Don Venturino») e c. 105, 2 novembre («L’istesso manda a Vostra Eminenza l’acclusa opera tradotta dal franzese et fatta stampare da lui, nella quale pretende che si dica molto bene di Sua Santità che io non l’ho potuta vedere ancora, essendo capitata solo hoggi. Ricordo a Vostra Eminenza la sua persona». Non so di quale opera si trattasse, ma Barberino in ogni caso non ne era entusiasta: «della opera però ch’egli ha voltato ne lessi gran parte in lingua franzese; non mi parve però ch’in un largo campo da dir molte cose et buone ne dicesse molte et scelte»: BAV, Barb.lat. 7763, cc. 41v-42r). Anche l’informazione che Vitelli trasmetteva a Barberino il 23 novembre 1641 (BAV, Barb.lat. 7719, c. 37r: «La risposta fatta dall’Olmo al libro del Contiloro che fu data a vedere a Giacomo Marcello et al Ponte, gli stessi l’hanno rimessa a fra Fulgentio, quale trovandola confusissima ma con qualche cosa di buono ha consigliato che si dia allo Sciopio che sta in Padova perché l’ordini et almeno la renda cospicua con la lingua latina che possa comparire et così si crede che seguirà») sembra provenire dal Siri. [6] «Et lui ancora è attorno all’accomodamento dell’Historia del Gualdi»; «gli ho data la cura delle stampe delle Historie del Gualdi»: BAV, Barb.lat. 7720, cc. 31r, 40v, 28 settembre e 5 ottobre 1641. Le Historie del Gualdo, in due parti, furono pubblicate a Venezia dal Bertani nel 1640 e nel 1643 (ma la seconda parte porta la data del 1641). [7] BAV, Barb.lat. 7720, cc. 5v-6r. [8] BAV, Barb.lat. 7720, cc. 12, 75v. L’elenco delle Cose da accomodarsi nel Gualdo è a c. 18r. |
Claudio Costantini Fazione Urbana * Indice Premessa Indice dei nomi Criteri di trascrizione Abbreviazioni Opere citate Incipit Fine di pontificato 1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m Caduta e fuga 2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h Ritorno in armi 3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i APPENDICI 1 Guerre di scrittura indici Opposte propagande a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7 Micanzio b1 b2 b3 b4 b5 Vittorino Siri c1 c2 c3 c4 2 Scritture di conclave indici Il maggior negotio... d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7 Scrittori di stadere e1 e2 e3 A colpi di conclavi f1 f2 f3 f4 f5 f6 3 La giusta statera indici Un'impudente satira g1 g2 g3 g4 g5 L'edizione di Amsterdam Biografie mancanti nella stampa 4 Cantiere Urbano indici Lucrezia Barberini h1 h2 Alberto Morone i1 i2a i2b i2c i2d i2e i2f i2g i2h i3 i4 Malatesta Albani l1 l2 * * quaderni.net |