Micanzio e le buone penne: b1 b2 b3 b4 b5

Il controllo della stampa

L’allarmata denuncia di Micanzio non riguardava l’ordinaria censura ecclesiastica né l’ufficio degli inquisitori,[1] ma qualcosa di assai diverso e di più intrigante: il controllo informale della stampa in Italia, e cioè la capacità della Corte pontificia di condizionare in diversi modi le iniziative di editori e autori. Non sono in grado di dire quanto l’accusa fosse fondata: di certo non era manifestamente infondata, anche se, col senno di poi, sembra attagliarsi meglio all’ambiziosa età dei Barberini appena conclusa, che non a quella, politicamente e intellettualmente assai più grigia, che stava per iniziare.
Nelle corrispondenze dei nunzi – e in modo particolare, si capisce, in quella del nunzio di Venezia – sono frequenti i segni dell’attenzione dedicata da Roma all’attività editoriale ed al commercio librario e della volontà di intervenire nel settore in forme più o meno riservate. È da vedere, naturalmente, quanto questi interventi fossero efficaci e se nel complesso riuscissero davvero soverchianti, come lasciava intendere Micanzio, rispetto a quelli messi in atto, con mezzi e con fini in parte simili, dagli altri potentati d’Italia. È d’altra parte comprensibile che quell’interesse aumentasse in coincidenza della “guerra di scrittura” a cui queste note sono dedicate: le diligenze di Vitelli perché il manifesto di Parma non venisse ristampato a Venezia, le pressioni da lui esercitate con successo su Maiolino Bisaccioni perché rinunciasse al disegno di ristamparlo per suo conto, l’intera vicenda di Ferrante Pallavicino ne fanno testimonianza.
La sorveglianza di Roma non si limitava, però, neppure in questi anni, alle pubblicazioni direttamente o indirettamente riconducibili alla propaganda di guerra e ai libelli polemici o infamanti contro i Barberini, ma si esercitava sull’intera materia giurisdizionale, riservando anzi un particolare riguardo alle opere storiche ed erudite. Nel gennaio del 1642, ad esempio, poco dopo l’uscita dell’edizione parigina, Francesco Barberini, incaricava Vitelli di accertare «se in Venetia si trattassero di ristampare gl’Annali del Spondano», perché, scriveva, «sarebbe ben fatto vi accomodasse prima alcune cose». Barberino non diceva quali punti volesse “accomodare”, ma certo la cosa gli stava molto a cuore.Una settimana più tardi rinnovava la raccomandazione e di nuovo nel maggio successivo metteva sull’avviso il nunzio:

«Desidero che Vostra Signoria senza far strepito stia avvertito perché costà non si ristampino i tre tomi dello Spondano che continuano gli Annali del Baronio».[2]

Al che Vitelli rispondeva in tono rassicurante:

«Non credo vi sia pericolo che un’opera come quella del Spondano si ristampi qua, dove li stampatori non hanno tanto potere, ma tuttavia vi si starà avvertito et crederei ancora che se vi fosse qualche particolarità, quando si ristampasse si potria far levare, se sapessi che cosa fosse. Ancora non capita qua l’opera sudetta».[3]

Le parole di Vitelli lasciano intendere una certa familiarità con questo genere di interventi. Negli anni di cui mi occupo il nunzio poteva anche giovarsi allo scopo di un collaboratore di eccezione: Vittorio Siri. La gamma dei servizi che Siri rendeva al nunzio era piuttosto ampia ma tra gli altri c’era, appunto, anche in conformità a esplicite e ripetute richieste del Cardinale Barberini,[4] la segnalazione dei libri che in un modo o nell’altro potessero interessare la Corte di Roma e che si trovassero in circolazione sul mercato di Venezia o in approntamento nelle sue tipografie.[5] In fondo anche la faccenda del Corriero svaligiato di Ferrante Pallavicino, in cui Siri ebbe, come vedremo meglio in seguito, la parte del delatore, può essere considerata una forma un po’ speciale di segnalazione libraria.
Un caso di qualche interesse di cui ebbero a occuparsi Vitelli e Siri è quello delle Historie delle guerre di Ferdinando II e Ferdinando III imperatori e dal Re Filippo IV di Spagna contro Gostavo Adolfo Re di Svetia e Luigi XIII Re di Francia successe dall’anno 1630 fino all’anno 1640, di Galeazzo Gualdo Priorato. Con il Gualdo c’era, a quanto pare, un accordo esplicito circa il controllo preventivo di Roma dell’opera, anche se, forse per la fretta di mettere in circolazione la sua mercanzia, il prolifico pennaiolo era incline a sottrarsi agli impegni presi. Nel testo delle Historie erano state rilevate da Roma diverse improprietà e il libro fu bloccato da Vitelli quando già era in stampa e prossimo alla pubblicazione. Dopo il gran servigio reso con la cattura di Ferrante, Siri ottenne l’incarico della revisione del testo.[6]

«Il Gualdi», scriveva Vitelli il 7 settembre 1641, «con mancamento di quello che promise di correggere la sua opera, quando hebbe ripreso li suoi libri ne fece partito con librai al meglio che ha potuto et se n’è quietamente ritornato a Vicenza […] Per quello che vedo egli non cerca altro con queste stampe che guadagnar qualche lira. […] Ho poi trovato che affermando lui di non havere scritto a Roma sopra l’anotationi che io gli dissi farsi nelle sue Historie di cose non conformi alla verità di fatto, egli è stato dallo stampatore a fare una tagliata, argumentando, che non possa essere venuta da altri che da lui la notitia, che se n’era havuta. Ne ho fatto passare doglianze seco, ma in somma ogni giorno più riesce di minor cervello»[7].

Tra i dispacci di Vitelli c’è la nota delle correzioni da apportare al testo di Gualdo Priorato, che è un piccolo ma significativo esempio del tipo di preoccupazioni nutrite dalla Corte dei Barberini in fatto di storia recente. C’è da osservare in proposito, che le modifiche imposte da Roma miravano, dopo tutto, a fornire, con una migliore immagine della politica pontificia, una migliore informazione ai lettori:

«Cose da accomodarsi nel Gualdo
«Quello che fu condannato alla galera protetto da Rouré non è quel che teneva il gioco sotto la protettione pretesa dell’Ambasciatore Cesareo   fol. 26
«Non è vero che trattandosi l’aggiustamento e l’accordo tra il Card. Barberino e l’Ambasciatore Couré si fosse proceduto contro Rouré   fol. 27
«Ferragallo non è mai stato Cameriere d’honore, ma andò con titolo di uno de segretarii di Nostro Signore   fol. 69
«Non fu fatto decreto alcuno sopra le cose di Lucca nella dilatione dell’armi da Nostro Signore   fol. 74
«Mons. Raccagni non venne alle censure contro i luchesi trattandosi l’aggiustamento   fol. 76
«Il denaro esausto in contributioni domestiche: si desidera qui qualche moderatione   fol. 100
«Si sbassa troppo la soldatesca della Chiesa   fol. 117
«Contributione imposta etc. alla margine: le contributioni non s’impongono. Deve meglio aggiustarsi il luogho   fol. 223».

Alla metà di settembre Vitelli riferiva a Roma i risultati dei suoi primi interventi:

«Mi dolsi con il Conte Gualdo conforme avvisai a Vostra Eminenza; mi rispose haver accomodato il foglio dove racconta il fatto del cavallerizzo di Coure, et dice di haver coretto nel foglio 16 che quello che fu condennato alla galera fusse uno che teneva il gioco sotto l’ombra dell’Ambasciatore Cesareo et di haver meso nel foglio della corettione sotto l’ombra d’alcuni; et poco più sotto dove diceva ad intercessione del detto Ambasciatore di haver coretto ad intercessione di un soggetto et di haver totalmente levato nel foglio 27 ‘benché l’accomodamento si trovasse vicino all’effetto concorde’ et poco più di sotto ‘mentre si trattava l’accordo’; di haver nel foglio delle corettioni coretto Mons. Feragallo segretario delle cifre mentre diceva Mons. Feragallo Cameriere d’honore di Sua Santità, usando la voce che qua si usa di chiamar tutti li preti Monsignore e non so perché non l’habbia nominato famigliare come se gl’era detta. La parola ‘contributione’ nelle margini dice di haverla levata con un bolettino incollato e di haver levato nel foglio 100 ‘in contributioni domestiche’ et detto ‘in contributioni necessarie’ con un bolettino incollato. Il negotio di Lucca non lo altrimente, onde ho preso partito di far trattare da terza persona con li mercanti che hanno comprato li libri di far ristampare alcuni fogli intieramente in nome dell’autore, et hanno detto che lo faranno a sue spese et così si andarà facendo, ma sarebbe meglio che Vostra Eminenza ne facesse mandar subito la corretione de luoghi più importanti; et se non stesse bene la corretione del negotio di Coure, di Lucca e delle contributioni domestiche, et se si vuol altro, che si farebbe più aggiusttamente; che nel ristamparlo poi si potria aggiustar gl’errori minori et il resto. Rimando la copia de gl’avvertimenti che mi fu mandata perché in essa mi si possa ordinare».

Alla fine del mese la revisione non era ancora terminata. Siri  vi stava lavorando assiduamente, ma l’impresa si presentava più ardua del previsto:

«La coretione del Gualdi avvisata a Vostra Eminenza, in un esemplare che ne ho io si vede nel foglio delli errori coretti. Stiamo attorno all’accomodamento del resto, ma vi va della fattura assai e non tralascio alcuna fatica perché si compisca».

E visto che si stava ancora lavorando al testo e visti soprattutto gli sviluppi della questione di Castro,

«crederei fusse bene», scriveva il 19 ottobre, «che Vostra Eminenza mi mandasse la relatione dal principio sin’hora delle cose di Castro, perché procurariamo di farla stendere in conformità ancora dal Gualdo»[8].




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[1] Su cui invece si soffermavano altri suoi consulti, per esempio quello, occasionato da alcuni decreti della Congregazione dell’Indice, in ASVe, CI 51 b, cc. 199-200 (Barzazi , n. 1234). Micanzio si richiamava al concordato con la Santa Sede del 1596, che stabiliva il diritto dei vescovi e degli inquisitori di proibire libri, limitatamente però a quelli «contrari alla religione, forastieri e con false o finte licenze». Quanto a «quelli che si volessero [proibire] per altra causa non aspettante alla fede o religione non appartiene agl’Ecclesiastici, ma è proprio della potestà secolare, sì come anco il punire gl’errori che non sono contro la Religione o contro l’honestà o contro il ben publico è carico della potestà secolare e non dell’ecclesiastica essendo queste due potestà distinte et havendo cadauna la materia sua propria». In altra occasione, a proposito della Pudicizia schernita e della Rete di Vulcano, Micanzio non aveva esitato a riconoscere nelle opere proibite dal Sant’Uffizio «qualche lascivia non convenevole ai buoni costumi», ma aveva ribadito che «il prohibir per questo titolo non aspetta al Sant’Officio che ha cura della religione»: Barzazi, n. 713, p. 49.

[2] BAV, Barb.lat. 7764, cc. 9v, 17v, 91r, 18 e 25 gennaio e 3 maggio 1642.

[3] BAV, Barb.lat 7723, c. 36, dal nunzio, 10 maggio 1642.

[4] Il 1° febbraio del ‘42, per esempio, Barberino inviava a Vitelli «una nota di libri et scritture che da Venetia sono trascorse in parti lontane e se V.S. giudicherà vi sia cosa degna della mia notitia, mi sarà caro di haver l’opere»: ASV, Segr. Stato, Venezia 66, c. 62v.

[5] Della segnalazione di libri e scritture da parte di Siri si parla più volte nei dispacci di Vitelli: per esempio in BAV, Barb.lat. 7720, c. 75, 19 ottobre 1641 («l’opera del padre Abbate Gaetano, che già scrissi faceva stampar l’Olmo, me la diede Don Venturino») e c. 105, 2 novembre («L’istesso manda a Vostra Eminenza l’acclusa opera tradotta dal franzese et fatta stampare da lui, nella quale pretende che si dica molto bene di Sua Santità che io non l’ho potuta vedere ancora, essendo capitata solo hoggi. Ricordo a Vostra Eminenza la sua persona». Non so di quale opera si trattasse, ma Barberino in ogni caso non ne era entusiasta: «della opera però ch’egli ha voltato ne lessi gran parte in lingua franzese; non mi parve però ch’in un largo campo da dir molte cose et buone ne dicesse molte et scelte»: BAV, Barb.lat. 7763, cc. 41v-42r). Anche l’informazione che Vitelli trasmetteva a Barberino il 23 novembre 1641 (BAV, Barb.lat. 7719, c. 37r: «La risposta fatta dall’Olmo al libro del Contiloro che fu data a vedere a Giacomo Marcello et al Ponte, gli stessi l’hanno rimessa a fra Fulgentio, quale trovandola confusissima ma con qualche cosa di buono ha consigliato che si dia allo Sciopio che sta in Padova perché l’ordini et almeno la renda cospicua con la lingua latina che possa comparire et così si crede che seguirà») sembra provenire dal Siri.

[6] «Et lui ancora è attorno all’accomodamento dell’Historia del Gualdi»; «gli ho data la cura delle stampe delle Historie del Gualdi»: BAV, Barb.lat. 7720, cc. 31r, 40v, 28 settembre e 5 ottobre 1641. Le Historie del Gualdo, in due parti, furono pubblicate a Venezia dal Bertani nel 1640 e nel 1643 (ma la seconda parte porta la data del 1641).

[7] BAV, Barb.lat. 7720, cc. 5v-6r.

[8] BAV, Barb.lat. 7720, cc. 12, 75v. L’elenco delle Cose da accomodarsi nel Gualdo è a c. 18r.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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