A colpi di conclavi f1 f2 f3 f4 f5 f6

Il conclave di Spada

«Per iscoprire gl’errori nelle relationi di Rapaccioli», continua il nostro cardinale, anche Spada prese a scrivere la storia del Conclave del ’44. Quando uscì, fu da tutti «ricevuta con grand’applauso» e giudicata «di lunga mano nel giuditio, nell’eleganza dello stile, nella sincerità del racconto et in ogn’altra qualità superiore a quella di Rapaccioli».[1] Spada però non aveva voluto mandarla fuori prima della morte di Papa Innocenzo: come dichiarava egli stesso nella relazione, gli sembrava che una dilazione potesse meglio garantire l’imparzialità del suo racconto, e del resto dubitava sia dell’utilità di un’impresa già affrontata da altri «eccellenti scrittori» sia dell’opportunità di pubblicare il conclave prima e «separatamente dagl’altri nostri annali».[2] Ma, forse, c’era anche, nel prudentissimo Spada, la preoccupazione di non incorrere in censure o smentite da parte del Pontefice.
Che il conclave di Spada intendesse contrapporsi a quello di Rapaccioli e che, anche in funzione di questa contrapposizione, risultasse molto ben costruito e ottimamente informato (in particolare sulle manovre in preparazione del Conclave negli ultimi tempi del pontificato di Urbano e nei giorni successivi la sua morte) è certamente vero. Ma, se si escludono i giudizi circa il comportamento dello stesso Spada, non si vede in che cosa i due racconti discordassero. Spada non mancava neppure di riconoscere il ruolo fondamentale svolto in Conclave da Rapaccioli quale tramite tra Barberino, il Cardinale Antonio e Panfili. Condivideva la tesi di fondo di Rapaccioli e cioè che fin dall’inizio Barberino aveva puntato su Panfili, illudendosi, aggiungeva Spada, «che in Panfilio tornato sarebbe a vivere Urbano».[3]
Sulla disponibilità di Antonio a sostenere la candidatura Pamphili Spada non si discostava per nulla dal racconto di Rapaccioli a cui anzi aggiungeva particolari di qualche importanza: ricordava, ad esempio, di aver lui stesso assicurato Pamphili

«che quando al Cardinal Antonio fosse persuaso che Sua Eminenza fosse per tener più conto dell’Imperio che della vendetta [il cui desiderio, nei confronti di Antonio, era comunemente attribuito, forse a torto, a Panfili per vecchie storie di famiglia] si sarebbe, con sua sodisfattione, della volontà e della forza del medemo Cardinale potuto disporre».

Forse erano state proprio queste autorevoli conferme, che si poteva prevedere che non dovessero piacere al Papa, a consigliare a Spada di rimandare la pubblicazione del conclave a dopo la morte di Innocenzo.
Certo, di sé Spada parlava come di un cardinale «stimato potentissimo nel Sacro Collegio» e «come creatura [dei Barberini] di grande auttorità e di cui grandemente il Cardinal Antonio si fidava», il che in fondo era vero, seppure alquanto enfatizzato. Ma perfino gli episodi che avevano suscitato i sospetti di Antonio e le accuse di Rapaccioli nei suoi confronti, trovavano precisi riscontri nel racconto di Spada, sia pure, si capisce, con valore diverso. Così, ad esempio, Spada non mancava di menzionare la scrittura circolata in Conclave a sostegno della sua candidatura e ricordava la paura di Antonio

«che parimente il Cardinal Spada fosse stato da Spagnoli guadagnato, non con haverli minacciato, se non si dichiarava dalla loro parte, di escludere il Cardinal Rocci suo parente, ma con essersi dimostrati disposti di far lui medesimo Papa e le ragioni furono poscia vedute in una lunga scrittura distese. Per questa ragione Antonio fece de’ Spagnoli lunga querela col medesimo Cardinale, raccomandandogli gl’inganni con i quali si servivano per lusingare alcuni Cardinali, dando a ciasched’uno parole, mentre erano rissoluti di non voler Pontefice per quanto le forze gli haverebbe permesso, né Rocci, né Panfilio, né altro che da Urbano fosse stato creato Cardinale, volendo ch’egli di se s’intendesse accioché da quel pensiero e da quelle speranze si distogliesse».

Al che Spada,

«o che ne fosse innocente o al Cardinal Panfilio desiderasse il Pontificato o volesse [4] con questo pretesto ricoprirsi, rispose che quando havesse voluto Sua Eminenza promovere Panfilio i Spagnoli non l’haverebbero voluto, né potuto impedire, che haverebbe in quella impresa acquistato a se utile et alla Casa et alla Santa Sede d’un ottimo Pontefice haverebbe proveduto. Rimase Antonio da varii pensieri e da grande pasione combattuto…».[5]

Anche l’accusa più grave, quella di aver tentato di dissuadere Panfili all’ultimo momento dal farsi cimentare agitando lo spettro di una inesistente esclusione procurata da Bichi, era affrontata da Spada a viso aperto: al solito, non negava il fatto, ma l’interpretazione che ne era stata data:

«Restò da Bichi il Cardinal Spada, che sosteneva la parte di Panfilio, tanto sbigotito, che esortò il Cardinal Panfilio medesimo a differire il cimento, et al Cardinal Barberino cercò di persuadere esser cosa impossibile il riportarne honore, nominandogli li Cardinali guadagnati da Bichi in numero di potergli far l’esclusiva […] Non mancorono alcuni o emoli di Spada o mali informati delle cose, che della candidezza della sua fede e quello che era in lui grado sublime d’amicitia revocassero in dubio, accusandolo come se havesse procurato di trattennere l’eletione di Panfilio per la speranza che di se medesimo haveva fondata nel poco numero che vi era de soggetti papabili».[6]

L’accusa di aspirare al papato sembra che bruciasse più di tutte a Spada. Padre Virgilio portava a conferma del nessun interesse di suo fratello per il Pontificato ragioni non conclusive, ma plausibili. Bernardino, diceva, aveva tutte le qualità necessarie per diventare papa: ingegno, prudenza, molta letteratura, molta esperienza, indipendenza dalle Corone (era, tra l’altro, suddito solo della Chiesa), pietà quanto basta (e con un fratello «sacerdote in una Congregatione essemplare»):

«conseguentemente non pareva havere altro obice al Pontificato che quello che si fabricava per se medesimo volontariamente, cioè il moltiplicare nepoti con accasarne molti et incontrare occasioni di parentadi grandi, di grosse doti e di dilatationi della Casa […] che haverebbe[ro] spaventato l’universo». [7]

Meglio un uovo oggi che una gallina domani, secondo la filosofia corrente in gran parte del Sacro Collegio? Virgilio sosteneva di no:

«Se fosse stato vero ch’egli anteponesse il ben presente e certo della sua Casa al ben futuro, incerto e contingente del Pontificato, perché non prender dal Re di Francia scudi 6 mila di pensione come potette havere nella di lui partenza da quella Corte? Perché non prenderne 2 mila per nepoti parimente statigli offerti prima di partire di Francia? Perché non gettarsi spagnolo?»

La ragione, diceva Virgilio, era più disinteressata e, in un certo senso, più triste: «Egli fu così padrone di se medesimo che apprehendendo nello stato presente non potersi ben reggere un Pontificato, non solo non lo desiderò, ma usò ogni mezzo et ogni arte per tenersene lontano». Pare che durante il Conclave del ’55, Mazzarino avesse scritto a Spada «che il Re lo nominava per il Pontificato» e che Spada avesse risposto «che desiderava di servire Sua Maestà più tosto con una compagnia di fanti tutti suoi nepoti che col Regno in capo».
Nell’appannarsi delle ragioni ideali, buone o cattive che fossero, della Controriforma, nel grigiore o piuttosto squallore morale della Corte di Roma, rinunciare ad occupare “l’ultima sfera nel cielo della Chiesa” (l’espressione è di Padre Virgilio) e dedicarsi piuttosto ad ingrandire ed arricchire la propria Casa era un modo non più ignobile di altri di tradurre in pratica lo scetticismo che aveva maturato, in sintonia, si direbbe, con quel Papa Innocenzo che tanto lo apprezzava, sulla riformabilità e perfettibilità del mondo. «Se il mondo non si accomodava», aveva scritto Bernardino a Virgilio, «conveniva credere che non si potesse». E, assicurava Virgilio, suo fratello «in effetto dubitava del non pottersi» [8].




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[1] BAV, Barb.lat. 4670, l.cit.

[2] B.Spada, BAV, Barb.lat. 4649, cc. 1, 4. Cito dai mss. in BAV, Barb.lat. 4649, cc. 1-246 e BAV, Barb.lat. 4670, cc. 255-366. Non conosco gli Annali di cui Spada parla qui (e a cui sembra alludere più avanti nella relazione con espressioni del genere: «come altrove riferiremo…», «come altrove abbiamo riferito…»), ma non escludo che se ne possa trovare traccia con una più approfondita ricerca nel fondo Spada Veralli dell’ASR (i nn. 1134 e 1138 sono antichi indici manoscritti della biblioteca Spada) e forse proprio in quei 257 codici che Raffaeli Cammarota indica come facenti parte della biblioteca del cardinale, ma non inventaria. I nn. 1134 e 1138 del fondo sono antichi - e preziosi - indici analitici, le cui indicazioni però non corrispondono alla numerazione attuale, anche per le perdite intervenute nel frattempo e che valuto nell’ordine di 150-200 codici: per merito del dott. Ferruzzi (il cui aiuto mi ha consentito di effettuare qualche limitato, ma utilissimo sondaggio) si sta lavorando a un nuovo inventario e dovrebbe essere presto disponibile, quanto meno, una tavola di corrispondenze. La raccolta di manoscritti del Card. Spada era considerata da Cesare Magalotti (BAV, Chig. C.III.60, Osservazioni cit., incipit: “Quanto a gli huomini…”, c. 28) un vero e proprio strumento di potere, anzi, la principale ragione della grande autorità che il Cardinale esercitava su Papa Innocenzo e che aveva esercitato su Urbano: vi comparivano, assieme a molte altre, gran parte delle scritture di cui mi occupo in queste note (nell’indice delle scritture ne indico alcune). Che Bernardino fosse spesso impiegato dal Palazzo a «voltar diarii, historie e scartabelli» e a stendere memoriali sulla base appunto della sua preziosa raccolta di scritture risulta anche dalla corrispondenza con il fratello, Padre Virgilio. Vedi per es. la lettera in ASR, SV 563, 28 agosto 1642: «Io cominciai a perder la vista a punto doppo quei scritturamenti del Conte di Castelvillano fatti la maggior parte di notte e ben prolissi. Successe il negotiato di Buciard e le instruttioni publiche e le segrete con le lettere latine, i ricordi et altre infrascature…». Due giorni dopo Bernardino parlava a Virgilio della possibile assunzione di un copista per riprodurre documenti e scritture. Non si trattava davvero di un lavoro da poco: «Il Gio Batta Gerbesio se si contentasse di venir in casa per far il copista di molte scritture curiose e metter in registro i miei spacci di Francia et altre cose latine [e] volgari […] bisognerebbe facesse conto di scriver almeno sei hore del giorno e alcuna volta otto e dieci…»

[3] B.Spada, BAV, Barb.lat. 4670, c. 351v.

[4] È scritto: velere.

[5] B.Spada, BAV, Barb.lat. 4649, c. 161.

[6] B.Spada, BAV, Barb.lat. 4649, cc. 234-235.

[7] Sulla politica matrimoniale di Bernardino vedi Karsten 2001 e Karsten 2002 che lo riprende.

[8] V.Spada, ASR, SV 463, cap. 20, §§ 1-6, 16.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

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Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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