Malatesta Albani: l1 l2
Malatesta Albani: un uomo di fiducia.
Cenni introduttivi
«Or quivi per breve digressione - scrive Andrea
Nicoletti nell'ultimo volume della vita di Papa Urbano, dedicato alla
guerra di Castro - ci sia permesso di far menzione di un soggetto, che
fra gli altri cospicui che fiorirono nel Pontificato d'Urbano e si
nudrirono nella Casa Baberina, illustrerà col suo nome la nostra istoria,
meritando di passare alla notizia de' posteri. Questo fu Malatesta Albani,
gentilhuomo della primaria nobiltà di Urbino e figliuolo di Oratio Albani
già Senator di Roma, di cui altrove habbiamo parlato e particolarmente nella
devoluzione di quello Stato alla sede apostolica, poiché essendo
egli allora Residente del Duca nella Corte Romana, per le sue mani
passò quell'importantissimo affare ed egli vi contribuì l'opera sua
con indefessa diligenza e fedeltà e con piena sodisfattione del suo
Principe e del Pontefice istesso. Pervenuto a Roma Malatesta ancor
giovinetto fu dal Principe Prefetto ricevuto per suo gentilhuomo e
posto fra i paggi suoi coetanei che erano di riguardevole nobiltà in
Italia e dalla sua buona indole si fece presagio della ottima riuscita
che harebbe fatta. Cresciuto in età più adulta, al nascimento conformava
i suoi costumi tanto appariva gentile, affabile, moderato, e capace a
maneggiar cose grandi, ma insieme di animo coraggioso e costante sì che
nelle attioni nobili non gli mancava né spirito per intraprenderle né
industria per eseguirle. Alla lingua materna havea aggiunta la latina,
la greca, la francese e la spagnuola con altre doti egregie dell'animo,
come la poesia, la perizia del disegno, l'architettura anche militare,
la matematica e la cosmografia. Per l'armonia di tanti ornamenti della
sua persona il Cardinal Barberino tirandolo appresso di sé, senza levarlo
al Principe Prefetto, si servì di lui in gravissimi et importantissimi
negotiati, inviandolo in Germania col Conte Ambrogio Carpegna e
piú volte ancora alla Corte di Francia, ne quali Malatesta corrispose sempre
pienamente all'aspettatione e ciò fece il Cardinal Barberino per istradarlo al
Cardinalato, come a noi disse più volte; ma la morte intempestivamente e sul
fior degli anni lo prevenne nella città di Desisi dove l'istesso Barberino
alzare un nobil deposito ed egli medesimo compose una honorifica iscrittione
che fu scolpita in marmo, come a suo amico ornato di tanti pregi e benemerito
della Casa Barberina».[1]
In verità di Malatesta si perse in breve memoria,
come del resto accadde negli anni della persecuzione ad altri
collaboratori e clienti dei Barberini. Di lui scrisse brevemente
l'Allacci e, nell'Ottocento, qualche riga gli fu concessa nel repertorio
del Padre Grossi, Degli uomini illustri di Urbino,[2] ma niente di più: morto senza aver raggiunto
la dignità cardinalizia che sembrava lo attendesse (se solo Urbano fosse
vissuto ancora un po') e senza aver lasciato altro di
scritto che corrispondenze private e relazioni riservate, il
suo ricordo si affidava alla memoria di quanti lo avevano
conosciuto di persona e ne avevano apprezzato le qualità senza dubbio singolari.
Credo che Malatesta Albani non avesse ancora
diciott'anni [3] quando
Barberino, mentre si aggravava la tensione con Parma e da entrambe le parti
ci si preparava a un possibile confronto armato, ne aveva fatto, senza
per altro affidargli ufficialmente un ruolo specifico, il suo personale
informatore e rappresentante presso gli eserciti che si andavano raccogliendo
prima nel Viterbese poi nel Bolognese. Un ruolo delicato, ambiguo, destinato
a suscitare diffidenze nelle autorità militari e civili e in particolare
nel Cardinal Antonio, sempre polemico con il fratello e con i suoi
collaboratori. Ma il giovanissimo Albani pare sapesse destreggiarsi
tra difficoltà di ogni genere, non ultime le invidie e le rivalità che
attraversavano e spesso paralizzavano gli alti comandi, come quelle
- di cui Malatesta dava sommaria relazione a Francesco Barberini il
12 settembre 1641 - tra il Barone Giuseppe e il Marchese Luigi Mattei e tra
Girolamo Gabrielli e Cornelio Malvasia (a sua volta inviso, quest'ultimo,
a Luigi Mattei e al suo protettore, il cardinale Gaspare Mattei): il
Barone Mattei che, ferito sotto Castro, stava per esser sostituito dal Marchese Luigi,
mi ha pregato con le lacrime agl'occhi - scriveva
Malatesta - ch'io la supplichi ad havere a cuore il suo honore e le ponga
in consideratione essere egli puoco suo amico [...] Il Sig.
Conte Gabrielli ancora, havendo inteso che venga il Sig. Cornelio Malvagia. pare che
habbia detto qualche cosa dubitando di non dover essere da lui comandato...
[4]
Di questioni del genere ne sorgevano in continuazione nel
litigioso esercito pontificio,[5]
e se non toccava a Malatesta, semplice e giovanissimo gentiluomo
al seguito del Principe Prefetto, cercare di dirimerle, egli doveva però,
nel tentativo di fluidificare le comunicazioni tra le diverse autorità
locali e tra queste e Roma, offrirsi a tutti come il più sollecito tramite
con il Cardinal Padrone atto a provvedere a una miriade di
minute incombenze - il trasferimento di un soldato, l'acquisto di un cavallo o
di una sella - sollecitando o evadendo in via breve le pratiche che potevano
essere occasione di intoppi e lungaggini. In questo senso andavano le
istruzioni di Barberino:
Di gratia V. S. stia con la solita modestia, acciò
sappia Mons. Governatore, il Sig. Antonelli, il Sig. Oddi et chi comanda,
che V. S. va in quelle parti per servire nel riferirmi le loro occorrenze
per assicurare della mia prontezza, ma non per comandare, tanto che loro
devono fare il loro mestiero.[6]
All'inizio, sembra che Barberino,
conformandosi agli interessi e alle occupazioni di Malatesta,
che stava proseguendo i suoi studi (alla corrispondenza
conservata alla Vaticana sono frammisti appunti ed esercizi di lingua
francese) intendesse servirsi del giovane principalmente come suo esploratore e
ambasciatore nel mondo dei letterati e dei librai:
V. S. fa bene a non mi scrivere delle
nuove politiche o militari perché S. Em.za [il card. Antonio] me ne favorisce.
Udirò volentieri che ella mi raguagli de i letterati et altri huomini di garbo che
habbia trovato o alla giornata truovi. Così ancora che in Bologna et Ferrara
trovando in quelle librarie il quinto et il nono tomo del Baronio spezzati
li compri per compire un corpo de gl'annali al quale questi
mancano.[7]
Almeno sino alla mossa d'armi del Duca Odoardo, quando
l'attenzione dei due corrispondenti fu per forza di cose attirata da più gravi
e immediate occorrenze, libri, medaglie, testi e rappresentazioni teatrali occupano
largo spazio nella corrispondenza del giovane Albani con il card. Barberini.
Nel maggio del '42 Malatesta raccomandava a Francesco, annunciandone la
partenza per Roma, Giovanni Argoli, docente di lettere
umane a Bologna, «a cui», scriveva, «professo obligo per havere
corretto li miei studii questo verno passato et per havere da lui ricevuto
molti favori intorno a quelli».[8]
Quella del letterato in caccia di talenti e di libri
non era una semplice copertura e anche più tardi, nella missione a Parigi
del giugno del 1644, la prima cosa di cui Malatesta scrisse a
Francesco fu la biblioteca di Mazzarino - come collezionista e bibliofilo
Mazzarino era un agguerrito concorrente di Francesco, ma, assicurava Malatesta,
«la libraria di S. Em.za, che è molto bella, [è] di gran lunga inferiore
a quella di V. Em.za» - e i primi personaggi di cui gli dava notizia
erano Naudé e Petau.[9]
Anche nei panni del letterato, però, Malatesta era
in primo luogo un politico - abbastanza spregiudicato da offrirsi
come organizzatore dell'assassinio di Vittorio Siri [10] - e un uomo
d'armi, un ruolo, quest'ultimo, che da Parigi si augurava di poter
tornare a ricoprire nell'eventualità che si riaccendesse, come per
un momento parve possibile, il conflitto tra la Santa Sede e i
Principi italiani. Girolamo Romiti, un ufficiale dell’esercito
pontificio, in una testimonianza resa a Vittorio Siri nel 1647,
sottolineava con forza (e, forse, con qualche forzatura)
l'influenza esercitata da Malatesta sulla condotta della guerra di Castro,
riproponendo l'immagine che di lui era circolata nell'ambiente dei comandi,
quale longa manus di Barberino:
L’Albani era huomo di buona testa, ministro a Signori
Barberini fedelissimo e fu datto a Valensé sotto pretesto di darli persona che
lo servisse in tutte l’occasioni, ma la verità è che, a mio giuditio e d’altri
che n’havevano più di me, le fu datto per saper et haver incontro di tutte
l’attioni del Valensé. La verità è che lui haveva facultà grandissime e sopra
la borsa e sopra l’ufficiali minuti e per via o dell’auttorità o destrezza
operava anche quello che non era sua carica né in suo
potere.[11]
Della missione di Malatesta alla Corte
di Francia nell'estate del '44 per sollecitarne l'intervento
nelle controversie sorte con i Veneziani nell'applicazione
del trattato di pace, ma soprattutto per convincere Mazzarino
dell'opportunità che Castro tornasse, per via di acquisto o di permuta,
allo Stato Pontificio (nel qual caso Barberino sarebbe passato,
alla morte del Papa, con tutta la sua fazione, al partito francese) ho
parlato in diversi luoghi e non è il caso qui di ripetermi.[12] Vale solo la pena di segnalare che, di
fronte all'esito incerto del negoziato di Castro - "per l'instabilità del
cervello" del Duca Odoardo, ma anche per l'atteggiamento di Mazzarino che
mostrava di voler alzare sempre più il prezzo del suo appoggio -
Malatesta suggeriva un'alternativa, a suo dire, assai più sbrigativa e
conveniente: fare di Farnese, invece di Castro, la principale piazzaforte
pontificia sul fronte toscano. «Sarebbe la vera strada», sosteneva, «di non
haver bisogno di nessuno».[13]
La morte di Urbano vanificò nell'essenziale - ossia
nell'affare di Castro - i negoziati in corso, ma per il resto gli accordi
impostati, se non conclusi, da Malatesta con Mazzarino non mancarono
di riemergere nelle successive vicende della persecuzione e della
fuga dei Barberini. Malatesta tornò in Francia nel '45, non appena
a Roma la volontà persecutoria di Innocenzo X nei confronti
dell'Eccellentissima Casa Barberina incominciò a manifestarsi
apertamente: parve ad alcuni una fuga, ma si trattò con ogni
evidenza della ripresa della sua prima missione, la cui
sostanziale continuità con la nuova, nonostante le apparenze
contrarie e le manovre diversive, era stata assicurata
dal discusso viaggio in Francia del Cardinale di Valençay. Col
Valençay, rientrato a Roma nel maggio del '45, Malatesta ebbe,
prima di partire per Parigi, dei colloqui, di cui è facile immaginare
l'argomento, ma di cui conosco solo frammentari resoconti.[14] Alla Corte di Francia, però,
Malatesta Albani, colto dalla morte mentre era in viaggio, non sarebbe arrivato mai.
[1] Nicoletti, vol. IX, BAV, Barb.Lat. 4738, c. 108r-109r. Malatesta Albani è ricordato più volte da Nicoletti; vedi in particolare le cc. 558-560 (dove si parla tra l'altro della grande autorità di cui godeva tra gli ufficiali dell'esercito pontificio).
[2] Degli uomini illustri di Urbino comentario del P. Carlo Grossi con aggiunte scritte del conte Pompeo Gherardi, Urbino, Pier Giuseppe Rondini, 1856, p. 42: «E mentre Malatesta Albani (giovine di altissimi sensi, d'ingegno sommo, delle antiche cose curioso investigatore, come chiamollo l'Allacci, ma troppo presto da morte rapito alla gloria) ambasciatore in Francia di Urbano VIII al Magno Luigi trattava con destrezza e prudenza gli affari della Santa Sede...». Il testo è identico a quello che si legge in Degli uomini illustri di Urbino. Comentario, Urbino, Per Vincenzo Guerrini, 1819, p. 21.
[3] Ignoro l'esatta data di nascita di Malatesta Albani, che dovrebbe però collocarsi intorno al 1625. Sembra infatti impossibile scendere oltre e risalire si può solo al 1624, visto che il fratello Carlo, padre del futuro Clemente XI, era nato il 17 novembre 1623. Il 1625 si trovava ipotizzato anche in http://www.sardimpex.com/FILES/ALBANI.htm, un repertorio genealogico di buona fattura, ma da qualche tempo chiuso alla libera consultazione e pertanto inutilizzabile.
[4] BAV, Barb. lat. 7369, c. 2, Malatesta Albani a Francesco Barberini da Viterbo, 12 settembre 1641 (e ancora a c. 3, la lettera del 13 settembre).
[5] Cfr. ad es. in BAV, Barb. lat. 7369, oltre a quelle citate, le lettere di Malatesta Albani del 6 ottobre (cc. 45-47) e del 7 novembre 1642 (cc. 76-77).
[6] BAV, Barb. lat. 7369, c. 43, Francesco Barberini a Malatesta Albani, Roma 6 ottobre 1642.
[7] BAV, Barb. lat. 7369, c. 18r, Francesco Barberini a Malatesta Albani, Roma, 14 dicembre 1641. Malatesta trovò i volumi richiesti e da Bologna li spedì a Roma il 15 febbraio successivo (ivi, c. 22).
[8] BAV, Barb. lat. 7369, c. 26, Malatesta Albani a Francesco Barberini, Bologna, 3 maggio 1642.
[10] Vedi il § c3 dell'appendice Vittorio Siri storico e spione.
[12] Vedi in Fazione Urbana i §§ 1h (nota 1), 1l (n. 6 e 10), 1m, 2a (n. 37, 52, 57), 2b (n. 16). Sulle missioni di Malatesta in Francia scriveva a Vittorio Siri nel settembre del 1652, per conto del Card. Grimaldi, suo padrone, Egidio Gallo (BPP, CS, cas. 141).
[13] BAV, Barb.lat. 8000, c. 53r-v, 30 giugno 1644. Qualche
tempo prima aveva scritto: «V. Em.za mi perdoni se sono troppo ardito ma procuri di
stringere il negotio di Farnese e mi creda che si può ridurre ad una buonissima fortificatione
et che nelle colline che lo sovrastano non si puol alzar
terreno per trovarsi subito il sasso, che questo stimo parte
della fortezza della piazza et havendo Nostro Signore questo
luogo fortificato bene et ben demolito Castro, farà l'istesso
effetto di quello, il quale quando anche si habbia, che importa
alla Santa Sede l'haver speso qualche danaro?» (ivi 33r).
[14] BAV, Barb.lat. 8000, cc. 118-120.
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