Lucrezia Barberini: h1 h2

Lucrezia Barberini: un bene di famiglia.
Cenni introduttivi




Le lettere che Lucrezia Barberini e lo zio Francesco si scambiarono tra il 1650 e il 1653 sono una bella testimonianza - bella per la relativa abbondanza dei testi e dei riscontri, che qui utilizzo solo in parte - di un conflitto nel quale la ripugnanza per lo stato matrimoniale, precocemente espressa della giovane donna, e il suo desiderio, mai preso sul serio dai maschi della Casa (dopo la morte del padre Taddeo, gli zii e i fratelli), di abbandonare il mondo per il monastero, entravano senza rimedio in collisione con gli interessi e le strategie familiari e più precisamente con la ferma volontà del Cardinale Francesco di darle un marito che servisse a risollevare, dopo le disavventure romane, le sorti dei Barberini.[1]
Fu uno scontro aspro, senza riserve, mal dissimulato sotto ripetute, ma rituali, ossia scontate e poco sincere espressioni di stima e di affetto reciproci. Per quanto il valore dei sentimenti - in particolare familiari - possa cambiare nel corso dei secoli, ciò che è rituale definisce pur sempre una realtà assai diversa da quella evocata dal termine "sincerità" e la differenza costituisce in buona sostanza lo spazio dell'ipocrisia. Il Card. Francesco vi si muoveva notoriamente con grande disinvoltura e nel caso di Lucrezia non mancò di esercitare, oltre al suo personale gusto per l'intrigo, un cinismo, certo non insolito in lui e nell'ambiente romanesco nel quale soltanto sembrava trovare, proprio come il suo antico antagonista, Papa Innocenzo, l'ossigeno per respirare, ma che non per questo appare, a distanza di tanto tempo, meno impressionante.
Basti pensare, a questo proposito, alle insinuazioni su presunte tresche con questa o quella persona del seguito (forse Francesco Buti, forse il carmelitano scalzo Giuseppe di Sant'Andrea, forse una Madama Cenami - Lavinia? - amica e confidente di Lucrezia, forse lo stesso confessore di Lucrezia, il gesuita Charles Du Lieu [2]), all'isolamento a cui era costretta,[3] alle false promesse di rispettare in ogni caso la sua volontà, alle lusinghe (gli insistenti e stucchevoli richiami alle molte virtù della giovane, ricondotte però tutte, in definitiva, all'obbedienza e alla sottomissione) e ai ricatti con cui Francesco cercò di ammorbidire l'ostinato rifiuto di Lucrezia prima di lasciare Lione e la Francia e poi di maritarsi. Una volta avutala in Italia, nelle proprie mani, lodi e rassicurazioni lasciarono posto nelle lettere di Francesco a un tono sbrigativo e infastidito con cui cercò di eludere le proteste della nipote e di troncare ogni ulteriore discussione circa il suo futuro: lui - scriveva - era troppo vecchio e stanco e quotidianamente impegnato in una quantità di affari per trovare il tempo di rispondere alle sue obbiezioni e d'altra parte - le faceva notare - «queste materie sono da maturare nella santa oratione et da non starvi a ciarlare, né a mettere su le carte».[4]
Lucrezia da parte sua si difendeva con una sorta di disperazione - "malinconia", dice Angela Groppi, e malinconia o "cupezza" dicevano delle sue renitenze, gli zii - da cui trasse la forza, se non di ribellarsi, almeno di indirizzare, quando già era sul punto di arrendersi, al Cardinale Francesco, non solo e non tanto come capo della Casa, ma anche e soprattutto come principe della Chiesa e "perfetto Ecclesiastico" (cosi lo appellava nel giugno del '53, richiamando, non senza malizia, una qualità che lo zio le aveva gettato in faccia nel tentativo di intimidirla) parole che direi di fuoco (un frusto modo di dire, ma qui, visto che si trattava di inferno, abbastanza appropriato):

«io desidero sempre di ubidirla et servirla ma io mi protesto avanti a Dio che tutto quello che mi potesse intervenire di danno all’anima mia V. Em.za sia quello che n’habbia a render conto avanti al tribunal di Dio, se ben so che V. Em.za è di tanta bontà che non mi distoglierà dalla mia vocatione, ma con tutto questo son necessitata di dirli acciò non concludesse il matrimonio che con la ripugnanza che ho sarà impossibile che io dessi il mio consenso».[5]

Sullo sfondo del conflitto zio-nipote c'era dell'altro, naturalmente, e in particolare il sempre più aperto contrasto tra Francesco e Antonio Barberini circa i rapporti con la Francia e con Mazzarino. Antonio auspicava che il trasferimento dei Barberini in Francia fosse definitivo e venisse pubblicamente confermato da un'alleanza matrimoniale con qualche prestigiosa casata francese. Ma mentre il "parentado" con lo stesso Mazzarino sembrava vieppiù improbabile sia per le turbolenze della Fronda, sia, più tardi, per l'ormai aperta repugnanza di Barberino, i partiti che in Francia si potevano offrire a Lucrezia erano in sostanza gli stessi sui quali aveva messo gli occhi Mazzarino per le sue nipoti: una concorrenza imbarazzante, da cui Francesco traeva materia di lagnanze nei confronti di Mazzarino e della stessa Regina, che, a suo dire, non faceva abbastanza per favorire Lucrezia, mentre Antonio, sdrammatizzando il tutto, si mostrava disposto, se solo Francesco vi avesse consentito, ad affrontarla con qualche speranza di successo.
In realtà nessuno dei partiti francesi proposti da Antonio poteva soddisfare Francesco, che non pensava che all'Italia, a Roma e a imparentarsi con Papa Innocenzo, come si era prefisso prima ancora della morte di Urbano.[6] A disagio nel ruolo di partigiano di Francia che gli era toccato assumere per difendersi dai Pamphili (e che gli era costato, tra l'altro, il sequestro dei vasti beni che possedeva nei domini della Spagna) e insofferente dell'autorità del mai amato Mazzarino, pensò di liberarsi di entrambi organizzando meticolosamente, all'insaputa di Antonio, il rapimento di Letizia e il trasferimento suo e dei suoi fratelli da Lione, dove risiedevano formalmente liberi, ma con il ruolo, neppure troppo occulto, di garanti della lealtà della famiglia verso la Corona, ossia, per dirla secca, di ostaggi [7].
La fuga dei giovani Barberini dalla Francia riaprì l'ennesimo periodo di tensione tra Francesco e Antonio [8], (il quale tuttavia, per quanto spazientito ed offeso restò sempre succubo del fratello, capo indiscusso della casata, come dimostrò, tra l'altro, ancora una volta, nel conclave del '55 [9]) e per Lucrezia significò, sino alla consegna della sua persona al consorte designato dagli zii, una prigionia dorata (si organizzarono - tutte e solo per lei - feste e rappresentazioni teatrali e le fu permesso di visitare, in incognito e sotto opportuna sorveglianza, Venezia) ma, grazie allo zelo dei suoi carcerieri - tutti parenti stretti: il card. Macchiavelli e sua sorella Maria, Clarice Vaini Rasponi, Francesca Magalotti - abbastanza severa da costringerla a chiedere come grazia straordinaria, ad esempio, la semplice disponibilità di una cameretta dove «poter stare qualche volta sola».[10]


inizio pagina                                            Lettere di Francesco e Lucrezia Barberini

[1] Dell'autenticità della vocazione di Lucrezia non era per nulla convinto - conformemente, per altro, ai suoi personali interessi - il Card. Antonio, che era incline a vedervi l'effetto di maliziose suggestioni indotte da altri, forse dalla stessa D. Anna Colonna. «Havendo grand'occasione di dubitare», scriveva a Francesco 12 agosto 1650, «che le voglie di monacarsi sieno state indotte anche dalla Sig.ra D. Anna et V. Em.za si ricorderà, si come ho havuto gran riscontro quel ch'io avvisai in tal proposito d'Avignone circa il frate carmelitano [Giuseppe di Sant'Andrea?] con quello è seguito fin'hora, così stimo vere le machine di questa sorte confrontando io da quello che s'è lasciato uscir di bocca Lucretia, e da quello D. Anna ha detto col Padre Adriano costà a primi moti i medesimi pensieri, onde stimo passi intelligenza di ciò tra esse, et il cercare di rimediarci stimo più difficile e pericoloso che l'istesso male, oltre ciò, ho ancora rincontro d'altri che hanno giudicato il medesimo e che non stimano bene queste vocationi, anzi che provenghino da questa Corte di stimoli e tra gli altri è di questa oppinione il Padre Isidoro [Recollet] riformato» (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, Varie lettere e fogli del Sig. Card. Francesco Barberino quando era in Francia con trattati di matrimonio della Sig.ra D. Lucrezia Barberini 1652, copia di lettera di Antonio a Francesco Barberini del 12 agosto 1650; l'originale - cifra e decifrato - si trova in BAV, Barb.lat. 8802 cc. 38-41). Non diversamente la pensava Francesco, che riteneva Lucrezia particolarmente esposta a influenze esterne per via della depressione di cui soffriva («...Quello che sento della conditione di D. Lucretia è ch'essa sia cupissima, com'ancora apprensiva sopramodo d'ogni maltrattamento [...] Ancora essendo sopramodo malinconica, se pone affetto ad alcuna se l'imprime gagliardamente...»). Ma mentre Antonio spingeva per accasare quanto prima Lucrezia, sperando così di guarirla da ogni bizzarria, Francesco temeva soprattutto che quelle influenze esterne la spingessero a fare di testa sua, fuori d'ogni strategia, e, per esempio, a maritarsi in Francia. Francesco era anzi propenso a interpretare la vocazione religiosa della nipote come una reazione esasperata alle opposizioni che in fatto di matrimoni aveva incontrato in famiglia. Che i monasteri indicati da Lucrezia fossero monasteri "stretti", ben regolati, spirituali non poteva esser prova dell'autenticità della vocazione di Lucrezia, giacché - scriveva Francesco - non era difficile immaginare che un tipo come lei «dov'era la collera l'havesse fatta volgere in spiritualità» (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, cit., scrittura intitolata Notitie circa alla conditione di D. Lucretia et altre cose ad essa spettanti).

[2] In verità chiunque avesse su Lucrezia qualche influenza o godesse della sua simpatia era potenzialmente sospettato di oscuri maneggi. Il nome di Francesco Buti è fatto dalla stessa Lucrezia nella lettera allo zio Francesco del 29 ottobre 1653 (vedi in Lettere il n. 23). La sola colpa che vedo fare da Francesco Barberini a Buti è di aver detto di fronte a Lucrezia, quando si parlava di un suo possibile matrimonio col Duca di Beaufort, «o burlando o da dovero, che al Duca di Beofort sarebbe stata poi tagliata la testa»; dopo di che, pare, Lucrezia era tornata a incupirsi e a manifestare il desiderio di monacarsi (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, cit., scrittura che comincia: "Fin quando era vivo et in Parigi il Sig. Prefetto..."). Sul Padre Giuseppe di Sant'Andrea non ho trovato accuse esplicite, ma credo che fosse lui quel "frate carmelitano" di cui il Card. Antonio scriveva a Francesco nella lettera citata alla nota precedente. Mi sembra in ogni caso indizio sufficiente della diffidenza di Francesco nei suoi confronti il fatto che nelle istruzioni per il ritorno in Italia di Lucrezia, fosse vietato tassativamente ogni contatto con i carmelitani (o carmelitane) scalzi. Con Madama Cenami, il Card. Francesco aveva proibito a Lucrezia di "addomesticarsi" e aveva ricevuto in proposito dalla nipote piene assicurazioni, ma - scriveva in una sua nota - «si vede che dopo non m'ha mantenuta la parola» (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, Notitie circa alla conditione di D. Lucretia...). Quanto al gesuita lionese Carlo Du Lieu, confessore di Lucrezia, egli senza dubbio aveva saputo conquistarsi la fiducia della giovane, tanto che l'assicurazione che l'avrebbe presto raggiunta fu tra gli argomenti più efficaci per vincerne la renitenza a ritornare in Italia. Si trattava, naturalmente, di una promessa destinata a non esser mantenuta. In BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, cit. c'è un biglietto di Francesco dell'8 febbraio del 1653, alla vigilia della fuga dalla Francia, diretto al Rettore del Collegio dei Gesuiti di Lione e un altro diretto al Padre Provinciale, con la richiesta di permettere a du Lieu di continuare a servire Lucrezia quale suo padre spirituale, ma c'è anche, sotto la stessa data, la richiesta al Padre Isidore Recollet, confessore delle monache di S. Chiara, di assumere lui quella funzione o di affidarla a un religioso di sua fiducia. Di Recollet Francesco scriveva all'agente incaricato di organizzare la fuga di Lucrezia dalla Francia che probabilmente era stato uno di quelli che avevano messo in testa alla nepote l'idea di monacarsi, ma che proprio per questo bisognava guadagnarselo: «se anche lui ha fatto discorsi di monacazione può efficacemente intervenire in contrario» (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, cit. scrittura che comincia: "È tale l'occorso in Lione..."). Ma Lucrezia restava legata a du Lieu. Nell'esilio italiano non smise mai di manifestare il bisogno di consultarsi con lui e di ricordare allo zio la promessa fattale al momento della partenza da Lione: «nelle sue mani» - scriveva - «io ho rimesso la mia conscienza et la mia anima» ( Lettere n. 11). Un ottimo motivo, questo, perché Francesco lo tenesse, per quanto possibile - se non altro come strumento di pressione sulla nipote - lontano da lei. Che poi du Lieu fosse fino in fondo leale con Lucrezia è più che dubbio: quando finalmente i due si incontrarono, Lucrezia smise di opporsi al matrimonio con Francesco I d'Este, il che lascia supporre che fosse toccato proprio a lui convincerla a cedere. E toccò a lui descrivere a Francesco la trionfale conclusione della vicenda, le feste e i fuochi d'artificio organizzati per l'arrivo in Modena, il 23 aprile 1654, della nuova duchessa: «...et à vrai dire je n'ay rien vu de semblable dans tout le voyage. Votre Eminence verra bientost dans un imprimé toute les particularités de la reception...» (BAV, Barb. lat. 7412, cc. 4r-3v). Un viaggio per celebrare il quale si scomodò uno dei più prestigiosi letterati della vecchia Roma Urbana: Del viaggio della Signora D. Lucretia Barberini duchessa di Modena da Roma a Modena. Lettera di Leone Allacci… Genova [s.n.] 1654. Charles du Lieu restò a lungo in relazione con i Barberini. Diverse sue lettere da Lione, prevalentemente di argomento letterario, al Card. Carlo Barberini (che era stato suo allievo) dal 1654 al 1676 sono conservate in BAV, Barb.lat. 2033, cc. 129-130 e 157-148 e 2059, cc. 244-260.

[3] Come ho detto, le persone a cui Lucrezia mostrava di affezionarsi, diventavano facilmente sospette ed erano allontanate dal suo seguito, mentre quelle non sospette erano tenute a render conto al Card. Francesco di quanto Lucrezia faceva e diceva. Francesco si rendeva ben conto del risentimento di Lucrezia nei confronti suoi e di quanti, intorno a lei, lo servivano. «Dell'odio alla Sig.ra Clarice n'ha discorso in voce», annotava agli inizi del 1653 nelle Notitie circa alla conditione di D. Lucretia (BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, cit.), «così ancora non è difficile che si come a me fu data tutta la colpa del monacamento della Franciona, così non è impossibile che appresso di Lucrezia io sia incolpato et d'haver levato la detta Franciona et di molt'altre strettezze. Il che fa dubitare la frase usata con la Sig.ra Clarice, ch'ella era posta per haver cura et assistere et non per scrivere, come che le relationi d'essa habbino mosso me e fatto avvenire quanto contro alle cose già tessute e successe [...] Non puole ancora se non sinistramente havere appreso che le finestre le si tenessero inchiodate et che al Perone fussero tutte coperte di gelosie». All'agente incaricato di persuadere Lucrezia a tornare in Italia Francesco raccomandava «di porre un poco da parte la sua sincerità et amore che mi porta, non mostrandosi, com'Ella vuole essere, sodisfatta di me, perché quel più le sia creduto». Clarice Vaini Rasponi era con Lucrezia dalla fine del 1648, quando, assieme al figlio Cesare, aveva ricevuto l'incarico di riportare la giovane in Italia. Il passaggio dei due era segnalato da Pier Giuseppe Giustiniani a Francesco Barberini in una lettera da Genova del 12 dicembre 1648: «Il Signor Matteo Peregrini questi giorni addietro ha favorita la mia casa con farla servire alla Signora Clarice e monsignor Rasponi, che sono inviati in Francia per condurre in Italia l’Eccellentissima Signora Donna Lucrezia, nipote di Vostra Eminenza» (BAV, Barb. Lat. 10038, c. 87). Di un colloquio che Rasponi aveva avuto con Mazzarino ad Amiens a proposito di un possibile matrimonio di Lucrezia in Francia, si parla in una lettera di Antonio a Francesco Barberini del 13 aprile 1650, da Lione (BAV, Barb.lat. 8802, c. 10v), il che non toglie che il compito di Rasponi fosse tutt'altro. Al rientro in Italia di Lucrezia, almeno per un po', si dovette rinunciare e Cesare Rasponi, che a Parigi aveva avuto modo di accreditarsi presso Mazzarino e la Regina, che lo avevano anche invitato a fermarsi in Francia, tornò a Roma, dove l'attendeva un'ottima carriera, fungendo tra l'altro da mediatore - uno dei tanti - nelle trattative per l'alleanza matrimoniale tra Barberini e Pamphili. Sua madre, Clarice, restò invece presso Lucrezia per sorvegliarla e riferirne le mosse - se di “mosse” si può parlare - a Barberino.

[4] Lettere n. 17.

[5] Lettere n. 15.

[6] Sulle ricerche di un marito francese per Lucrezia, rese vane dalle impossibili pretese di Francesco, c'è abbondante materiale in BAV, Barb. lat. 8802, 8803 e 8804 (lettere di Antonio a Francesco Barberini). In proposito la tesi di Francesco è ampiamente documentata in Arch. Barb., Indice IV, 1067, cit. (si veda specialmente la scrittura che inizia: "Fin quando era vivo et in Parigi il Sig. Prefetto...", nella quale Francesco Barberini rifaceva la storia dei tentativi di accasare Lucrezia in Francia). Ancora nel gennaio del 1653 Francesco Barberini fingeva di essere interessato a un matrimonio francese purché conveniente e chiedeva ad Antonio di sollecitare la Regina in questo senso. La mossa però aveva tutta l'aria di una semplice provocazione e preludeva ad una completa rottura con la Francia. Antonio non era così ingenuo da non accorgersene: «Essendosi fin hora [...] ristretto V. Em.za a tre soli partiti trovati, come io previddi, non solo difficili, ma impossibili per essersi di già impegnati con altri, io non saprei ardire l'intraprendere altre negotiationi [...]. Si aggiunge a questo riguardo che ho qui trovato una simil materia trattata sì impropriamente et contro il decoro et honorevolezza di tutta la Casa et con altre circostanze de negotiati così poco conformi al rispetto dovuto per le attioni di questa Maestà che non havrei saputo che fare mentre sono stato e sono ne' sentimenti ne' quali sono tenuto di essere per la professione obligata che ne ho fatta e fo». A preparare la rottura con la Corona Francesco aveva inviato in Francia Giulio Cesare Raggioli, che in effetti si comportò in modo da disgustare tutti, a Corte e nell'entourage di Antonio, fino ad esserne scacciato.

[7] La preparazione da parte del Card. Francesco del forzato trasferimento di Lucrezia in Italia a dispetto delle volontà espresse da un lato dalla stessa Lucrezia, che voleva restar monaca in Francia, e dall'altro dal Card. Antonio, che non si curava affatto dei desideri della nipote, ma a cui non sfuggiva l'affronto che a lui stesso e alla Francia veniva dall'atto di forza del fratello, è largamente documentata, in BAV, Arch. Barb., Indice IV, 1067, citato. In un foglio di istruzioni Circa alle risolutioni che si possono pigliare, destinato all'agente incaricato di portare a termine la missione, Francesco non riusciva neppure a immaginare che la questione potesse trovare una soluzione diversa da quella da lui stabilita e a questo fine non escludeva l'uso di alcun mezzo: «Quanto alle risolutioni se persiste invincibile, non ostante tante ragioni et quanto si dirà et si farà, di volere D. Lucretia esser religiosa, stimo non sarà difficile di persuaderla a venire in Italia, così perch’ella altre volte s’è così dichiarata […] et perché non solo le si potrà dare parola di contentarla che sia religiosa, ma in quel monasterio ch’ella vorrà. Il Sig. Card. Antonio è ancora del medesimo sentimento et se si fosse mutato doverà dolersi di se stesso. Tuttavia s’ella stesse ostinata ancora di voler essere in quel monasterio o in altro in Francia, non bisogna lasciar modo per condurla via il che sarà quel più difficile se il Sig. Card. Antonio non v’acconsentisse. Il medesimo è quand’ella stesse ostinata in far li matrimonii che non sono di sodisfattione». E concludeva invitando a non farsi troppi scrupoli: «la necessità», scriveva, «non ha legge».

[8] Vedi in proposito le lettere del Card. Francesco a Giulio Cesare Raggioli, l'agente inviato in Francia nell'agosto del 1652 a preparare la rottura (BAV, Arch.Barb., Indice IV, 221) e quelle di Antonio Barberini all'abate Gio Antonio Costa (BAV, Barb. Lat., 8807, 1651-1653) al quale confidava liberamente l'irritazione per la «cattiva et pregiuditial maniera con la quale trovo che si trattano qui dal Sig. Raggioli per ordine, come egli suppone, del Sig. Card. mio fratello i negozi della Casa». «Essendo tornato da me per la seconda volta doppo il mio arrivo qui il Sig. Raggioli - scriveva Antonio da Parigi il 7 febbraio 1653 - a suppormi di haver ordini rinforzati di seguitar a parlar contro il Sig. Card. Mazarini, io ho stimato tanto più necessario il dirghli che non mi venga più intorno». Il comportamento di Francesco suscitava perplessità persino tra i suoi agenti. «Al ritorno dell’Em.mo Antonio da Fontanablo - riferiva per conto di Raggioli un suo collaboratore - gli rappresentai con ogni sommissione quanto Vostra Eminenza m’haveva scritto nella sua delli 28 circa la mera necessità delle sue risolutioni. Né meno questa ragione puol’essere per adesso sodisfattoria a Sua Eminenza, anzi disse che nessuna necessità haveva potuto obligare di sprezzarlo et così maltrattarlo; di più si dice che la necessità non poteva obligar V. Em.za di scrivere così aspramente al Re et alla Regina contro il Sig. Card. Mazzerini, da chi lui e la sua Casa haveva per il passato ricevuto qualche favore et che oggidì s’è visto come ha voluto honorar la sua persona colla prima carica ecclesiastica del Regno. A tutte queste cose io spero che V. Em.za darà maggior sodisfattione a detto Eminentissimo quando arriverà costì. Del resto qui non sento biasimar molto quest’ultima risolutione di V. Em.za, solamente alcuni suoi servitori et amici trovano qualche cosa a ridire a quel capitolo delle sue lettere dirette alle Maestà loro dove parla del Sig. Card. Mazzerino, non tanto per causa sua, quanto per buona politica et per non offendere così gravemente la Regina». Antonio non poté che prender atto del tradimento di Francesco: «Vedo finalmente con meraviglia et afflitione estrema», scriveva da Parigi al fratello il 4 aprile del 1653, «che V. Em.za sforzati gl'oblighi che pur confessa a queste Maestà e non curate le ragioni che risguardano lei medesima e la nostra Casa, anzi dispreggiate verso di me fin quelle dell'humanità, si è precipitata nella resolutione di ritirarsi da questo real servitio e quel che anchora è peggio, sotto l'istesso pretesto de mal intentionati di questo Regno; e benché simili monstruosità habbiano di che estinguere per giustitia ogni buon sentimento nelle mie viscere verso chi si governa e mi tratta di tal sorte, voglio nondimeno come ben fermo ne' dettami della nostra Religione desiderar christianamente che non succedano all'Em.za V. et alla nostra Casa i pregiuditii che paiono troppo evidentemente connessi a sì formidabile mutatione»

[9] Vedi Fazione Urbana, Appendici, Scritture di Conclave, § g5.

[10] Lettere n. 16.


Claudio Costantini

Fazione Urbana

*

Indice
Premessa
Indice dei nomi
Criteri di trascrizione
Abbreviazioni
Opere citate
Incipit

Fine di pontificato
1a 1b 1c 1d 1e 1f 1g 1h 1i 1l 1m

Caduta e fuga
2a 2b 2c 2d 2e 2f 2g 2h

Ritorno in armi
3a 3b 3c 3d 3e 3f 3g 3h 3i

APPENDICI

1

Guerre di scrittura
indici

Opposte propagande
a1 a2 a3 a4 a5 a6 a7
Micanzio
b1 b2 b3 b4 b5
Vittorino Siri
c1 c2 c3 c4

2
Scritture di conclave
indici

Il maggior negotio...
d1 d2 d3 d4 d5 d6 d7
Scrittori di stadere
e1 e2 e3
A colpi di conclavi
f1 f2 f3 f4 f5 f6

3
La giusta statera
indici

Un'impudente satira
g1 g2 g3 g4 g5
L'edizione di Amsterdam
Biografie mancanti nella stampa

4
Cantiere Urbano
indici

Lucrezia Barberini
h1 h2
Alberto Morone
i1 i2a i2b i2c i2d
i2e i2f i2g i2h
i3 i4

Malatesta Albani
l1 l2


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