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Lettere di Alberto Morone dirette al Nunzio di Spagna fatto cardinale in questo tempo (5)
Alberto Morone a Giovanni Giacomo Panciroli, Roma, 14 Giugno 1643.
BEM, Camp. 549, gamma.G.4.30, cc. 23-24.
[c. 23r] Illus.mo e Rev.mo S.re e P.ron Colen.mo Ho scritto molte volte a V. S. Ill.ma sopra i correnti
affari, ma dubito che le mie lettere non siano pervenute a V. S. Ill.ma. Hora
quello che nelle passate mie io le predissi, raccontarò già avvenuto. Si
stabilì la lega defensiva et offensiva fra Venetiani, Gran Duca, Duchi di Parma
e di Modena e per appendice vi si aggiunse il Prencipe Tomaso, il quale mandò 5
compagnie di fanteria et alcune di cavalleria a Modena. Formarono un campo di
20 mila fanti e 6 mila cavalli parte de quali si pose al Finale a confini di
Ferrara e parte nel Polesine di Rovigo. A 28 di Maggio uscì il Duca di Parma sul Ferrarese, attaccò il Bondeno dove
erano 200 fanti di militia e si arresero. Dal Buondeno andarono alla Stellata,
dove erano cento fanti di militia e si arresero. Le nostre soldatesche numerose
in campo riescono meno per la necessità di distribuirle in presidii per li
molti nemici che scorrono [1],
massime per le spiaggie della Marca, Romagna, Stato d’Urbino e Ferrarese,
havendo i Venetiani armate 10 galere, 2 galeazze e molte tartane et infestano
il paese pigliando prigioni, dando fuoco, facendo scorrerie. A 30 partirono il
Residente di Venetia e l’ambasciatore del [c. 23v]
Gran Duca senza licenziarsi. Fu l’ambasciatore di Firenze a visitare il Sig.
Card. della Queva et interrogato perché Sua Eccellenza partisse in quella
forma, l’ambasciatore rispose perché così il Senato in Pregadi ha stabilito. Di
questa risposta restò attonito il Card. de la Queva, sentendo che il Gran Duca riceva ordini da
Venetia, non l’haveva mai professato dal Re Cattolico, né pure sotto Filippo 2° e sono le parole del
Card. della Queva. A due di Giugno venne nuova che i Venetiani erano entrati
nel Polesine del Papa et havevano occupato Mel[ara] [2], Ficherolo, Trecenta et altri luoghi. A 4 di
Giugno che havevano preso Ariano, il porto di Volana e fino a 13 terre. A 5 di Giugno
che si erano accostati a Ferrara e che gli havevano levati i molini e tirati di là da Po e la
città di Ferrara in pericolo per non haver né gente né vettovaglie. Inteso ciò dal Sig.
Card. Antonio andò a portargli soccorso di 4 mila combattenti. In tanto
ritrovandosi a Cento il Sig. Marchese Luigi Mattei hebbe nuova che venivano mille cavalli
di Modena condotti dal Montecuccoli per sorprender Cento; fece il Marchese
buttar sella a 500 cavalli che ragunò in fretta et egli istesso commandandogli
postosi in testa dello squadrone uscì in battaglia. Si combatté un hora generosamente
con morte di alcuni per parte in circa 20 e pochi più feriti. Finalmente il Mattei
incalorito spinse i suoi gagliardamente contro i ducali e gli river[...?][3]
seguitandogli fin sotto il cannone del Finale dove fece alto e bisognò ritornare.
La ritirata fu nobilissima, anzi a mezza strada [c. 24r]
sopragiunto da fianco da alcune compagnie di carabine di nuovo voltò faccia, benché il posto fosse
disvantaggioso. Le ruppe e prese 3 capitani, uccise 160 soldati, diede fuoco a
molti luoghi del Modenese e finalmente ritornò. A 6 Don Carlo Conti con 150
corazze ruppe 300 cavalli del Duca di Parma: alcuni prese, ne uccise da 30 e
gli altri pose in fuga. A 7 di Giugno il Card. Antonio ritornò a Cento e quivi ragunò tutto l’essercito con 20 pezzi di
artigliaria a fronte del nemico e di due campi per i 4 mila combattenti
lasciati in Ferrara se ne [è] fatto un solo. Commandava al campo di Ferrara il
Valenzé, al campo di Bologna il Marchese Mattei; hora solo il Mattei è rimasto
et il suo essercito non trabocca di numero. In questo istesso giorno a Roma si
è dichiarato Luogotenente Generale di Santa Chiesa il Duca Savelli con 1000
scudi il mese di provisione e 30 mila di aiuto di costa. Fatto colonello di
cavalleria Don Carlo Pio [4]
et un francese per l’essercito contro la Toscana. Generale della cavalleria è
fatto il Sig. Cornelio Malvasia. Il Gran Duca minaccia
Montefeltro, perciò il Sig. Mastro di Campo Gambacorta è andato alla difesa di
quel luogo col suo terzo. Alli 10 di Giugno i 4 Cardinali entrarono in Castello
e presero cento mila scudi d’oro. Nell’istesso giorno si sono mandate alcune
polize a prelati della Corte per chiedere l’argento liscio per batterne
moneta [5]
assegnandovi 8 per cento nel Monte del Sale. E perché nella lega v’entrano
tutti i Prencipi d’Italia, v’entra Francia e da Napoli e da Milano ha havuti il
Duca di Parma [6]
aiuti, par difficile che possa il Papa resistere a tanti. Si è introdotto negotiato per una sospensione
d’arme potendosi facilmente fare havendo il Duca in mano 30 miglia di paese
ecclesiastico e li Venetiani 50 altri. Consideri V. S. Ill.ma con qual dolore io
scriva [c. 24v] queste cose. Vero è che
il Sig. Card. Barberino sta con animo grande in mezzo a tempeste così grandi. Sopra tutte le
cose mi travaglia il vedere l’insolenza de Venetiani i quali
tanti danni habbiano cagionato nelli Stati della Chiesa, habbiano assaltato le
terre del Papa, non havendo essi [7]
ragione alcuna in queste controversie. Ma è anche certo che non minor danno
ne senta hora il Papa di quello che sia per sentirne col tempo il Re Cattolico
in Italia, mentre in Venetia si vegga eretto un tribunale a tutti i Prencipi
contro chiunque e sempre si potrà minacciar le forze della lega sì al Papa come
al Re Cattolico, quando i principi minori havranno col Re pretensioni.
I Venetiani hanno havuta fortuna grandissima né maggiore la potevano mai
desiderare. Pochi anni sono guadagnarono la signoria del mare; hanno quella
della terra in Italia et il Vice Re vi è concorso, per dispiacere al Papa.
Facil cosa sarebbe stata unir le squadre delle galere di Spagna, di Sicilia, di Napoli, del Papa
et entrar nell’Adriatico e con l’armata di terra invadere Padova, per
levare l’ardire a persone timide e che in pantofole ci vengono a muover guerra e vogliono alla
Santa Sede levar il primato. Credo che questa mia sarà tarda per commovere
anche l’inferno contro i persecutori di S. Pietro. Il titolo di difensore della
Chiesa starebbe benissimo al Re Cattolico massime in questi tempi: né [8] sarebbe gran difficoltà in
ottenere la difesa, stante le forze del Pontefice. Prego la
Maestà Divina che ciò segua per mezzo di V. S. Ill.ma. Non habbiamo altro di nuovo
se non che Ferrara è provista di vettovaglie per 4 mesi. Seguitarò a
scrivere a V. S. Ill.ma e per finire le bacio humilmente le mani. Roma 14 di Giugno 1643.
Di V. S. Ill.ma e Rev.ma
hum.mo e dev.mo servo
Alberto Morone.
[1] che scorrono in sopralinea.
[2] Nascosto nella legatura.
[3] Nascosto nella legatura.
[4] Don Carlo Pio di Savoia, figlio di Ascanio, era nipote di
Luigi Mattei. Fu fatto prigioniero
nella battaglia di Mongiovino. Terminata la guerra abbandonò la professione militare per quella
ecclesiastica. Chierico di Camera nel 1650 e Tesoriere generale nel 1652, fu fatto cardinale
da Innocenzo X il 2 marzo 1654. Gli è dedicata la Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi del conte Maiolino Bisaccioni (Bologna Zenero, 1653, 2.a ediz.)
[5] Seguono alcune lettere cancellate.
[6] di Parma in sopralinea.
[8] Seguono alcune lettere cancellate.
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